di Ken Russell.
con: Glenda Jackson, Imogen Millais-Scott, Stratford Johns, Nickolas Grace, Douglas Hodge, Denis Lill, David Doyle, Russell Lee Nash, Mike Edmonds, Ken Russell.
Regno Unito, Usa 1988
Scritta nel 1891, la "Salomè" di Oscar Wilde potrebbe davvero essere definita come la sua "opera maledetta", non solo per i suoi contenuti o la rilettura che da della famosa vicenda biblica per sé, quanto per lo scandalo che ne accompagnò la creazione. Censurata dal ciambellano inglese, poiché all'epoca era vietato portare in scena rappresentazioni della Bibbia, trova una prima messa in scena solo a Parigi e solo nel 1896, scatenando le ire dell'autore.
Non che il contenuto sia meno scandaloso, ovviamente. Tanto che, a posteriori, sembra ovvia che a portarlo al cinema nella sua versione più celebre ci abbia pensato Ken Russell, il quale, nel 1988, si riunisce con Glenda Jackson e crea un adattamento barocco e postmoderno, che traduce in immagini sfarzose e kitsch le parole di Wilde.
Il 5 Novembre 1892, Oscar Wilde (Nickolas Grace) viene invitato ad una rappresentazione segreta della sua "Salomè" presso il postribolo dell'amico Alfred Taylor (Stratford Johns). A vestire i panni della protagonista c'è la giovane servetta Rose (Imogen Millais-Scott), mentre in quelli del Battista il compagno di Wilde, Alfred "Bosey" Douglas (Douglas Hodge).
Russell si inginocchia davanti a Wilde e mette al suo servizio tutta la sua carica visionaria. Fonde la messa in scena teatrale con quella filmica, come avrebbe fatto anche Peter Greenway giusto un anno dopo con "Il Cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante", ma lascia che anche il confine tra la recita dei personaggi e la pièce che portano in scena sfumi poco alla volta, sino ad un finale beffardo.
Il suo occhio si concentra sulla costruzione pittorica dell'inquadratura, che così diventa un vero e proprio quadro in movimento, trabordante dettagli, enfatizzando i corpi degli attori nella loro statuarietà, nel loro intrinseco erotismo.
Non a caso, gli schiavi hanno le forme di bellissime donne dalle curve sensuali che completano ogni fotogramma con i loro seni nudi (tra le quali troviamo anche Linzi Drew, che dopo un paio di collaborazioni con Russell sarebbe diventata una pornostar di successo), così come i soldati hanno un corpo da bodybuilder (uno dei due principali è persino interpretato dal famoso modello Michael Van Wijk, all'epoca immagine barbarica per antonomasia nelle reclame pubblicitarie). E tutti i personaggi sfoggiano costumi volutamente fantastici, che sembrano usciti da un numero di "Métal Hurlant", rendendo questa rappresentazione quasi un episodio perduto di "Fellini Satyricon". L'effetto è semplicemente ammaliante e si sposa alla perfezione con l'opera originale.
La "Salomè" di Wilde è una rilettura decadente dell'episodio biblico. Una storia di lussuria sfrenata, tale da guidare le azioni di tutti i personaggi; c'è ovviamente la lussuria di Erode e di Erodiade, qui ritratta come una donna libidinosa quanto il compagno, per di più invidiosa delle sue attenzioni verso la figlia. Ma è soprattutto la lussuria di Salomè a guidare il tutto; lei, solitamente ritratta come un mezzo per la morte di Giovanni Battista, qui ne diviene la carnefice, spinta com'è dalla rabbia per non essere riuscita a concupirlo.
La lussuria come forza motrice degli uomini che Russell estende anche a Wilde, qui ritratto come un dandy libidinoso, perso nella contemplazione del corpo del nuovo valletto, il quale per finisce per causare le ire di Bosey con conseguenze tanto disastrose quanto ilari; e che Russell ritrae magnificamente alternando il corpo di Imogen Millais-Scott a quello di un ballerino maschio durante la rappresentazione della celebre danza dei sette veli.
Estensione che in realtà crea una compattezza tematica tangibile. Tanto che "L'Ultima Salomè" è a conti fatti uno degli esiti migliori di tutto il cinema di Ken Russell, un omaggio intelligente e lussuoso, ma mai tronfio o compiaciuto.
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