lunedì 2 gennaio 2023

Rumore Bianco

White Noise

di Noah Baumbach.

con: Adam Driver, Greta Gerwig, Don Cheadle, Jodie Turner-Smith, André L.Benjamin, Raffey Cassidy, Sam Nivola, Kenneth Lonergan, May Nivola.

Usa, Regno Unito 2022















Don DeLillo è sicuramente tra gli scrittori americani più interessanti della seconda metà del Novecento; dotato di una prosa barocca, sapientemente esasperata da dialoghi densi e ricercati, narra storie che anche a distanza di decenni risultano urgenti, quindi talvolta profetiche. Basti vedere quello che aveva preconizzato già nel 2003 con "Cosmopolis", poi magnificamente portato su schermo da David Cronenberg, con il quale sviscerava in modo freddo e inquietante la deriva post-umana dell'era digitale. E "White Noise" non è certo un'opera da meno, che con la sua riflessione sul rapporto dell'essere umano con il concetto di morte crea uno spaccato la cui vena grottesca amplifica la tragicità intrinseca. E che ora arriva su schermo, purtroppo praticamente solo quello di casa, grazie a Noah Baumbach.




Una storia sulla paranoia, la paura della morte, quella certezza che vive latente nella coscienza di ciascuno ma che si palesa solo a tratti, generando un timore primordiale. Il "rumore bianco" altro non è se non un pensiero che fa da sottofondo costante alla vita, ma anche la preconizzazione di una morte come silenzio assoluto interrotto solo dai rumori dei vivi, che si confondono sino a diventare un unica cacofonia atona.
Jack (incarnato da un Adam Driver camaleontico, che somiglia ad uno Steve Coogan sovrappeso) e famiglia si ritrovano così ad affrontare la coscienza del decadimento fisico. Jack, in particolare, sembra dover confrontarsi costantemente con questa realizzazione. Lui, professore universitario specializzato nella biografia di Adolf Hitler, traccia un paragone esaltato tra l'acclamazione delle "folle oceaniche" ai propri beniamini e le veglie funebri, sottolineando come tra l'apice della vita e il principio della morte non vi sia differenza, il tutto mentre la tragedia inattesa si consuma a pochi kilometri di distanza.



Una tragedia che altro non è se non una parentesi nella vita dei personaggi. Un incidente che sembra uscito da un film di Romero, una "pandemia" ante literam (che Baumbach si diverte a descrivere come un'anticipazione di quella del 2020), che causa morte e distruzione, ma che per fortuna finisce "solo" per acuire la coscienza dei personaggi. La morte, che fino ad allora era rimasta nello sfondo del subcosciente, diventa certezza e il grado di paranoia aumenta esponenzialmente.
Anche Babette (Greta Gerwig) si scopre schiacciata dal peso della paura, da cui la dipendenza dal dylar, farmaco che in teoria dovrebbe alleggerirne gli effetti collaterali, ma che finisce per essere solo l'ennesima "pillola della felicità" ingurgitata automaticamente alla vana ricerca di uno stordimento salvifico. La ricerca di una forma di salvezza dalla coscienza diventa così un imperativo, con tutte le conseguenze possibili.



Ma è davvero realistico pensare di poter eliminare una forma di coscienza del genere? DeLillo sa di no e arriva persino a chiamare in causa la religione, vista come organizzazione necessaria al fine di fornire quantomeno un balsamo per lenire il dolore, anche se non c'è un Dio in cielo e anche se persino i suoi ministri talvolta non credono alla sua esistenza. E anche quando tale istituzione fallisce, è nel rapporto famigliare che si può trovare una fonte di consolazione; perché, se la vita è un gigantesco supermercato/viatico per un altro mondo, ci siamo tutti dentro ed è bene ballarci tutti assieme.



Ma Baumbach è davvero il cineasta più adatto a traslare le pagine di DeLillo su schermo? Forse no.
Il suo entusiasmo per la fonte è forte e avvertibile in ogni scena, con i bellissimi dialoghi magnificamente portati in scena e sapientemente recitati dall'ottimo cast. Ma la mano dell'autore vacilla quando si tratta di dare forma ai risvolti grotteschi della storia, i quali trovano una messa in scena pulita, ma mai dotata di quella forma di beffarda anarchia gli avrebbe resi davvero memorabili. In questo, si avverte davvero l'assenza di un filmmmaker seriamente geniale e follemente cinico, quale potrebbe essere Terry Gilliam o anche il Joe Dante di "Matinee". Nelle loro mani, questo adattamento sarebbe davvero potuto essere memorabile, così com'è è invece solo ben fatto e nulla più.

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