di Andrzej Zulawski.
con: Iwona Petry, Boguslaw Linda, Piotr Machalica, Pawel Burczyk, Stanislaw Jaskulka, Joanna Benda.
Polonia, Francia, Svizzera 1996
Riuscire a generare uno scandalo nell'Europa della seconda metà degli anni '90 non è davvero cosa da poco e Andrzej Zulawski, dopo vent'anni di onorata carriera, c'è riuscito con il suo "film maledetto", "La Sciamana" del 1996.
Presentato tra fischi e polemiche al Festival di Venezia, accolto in patria da una fioritura di stroncature e uscito in sala nel clamore generale (riuscendo persino a riscuotere un ottimo successo di cassetta), il terz'ultimo film del grande autore polacco è stato definito come il suo peggiore, oltre che una sorta di auto-parodia del suo cinema. Ma è davvero così?
Quanto a Zulawski, ne ha sempre parlato pochissimo a causa dello stigma indelebile che gli ha causato. Solo in un'intervista rilasciata per l'uscita in DVD per l'americana Mondo Vision, a quasi vent'anni dall'uscita in sala, ha deciso di rompere il duraturo silenzio, definendolo come un "film senza maschere".
Laddove in passato, sotto il regime comunista, ha sempre dovuto mascherare le sue storie con una coltre "di genere" per passare indenne le maglie della censura, riuscendoci comunque a stento, usando il dramma storico in "Diabel", l'horror in "Possession" e la fantascienza in "Sul Globo d'Argento", in "La Sciamana" il grande artista decide di ritrarre storia e personaggi in modo diretto, creare un racconto d'amore anomalo e selvaggio senza travestirlo da altro e anzi usandolo in modo esplicito per criticare la società polacca dell'epoca.
Per farlo, decide questa volta di usare un punto di vista femminile e affida la sceneggiatura alla scrittrice e giornalista Manuela Gretkowska, la quale sviluppa storia e personaggi ispirandosi ad un coppia di amici da poco separatisi. Il risultato è questa storia di amore e sesso tra un uomo maturo e colto ed una ragazza appena ventenne e priva di qualsivoglia cultura: Michal (che ha il volto della superstar dell'epoca Boguslaw Linda) è un archeologo in carriera che ha da poco scoperto il cadavere di un antico sciamano, mentre Wloszka (Iwona Petry), detta "l'italiana" perché "serve la pizza più gustosa", è una ragazza di provincia che ciondola per la città in cerca di soldi e che vorrebbe avere un'istruzione ed è dotata di una carica sensuale primordiale irresistibile.
La prima scena è anche la più esplicativa, ossia una citazione diretta di "Ultimo Tango a Parigi", con i due protagonisti che si incontrano in un appartamento e si lanciano immediatamente in un amplesso ai limiti della violenza. Quella che seguirà sarà la più classica relazione zulawskiana tra due personaggi borderline folli e prigionieri della propria emotività, portata in scena come un febbricitante tour de force. In questo, il grande artista non fa davvero nulla di nuovo e tornano tutti i cliché del suo cinema: il sesso esplicito e distruttivo come materializzazione di un sentimento strabordante, i simbolismi trasgressivi e provocatori, i dialoghi deliranti, gli inserti grotteschi. Tutto come da copione, tanto che l'etichetta di "auto-parodia" sarebbe anche calzante, se non fosse che, nel bene e nel male, il suo occhio e la sua mano sono al solito fermi e, anzi, per quanto manierista, questo suo undicesimo film è pur sempre più interessante e riuscito di "La Nota Blu" o di quel "Le mie notte sono più belle dei vostri giorni", il quale potrebbe davvero ambire a suo peggior film. Il che non esime comunque "La Sciamana" dall'essere un'opera imperfetta.
L'Italiana è quasi un doppio di Isabelle Adjani in "Possession", una donna sensuale e fatale, un essere che incarna una bellezza incontestabile e al contempo distrugge qualsiasi cosa con cui entri in contatto. Una femme fatale vera e propria che si insinua nella vita di Michal e la destabilizza anche più di quanto non fosse prima.
Lui, borghese e già promesso sposo ad una donna bellissima e intelligente, è schiavo dei sensi e delle passioni, usa la sua cultura per sottomettere la ragazza, la quale a sua volta sottomette lui con la sua carica erotica.
Su di un primo piano, la storia raccontata da Zulawski è nuovamente quella di una relazione "tossica" che porta i due partner in una spirale distruttiva.
Lo sciamano ritrovato nei pressi di Varsavia è un enigma, un essere vissuto prima che gli strati culturali succedanei corrompessero quei luoghi. Un doppio ideale di Michal, il quale preme per ritrovare una genuinità che ha dimenticato e forse mai avuto, ma anche di Wloszka, la quale indossa il medesimo cappello e balla in modo frenetico al ritmo dei tamburi, incarnando una vitalità preistorica che soprarvvive ancora oggi negli anfratti di un città tanto cupa, quanto religiosa e razionale.
