di Oliver Stone.
con: Woody Harrelson, Juliette Lewis, Robert Downey Jr., Tommy Lee Jones, Tom Sizemore, Arliss Howard, Rodney Dangerfield, Russell Means, Pruitt Taylor Vince, Everett Quinton, Edie Mcclurg, Steven Wright, Sean Stone, Balthazar Getty.
Satirico
Usa 1994
E' il 1994. Il cinema americano ha trovato una nuova spinta creativa grazie all'avvento delle produzioni indie nelle sale dei grossi circuiti e il relativo successo di cassa. La società civile, al contrario, vive un periodo di forte incertezza: le paure sociali più basilari, precedentemente tenute a bada in parte a causa della Guerra Fredda, ora che questa non c'è più riprendono piede più forti che mai.
In particolare, è la paura della violenza a trovare fin troppo spazio nella vita dell'americano medio, consumandone la psiche fino a fargli di credere che il definitivo collasso sociale sia alle porte; colpa anche della copertura che i mass media danno dei casi di omicidio e del modo in cui tratteggiano le figure dei serial killer, divenute delle celebrità vere e proprie, oltre che delle icone pop come nei casi di Charles Manson e Richard Ramirez e, in generale, del forte rilievo che assumono a livello mediatico i casi di cronaca nera, come quello di Amy Fisher, Tonya Harding e O.J. Simpson.
Se già negli anni precedenti il caso del "panico satanista" aveva portato a forme di paranoia che sarebbero state risibili nella loro assurdità se non avessero causato una vera e propria persecuzione di fenomeni popolari del tutto innocui (come Dungeons and Dragons) ora la situazione è ancora più sanguigna proprio poiché acuita dal sensazionalismo televisivo, con fior fiori di programmi spazzatura che ritraggono senza filtri e senza tatto alcuno casi di violenza spicciola trasformandoli in spettacolo e puntando il dito verso la violenza fasulla di film e videogiochi, spacciandola come propedeutica a forme di vera violenza.
Poi arriva Natural Born Killers e la situazione esplode.
Il "caso" è da manuale: il film viene accusato di incensare l'umana brutalità e di fare dei due protagonisti serial killer degli eroi, incitando i giovani spettatori a imitarli. Il messaggio satirico e la feroce critica verso i media e il loro rapporto ossessivo verso gli assassini seriali vengono ignorati e si arriva persino a caldeggiare l'idea di una vera e propria crociata contro la violenza al cinema, responsabile della vera violenza, tanto che persino film come Pulp Fiction e Strange Days vengono accusati di "traviare gli spettatori verso il male".
Il paradosso del caso è palese, ossia una pellicola che nasce per creare una catarsi verso la spettacolarizzazione della violenza, ma che viene accusata di spettacolarizzare la violenza e santificare gli assassini. Poco male, perché a trent'anni di distanza il j'accuse di Oliver Stone è ancora forte e fresco.
Tutto nasce da uno script di Quentin Tarantino, venduto per qualche decina di migliaia dollari alla Warner poco prima del suo esordio con Le Iene nel 1991. La storia pare fosse nata da una sottotrama di quello di Una Vita al Massimo, nel frattempo divenuto un bel film per mano di Tony Scott: i due protagonisti iniziavano a lasciare una scia di sangue dietro la loro fuga romantica e un giornalista si interessava al caso, trasformandoli in superstar.
Caso vuole che nel 1993 esca Kalifornia, esordio alla regia di Dominic Sena, il quale presenta una trama del tutto simile: un giornalista alle prese con un saggio sui serial killer in America inizia a viaggiare per il Paese insieme ad uno sconosciuto e alla sua ragazza; questi altri non è che un feroce assassino seriale, il quale lo coinvolge in una spirale di violenza. Pellicola che all'epoca riscosse qualche consenso e che oggi merita di essere rivista più che altro per la performance di un giovane Brad Pitt, il quale si perde con metodo da Actor's Studio nei panni del suo lercio personaggio, per il fatto che nel ruolo della sua ragazza troviamo Juliette Lewis, che poi sarà la coprotagonista del film di Stone ma che qui ricopre praticamente la parte della vittima, oltre che per la bella fotografia di Bojan Bazelli.
