con: Diego Calva, Margot Robbie, Brad Pitt, Jovan Adepo, Jean Smart, Li Jun Li, Phoebe Tonkin, Flea, Lukas Haas, Eric Roberts, Oliva Hamilton, Ethan Suplee, Tobey Maguire, Katherine Waterson, Samara Weaving, Olivia Wilde.
Usa 2022
Ogni volta che Damine Chazelle ha diretto qualcosa, critica e pubblico si sono prostrati ai suoi piedi venerandolo come un genio assoluto della Settima Arte. Al suo esordio con "Whiplash" in pochi hanno avuto il coraggio di sottolineare come gran parte della riuscita del film sia dovuta al cast, mentre "La La Land" è stato accolto come uno dei migliori musical di sempre benché non avesse una colonna sonora più di tanto memorabile, mentre "First Man", pur restando il suo film migliore, è stato incensato come il capolavoro imprescindibile che di fatto non è.
Idillio che si è spezzato con l'uscita di "Babylon", suo primo film che riceve giusto qualche nomination agli Oscar in categorie praticamente di second'ordine e che ha subito critiche feroci, finendo persino per dividere il pubblico tra chi lo detesta senza mezzi termini e chi invece ne parla lo stesso come di un'opera d'arte.
Il che è anche triste, perché se esiste un suo film al quale l'epiteto di "capolavoro" potrebbe calzare non troppo stretto, è proprio questo.
Le prime immagini del film sono al contempo perfettamente esplicatore e altamente fuorvianti. Quella defecazione del pachiderma verso il pubblico, con tanto di dettaglio del deretano che si allarga per far fuoriuscire gli escrementi, sembrerebbe preludere ad un'opera dall'indole unicamente acida, una sorta di "La Grande Bellezza" ambientata nella Hollywood di cento anni fa. Sensazione che si ha anche durante tutto il primo atto, quel prologo decadente e compiaciuto che illustra alla perfezione il caos edonista dell'epoca, quasi una sorta di incipit de "Il Cacciatore" dove il cinismo estremo e le trovate gradasse sostituiscono le emozioni e i rapporti fraterni tra personaggi.
E non c'è modo migliore, in realtà, di introdurre il cast del film, questo quartetto di star, aspiranti star, starlette e manovalanza ambiziosa della fabbrica dei sogni.
Prima dell'avvento del codice Hays, Hollywood era davvero una Babilonia à la Kenneth Anger, un luogo dove i ricchi e famosi si davano al piacere più sfrenato senza alcun ritegno, da cui la descrizione della festa del produttore che apre il film come una sorta di rilettura felliniana dell'orgia di "Eyes Wide Shut".
Hollywood era il regno dell'eccesso, dell'appagamento oltranzista dei sensi, del sesso urlato a squarciagola. Quelle immagini di una carnalità gratuita dove una donna asiatica incarna un sex symbol stile Marlene Dietrich e persino l'omosessualità esibita non è un tabù, oggi appaiono anacronistiche, eppure era tutto vero. Tanto che Chazelle alla fine non fa rielaborare in minima parte le vere esperienze di Clara Bow e di John Gilbert, alla base dei personaggi di Margot Robbie e Brad Pitt, ossia Nellie La Roy e Jack Conrad.
Una cacofonia che si ripercuote sul set, o sui set, vista la velocità con cui più produzioni venivano girate in contemporanea; un vero e proprio casino ambulante con riprese schizofreniche e oscenità gratuite, dove persino la violenza estrema e la morte vengono ritratte in modo grottesco, iperbolico, senza alcun ritegno e rispetto. Dove tra tossicodipendenti travestiti da vichinghi, superstar ubriache marce, sessualità esplicita anche su schermo, alla fine qualcosa di bello viene lo stesso prodotto, quei sogni pronti per essere consumati dalla massa finiscono davvero per prendere vita. E' Hollywood, baby.
Nel 1927 tutto cambia. L'avvento del sonoro, lo spostamento delle produzioni nei capannoni degli studios, l'impossibilità di costruire le scene in quel modo selvaggio e sanguigno delle origini riforgiano tutta l'industria. Un nuovo mondo pronto a schiacciare quello precedente, che Chazelle porta in scena con la lunga ed estenuante sessione di riprese puntualmente rovinate.