Il rapporto si fa simbiotico e cannibalistico, come sottolineato da quel finale nel quale spunta l'antropofagia vera e propria (in realtà pietra angolare sulla quale la Gretkowska ha costruito tutta la storia): lui vuole divorare lei e sottometterla tramite la superiorità intellettiva, lei vuole divorare lui, carpirne la conoscenza e la posizione sociale oltre che il corpo, da cui la rincorsa perenne verso i soldi e l'orgasmo raggiunto solo con lui e mai con altri amanti (il fidanzato medico, il compagno di lavoro). Da cui il paragone con lo sciamano, morto probabilmente a causa di una aspirante sciamana che ha tentato di rubargli il potere.
Come sempre, questa lettura ad altezza di personaggio nel cinema di Zulawski prelude sempre ad un simbolismo volto a condannare le ipocrisie della società.
Perché "La Sciamana" segna anche il ritorno dell'autore nella natia Polonia, la quale a metà degli anni '90 è divenuta una nazione apertamente capitalistica e cattolica, la quale sembra aver già dimenticato l'oppressivo regime comunista scomparso neanche dieci anni prima, ma che non risulta più genuina che in passato.
Zulawski ha ammesso che il suo non è un film anti-cattolico, ma che ha lo stesso voluto condannare una tale deriva dal suo punto di vista, da cui il ricorso agli opprimenti simbolismi religiosi e alla scena nella quale l'italiana vomita insulti contro la Madonna dinanzi ad un compagno che prega, o come quando Michal si veste da prete quasi ad accettare una sua sconfitta; al contempo, descrive la crisi di valori con il personaggio del fratello di Michal, prete che ha perso la fede e ha abbracciato la propria omosessualità finendo per autodistruggersi, in una società dove solo i chierici non vengono etichettati come "deviati" se single e dove la Chiesa ha finito per dare rifugio a migliaia di omosessuali, i quali non ne hanno mai davvero accettato la dottrina e i dogmi, finendone schiacciati.
Ecco perché i due protagonisti ricercano e in parte trovano una nuova forma di spiritualità, una ascesi data dalla contemplazione e dalla soddisfazione del corpo, una sorta di tantrismo dove però viene raggiunto l'orgasmo, una fede nelle forme estetiche e nei sensi, la quale li rende più liberi, ma solo all'interno del talamo sessuale, mai al di fuori di esso, dove comunque non trovano equilibrio alcuno.
Allo stesso modo, la disumana struttura industriale di stampo sovietico ha lasciato spazio alla libera impresa del capitalismo, la quale non risulta più umana neanche per sbaglio. Il lavoro in fabbrica, sia essa quella della carne in scatola che quella siderurgica, è alienante, svuota l'essere di ogni sua possibile ricchezza interiore che non sia quella data dai puri riti religiosi, solo per poi annientarne il corpo, da cui le scene nelle quali Wloszka lavora in modo meccanico, come in stato di trance.
Laddove la storia riesce bene o male ad essere sempre comprensibile e riuscita, Zulawski inciampa in un racconto inutilmente ridondante, che porta a ripetere i medesimi concetti ad oltranza senza mai declinarli in modo fresco, sia all'interno del film che nell'intero corpo dell'opera dell'autore.
"La Sciamana" non è quindi il suo peggior film, ma non aggiunge davvero nulla a quanto da lui fatto in precedenza, non nei contenuti, tantomeno nella forma.
Quanto al lascito del film, esso è davvero bizzarro. In Italia, pur presentato a Venezia, arriva solo in VHS e solo in edicola, in una rassegna de "L'Espresso" sul cinema erotico d'autore. Ad oggi non è mai stato edito su supporto digitale, tantomeno distribuito ufficialmente in sala.
Tutto lo scandalo che ha generato è stato dovuto alle scene di sesso, come se le platee mondiali avessero dimenticato quanto erotismo esplicito fosse presente nel cinema d'autore europeo contemporaneo e non.
Alla fine della riprese, Iwona Petry fuggì in India con il marito e denunciò pubblicamente il comportamento "inappropriato" di Zulawski sul set, affermando di essere stata costretta a girare veri rapporti sessuali e di come lui sia stato crudele nei suoi confronti; il resto del cast e della troupe smentirono immediatamente la storia dei rapporti espliciti e Zulawski, anni dopo, ha confermato di essere stato effettivamente crudele nei suoi confronti, ma solo perché lei partì a riprese non ancora terminate, tornando dopo una pausa natalizia solo a seguito di pressioni da parte dei produttori. Ad oggi, la Petry ha recitato solo in un episodio di un telefilm in patria e si è ritirata dagli schermi, adducendo la pessima esperienza sul set come motivo del suo abbandono alla recitazione; ma a conti fatti ciò che Zulawksi le ha fatto fare non è nulla che altre sue colleghe non abbiano fatto, anche per cineasti molto meno importanti.
Sia quel che sia, la carriera dell'autore, da questo punto in poi, non si sarebbe più ripresa. Malauguratamente.
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