Ma la sceneggiatura di Tarantino aveva in origine un approccio diverso: tutta la storia era ambientata in carcere, dove i due protagonisti Mickey e Mallory Knox (il fato ha voluto che in futuro avrebbero condiviso il cognome con quella ragazza che poi sarebbe salita agli onori della cronaca per un vero caso di assassinio qui in Italia) sono nel braccio della morte da diverso tempo e non si vedono da anni. La loro storia viene ricostruita dal vorace giornalista Wayne Gale, che già ne aveva fatto uno special nel suo programma, per lungo tempo l'episodio più visto. La loro biografia viene così ricostruita con una serie di flashback, all'epoca strumento narrativo cardine nel cinema tarantiniano.
Salito a bordo del progetto, Stone decide di modificarlo a suo piacimento, facendo sua la storia e i personaggi. Eliminata la cornice del carcere, che torna come ambientazione solo nella seconda parte, ricostruisce la storia in modo più lineare, ma usando lo stesso lo stratagemma dei salti temporali e dei cambi di punti di vista. Tutta la sceneggiatura assume quindi anche un nuovo significato, tanto che Tarantino finirà per odiare a morte il film finito (pur ammettendo di averne visto si e no la prima scena), cercando persino (e invano) di far rimuovere il suo nome dai titoli.
Tale stravolgimento è stato però quello che ha permesso al film di divenire il piccolo capolavoro che ancora oggi è. Con la sensibilità più matura di Stone, una inedita verve anti-sistema e uno stile visivo e narrativo a dir poco anarchico, Natural Born Killers è divenuta una delle più grandi provocazioni contro la società americana che si siano mai viste, resa ancora più di valore dal fatto che sia stata creata da un regista premio Oscar e perorata da una major.
Con esso, Stone in buona sostanza rivolge il dito medio a tutto e a tutti e lo fa nel modo più indisponente e cattivo immaginabile, ossia rendendo i due serial killer psicopatici i personaggi moralmente migliori della storia.
Mickey e Mallory sono malvagi, si divertono ad uccidere chiunque capiti loro a tiro, il loro modus operandi è al limite dell'inesistenza, abbandonandosi a scatti di violenza pura e immotivata e usando come firma unicamente il fatto di lasciare in vita un testimone che ne racconti le gesta. La loro violenza è spicciola e fine a sé stessa, non ha nemmeno la connotazione sessuale comune a molti serial killer, anzi la loro sessualità e il loro amore sono tratti caratteristici della loro personalità che non vengono sostituiti dalla sete di sangue.
Contraddicendo il titolo del film e persino il celebre discorso che Mickey fa in diretta tv, Stone non li caratterizza come veri assassini nati, non afferma che il male è del tutto connaturato al loro DNA. Esso è infatti figlio della violenza che hanno subito sin dalla tenera età: Mallory vive in una famiglia a dir poco disfunzionale, con un padre che la abusa sessualmente e psicologicamente che ha il volto da perfetto pervertito di quel Rodney Dangerfield nella realtà praticamente timorato di Dio; mentre Mickey ha un passato più nebuloso, ma anch'esso caratterizzato dalla violenza in famiglia.
Una violenza che i due assorbono e che diventa il loro demone interiore, il quale si libera in primis proprio per castigare i perpetratori originari della stessa. La provocazione è presto servita: alla fine restano praticamente irredenti oltre che impuniti, persino felicemente alla guida di una nuova famiglia nella quale non c'è traccia di dramma (in un finale alternativo, però, Owen, il personaggio più enigmatico del film, forse angelo custode, forse angelo della morte, forse il diavolo in persona, li ammazza a sangue freddo nelle ore immediatamente successive la fuga dal carcere).