Poi arriva la morigerazione, la trasformazione di quelle feste da un circo degno della Roma pagana ad un brunch per mummie in abiti di lusso. Se prima il sesso era distruttivo ma liberatorio, ora è oppressivo, fastidiosamente celato sotto sorrisi di circostanza, con una coltre di perbenismo ipocrita che nasconde la natura selvaggia di quella classe dirigente che fino a qualche anno prima non si imbarazzava ad abbandonarsi a divertimenti dionisiaci in pubblico. Da cui il grido liberatorio di Nellie, che vomita in faccia ai Rotschild in segno di rigetto delle costruzioni sociali.
Tramite l'ascesa al successo di Manny Torres (Diego Calva), Chazelle rievoca poi l'età dell'oro dei primissimi film sonori, nonché l'avvento del cinema "multietnico", della prima blaxploitation mainstream e delle produzioni in spagnolo. E sempre tramite lui, fa un giro negli anfratti della "nuova" Los Angeles, creando (non si sa quanto volontariamente) un vero e proprio panegirico del libertinismo: laddove in precedenza gli eccessi venivano vissuti in modo diretto e gioioso, con l'avvento del perbenismo sono confinati n un vero e proprio sotterraneo degli orrori, dove la repressione porta all'esasperazione. E regala a Tobey Maguire il miglior ruolo nonché la migliore performance della sua carriera.
Oltre il ritratto impietoso del tramonto del primo periodo d'oro di Hollywood, "Babylon" è anche un dramma umano, una storia d'amore distruttiva e il letterale "viale del tramonto" di un divo.
Manny Torres si innamora subito della vivace Nellie La Roy, il cui rapporto distruttivo ne segnerà indelebilmente al sorte, Jack Conrad si ritrova da uomo più amato del grande schermo a pagliaccio da deridere una volta che il pubblico ha udito la sua voce poco convincente, mentre Sydney Palmer (Jovan Adepo, che a tratti sempre un giovane Billy Dee Williams) decide di abbandonare le scene per le umiliazioni subite e l'ex femme fatale Fay Zhu (Li Jun Li) vede la su carriera spegnersi poco alla volta.
Gruppo di personaggi che porta la tragicità in un ritratto altrimenti iperbolico e cinico, da cui la distanza con il lavoro di Sorrentino e la vicinanza con quello di Fellini e "La Dolce Vita", benché mai citato. Chazelle ci fa vedere i lati umani di questi divi, siano essi quelli dati dal loro ritorno nei tuguri privati dopo la sfavillante festa o i difficili rapporti famigliari, riuscendo a creare una vera forma di coinvolgimento in un racconto che altrimenti sarebbe risultato freddo.
La visione è invece coinvolgente, oltre che spettacolare grazie inquadrature vorticose, ai piani sequenza liberi, ad un montaggio scattante. E il tutto trova un coronamento in un finale appassionato e appassionante nel quale Chazelle celebra la forza della Settima Arte, la sua innata capacità di rigenerarsi, cambiare volto, adeguarsi alle mode e alle tecnologie per restare sempre e comunque potente, sempre lontano da quella "Fin du Cinema" tanto temuta.
Tanto che alla fine, "Babylon" risulta essere un omaggio alla grandezza del cinema persino più accorato del coevo "The Fabelmans" e del celebratissimo "The Artist". Perché allora tanto astio nei suoi confronti? Risposta semplice: perché è un film scorretto e poco conciliatorio, che vive di momenti cinici e non regala un lieto fine alcuno, ossia tutto quello che il grande pubblico e la critica per bene odiano. Motivo per il quale non ne hanno riconosciuto né la grandezza, tantomeno la perfetta riuscita.
A tutti quelli rimasti delusi vorrei citare una battuta de Le iene: «E che doveva farti di più? Un...»
RispondiEliminaPer me, filmone clamoroso. E non sono certo un fan di Chazelle.
Concordo ;)
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