Perché dare loro un lieto fine? Perché per Stone questi due degenerati almeno hanno piena coscienza del loro male e cercano persino di arginarlo con l'amore reciproco. Cosa che li rende migliori della degenerata società che li ha formati.
Tutti i rappresentati delle istituzioni sono invece personaggi grotteschi, mostruosi e talvolta persino violenti quanto i Knox, con la conseguenza che tutte le istituzioni risultano corrotte oltre il limite del marcio.
Al di là della famiglia, la polizia è la prima a trovare una forma di ritratto grottesco nel personaggio di Jack Scagnetti (interpretato con piglio naturalista dal compianto Tom Sizemore), un agente del FBI ossessionato dai Knox, che prova persino attrazione sessuale per Mallory, che fa della loro cattura la sua crociata, ma che si dimostra anch'egli un depravato quando sublima il sesso con la morte; ed è anch'egli figlio della violenza, essendo sopravvissuto al massacro di Charles Whitman.
L'altro rappresentante del potere costituito è il direttore del carcere McClusky, che Tommy Lee Jones interpreta andando per una volta totalmente sopra le righe per dare vita a quello che è un vero e proprio personaggio da cartone animato demenziale; sboccato e perennemente ai limiti dell'esaurimento nervoso, è la rappresentazione di un sistema civile, giudiziario e carcerario privo di senno, che si limita a reprimere con la forza il male senza cercare di capirlo, senza cercare di arginarlo davvero, dimostrandosi pazzo e malvagio quanto i veri assassini; fa un bel paio proprio con Scagnetti, il quale afferma di voler comprendere il male che affligge le persone per poterlo curare, ma in realtà è egli stesso da esso corroso.
Coppia di rappresentati delle istituzioni orrenda e inquietante, la quale risulta simpatica e persino nel giusto se confrontata a quello che è il vero mostro del film, ossia Wayne Gale.
Wayne Gale è l'incarnazione dei media. Non solo della tv spazzatura, di quei programmi sensazionalistici che adoperano le parti peggiori della realtà per far presa sui bassi istinti del pubblico, ma dei media in generale, di quel giornalismo che utilizza la violenza reale come se fosse quella di fiction come prodotto da vendere agli spettatori. Stone si dirà ispirato per il messaggio del film proprio dal cambio di registro che si è avuto nelle testate giornalistiche a partire dagli anni '80, quando le notizie venivano date al solo fine di creare audience e non in base all'effettiva rilevanza e importanza delle stesse. Il giornalismo diviene così spettacolo, la realtà un prodotto da vendere a prescindere dalla sua carica drammatica, anzi, proprio perché vero, il dramma riesce a suscitare emozioni più forti nello spettatore, il quale resterà così incollato allo schermo pronto a consumare il prodotto che gli viene servito. L'immoralità del procedimento è totale proprio perché trasforma la vera violenza, la vera morte, il vero dolore in uno show da usare per arricchirsi.
Wayne Gale, di conseguenza, è il vero "cattivo" del film, sovente ritratto come un diavolo con tanto di corna rosse e ricoperto di sangue tanto quanto Mickey. Robert Downey Jr., qui alle soglie dal ritiro dalle scene per i grossi problemi personali, lo caratterizza anch'egli come un personaggio da cartone animato, dandogli anche un improbabile accento australiano perché ispirato a Steve Dunleavy, celebre giornalista aussie dell'epoca responsabile di un noto programma spazzatura che trattava veri casi di omicidio.
Essenziale è il fatto che nel confronto con Mickey, Wayne afferma di essere innocente, almeno per quel che riguarda l'omicidio, ma poi "sbarella" durante l'esplosione di violenza finale, divenendo aggressivo quanto gli assassini che ritrae. Il suo demone, perorato dalla voracità propria dell'arrivismo individualista, è ben peggiore di quello di Mickey, Mallory e di Scagnetti, è un demone creato e perorato dall'ego. Forse alla fine, l'unico vero "assassino nato" è lui.
La critica peggiore, forse, Stone la rivolge al pubblico, a quella Generazione X del tutto priva di valori. Nel circo della spettacolarizzazione della violenza, anche il pubblico ha la sua colpa, quella di guardare, quella di idealizzare gli assassini-superstar che i media gettano loro in pasto in modo cinico. La loro colpa è quella di essere spettatori passivi, di lasciarsi abbindolare dalla narrazione imbastita ad hoc per carpirne i bassi istinti senza mai questionare la moralità del tutto.
Il pubblico è complice del circolo vizioso della violenza: se lui non guardasse, forse i media non la mostrerebbero, per lo meno non come uno show. Non per nulla, l'unico personaggio davvero positivo del film è il vecchio sciamano, un uomo che vive letteralmente fuori dalla società, lontano dalle sue ipocrisie, in una capanna fuori dal tempo e priva di praticamente ogni forma di tecnologia, tanto che quanto incontra Mickey e Mallory li vede come due demoni plasmati dalla televisione. Lui non guarda la tv, non è intriso nel sangue e nelle immagini della violenza, non è perpetratore e neanche spettatore, dunque non ha colpa per il ripetersi del ciclo di violenza.
Ed è lo stesso Stone ad usare a sua volta un metodo ambiguo per mettere il proprio pubblico alle strette e farlo riflettere sulla sua intrinseca complicità con le immagini granguignolesche; lo fa in primis sfondando in almeno un paio di occasioni la quarta parete e lasciando che i personaggi si rivolgano direttamente allo spettatore, tradendo il fatto che quanto sta accadendo su schermo sia finzione, sia una storia narrata per il tramite della macchina da presa. Ma lo fa anche in modo, più sottile e decisamente più ambiguo e finanche ambivalente, quando ritrae la violenza dei propri personaggi.
Si potrebbe anche dire che la polemica sulla violenza del film in fin dei conti è anche fondata. La violenza in Natural Born Killers è eccessiva e urlata pur mostrando davvero poco in modo diretto (quantomeno nella theatrical cut, la director's cut è invece decisamente più esplicita sul fronte visivo); e a tratti è genuinamente spettacolare, stilizzata oltre i limiti del visionario, come nel massacro iniziale, dove spuntano le semi-soggettive del proiettile e del pugnale. Forse è quindi corretto accusare il film di averla resa "bella", ma non si può certo accusarlo di averla giustificata o incensata, visto che porta sempre alla morte, sempre alla dipartita, sempre al dolore.
La violenza di Stone è dolorosa, non davvero giocosa; le conseguenza della violenza (di qualsiasi natura essa sia) sono sempre palesi e parti integranti della storia; persino la scena iniziale, nella sua apparente gratuità, è utile a introdurre i personaggi e i loro eccessi. La violenza deve quindi essere eccessiva, folle, urlata per avere un racconto coerente, ma è normale, di conseguenza, trovarla fin troppo eccessiva, fin troppo marcata, fin troppo urlata. Nel vedere questi eccessi, noi spettatori siano così chiamati in prima persona a riflettere, a questionare il perché ci stiamo divertendo, perché ne siamo così attratti. La risposta più ovvia risiede nel fatto che si tratti di finzione, cosa anche vera e che in fin dei conti giustifica l'uso di uno stile iperrealista; ma ci si arriva a chiedere cosa la renda davvero così attraente, se sotto sotto anche noi non siamo poi così diversi dai personaggi del film.
La giustificazione degli eccessi visivi è poi insita ovviamente anche nel registro del film, apertamente satirico e grottesco; ma anche nel fatto che la sua messa in scena non è quella della semplice stilizzazione della realtà, quanto quella della creazione in scena di uno stato inconscio collettivo.
Natural Born Killers è, in senso lato, il subconscio dell'America degli anni '90 (e non solo), un ritratto espressionista di quanto si nuove nelle viscere e nell'inconscio della società, per questo perfettamente inscrivibile in quella filmografia stoniana che fin dagli esordi ha parlato degli Usa e delle loro contraddizioni. E se già in JFK Stone aveva usato uno stile più sperimentale, caratterizzato da un montaggio veloce e nell'uso di differenti formati di immagine, qui decide di esagerare per creare un perfetto ritratto espressionista atto a dare corpo al punto di vista di un pugno di personaggi del tutto deviati: ben diciotto sono i tipi di immagine utilizzati, che spaziano dal classico 35mm in academy al video, passando per il super8, il 16mm e finanche degli inserti animati; i tagli di montaggio sono oltre tremila e l'uso della retroproiezione in camera dona un ulteriore tocco visionario ad una estetica che anche senza avrebbe avuto un'originalità infinita; semplicemente geniale è poi la trovata della costruzione del flashback sul primo incontro tra Mickey e Mallory come una sit-com, sorta di camuffamento folle dell'orrore quotidiano sotto la coltre del perbenismo catodico.
Essenziale è poi l'uso della colonna sonora, curata da Trent Reznor, qui alla sua prima esperienza in campo cinematografico. La tracklist è a dir poco amena, spaziando da Leonard Cohen ai Nine Inch Nails e da Patty Smith a Puccini in una sequenza priva di continuità, ma perfettamente alla pari con la follia della storia.
Il che fa il paio con l'uso del colore, il quale non ha davvero una valenza simbolica effettiva; Stone affermerà di aver usato il verde per simboleggiare l'avvelenamento e il rosso per la passione, ma tali accoppiate non sono consistenti per tutto il film.
Lo stile che ne risulta è puro caos, una tempesta di suoni e immagini che si susseguono ad un ritmo forsennato per quasi due ore, un perfetto corpus atto a esprimere il raptus omicida e selvaggio che attanaglia i protagonisti.
Natural Born Killers esce nei cinema a partire dall'agosto 1994 e già alla sua coeva presentazione al Festival di Venezia suscita reazioni polarizzanti: c'è chi parla di parla di capolavoro, chi di un'opera sin troppo eccessiva e persino chi taccia Stone di essere ipocrita e a sua volta sensazionalista. Quasi tutti lo etichettano come "l'Arancia Meccanica degli anni '90", paragone più che calzante viste anche le citazioni esplicite al capolavoro di Kubrick.
Trent'anni dopo, il ritratto al vetriolo del film appare non solo come il perfetto zeitgeist di un'epoca, ma persino ancora attuale. I social network hanno trasformato la cultura dell'apparire come appannaggio di praticamente chiunque, distruggendo il limite tra creatore e spettatore, con influencer e semplici utenti che si cimentano nelle peggiori nefandezze pur di avere un quarto d'ora di notorietà, mentre spettatori sempre più desensibilizzati e distratti trasformano veri e propri idioti in celebrità milionarie.
La televisione è divenuta un medium anche peggiore grazie all'avvento dei reality show, che hanno spinto il voyeurismo dello spettatore medio oltre ogni limite immaginabile. I programmi di cronaca, d'altro canto, sono rimasti bene o male uguali nella loro incapacità di narrare in modo freddo e obiettivo fatti di sangue.
In Italia si punta sovente il dito contro trasmissioni come Chi l'ha Visto? che talvolta scadono nell'exploitation gratuita, ma i veri mostri sono ben altri, come gli special del Tg Mediaset sul massacro di turno, sovente costruiti come veri e propri mockumentari tanto sono esagerati, o, anche peggio, i programmi di "approfondimento" pomeridiani, che a cadenza quotidiana cercano di fare il punto sul caso di omicidio di turno con sedicenti esperti e inviati sul posto, trasformando fatti di sangue in vere e proprie soap opera per un pubblico che oramai vede gli omicidi come semplice avanspettacolo.
Nulla è cambiato, nulla è migliorato e il film di Stone risulta ancora drammaticamente moderno. Non per nulla, esso si chiude sulle note di The Future di Leonard Cohen, la quale recita testualmente: "I've seen the future, baby- It is murder".
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