venerdì 20 settembre 2024

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

di Elio Petri.

con: Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio tramonti, Arturo Dominici, Massimo Foschi, Aldo Rendine, Pino Patti, Vittorio Duse, Salvo Randone.

Italia 1970

















Un rappresentante delle istituzioni commette un delitto e resta impunito, i suoi colleghi ritengono impossibile che un loro simile possa avere colpe, quindi ne rigettano le responsabilità e finiscono per assolverlo sul piano anche solo strettamente umano.
Il potere non può e non deve essere giudicato. Un teorema originato da Kafka. Un teorema semplice. Un teorema provocatorio. Un teorema ineluttabilmente attuale, dunque non un teorema quanto una dinamica reale, che già nel 1970 costituiva una rappresentazione veritiera e che oggi è divenuta una prassi che si ripete a scadenze regolari in Italia.
Elio Petri, ovviamente, era perfettamente cosciente delle dinamiche del potere nella classe dirigente italiana dell'epoca; proprio per questo, con "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" ne porta in scena la descrizione, disanima e rappresentazione.
Un atto d'accusa verso lo Stato e i suoi rappresentanti che arriva a due anni dalla fuga di Un Tranquillo Posto di Campagna e che segna così un ritorno al cinema d'impegno civile, oltre che al registro grottesco espressivo che ne ha caratterizzato i lavori più celebri. E che diventa il suo primo vero capolavoro.



















Una trama, quella di "Indagine su un cittadino", che si apre come quella di un giallo, ennesima revisione del genere da parte dell'autore: un commissario della Polizia di Roma, il cui nome non viene mai pronunciato e al quale ci si riferisce solo come "dottore" (Gian Maria Volonté) assassina la propria amante, la libertina Augusta Terzi (Florinda Bolkan). Lasciate tracce visibili sulla scena del delitto, inizia un vero e proprio gioco al fine di farsi catturare dai propri colleghi. Ed è da qui che la struttura del film si discosta da tutto per trovare una sua dimensione, squisitamente descrittiva, volta a scandagliare le contraddizioni del potere e dei potenti.
Il potere non può subire limiti, né essere condannato in alcun modo. Da qui parte Petri, riprendendo il mantra kafkiano classico. Il Dottore altri non è se non lo strumento del potere costituito, che a sua volta viene descritto come una malattia la quale finisce per ammorbare l'essere umano e riplasmarlo come un qualcosa di diverso, di alieno rispetto ai suoi simili, uno strumento appunto, un essere che vive solo per affermare e tutelare il potere stesso.
Il potere corrompe? Non proprio: il potere muta, possiede il corpo di chi lo perora come farebbe un demone; il posseduto ne diviene agente, usandolo anche e talvolta soprattutto per i propri fini, i quali non confliggono mai davvero con lo stesso proprio perché l'idea del potere e l'essere che se ne fa portare divengono un tutt'uno.
























La prima limitazione che il potere teme, la più ovvia, è quella della propria antitesi, della sovversione, che prende la forma della rivoluzione sessantottina, il Maggio 1968 che neanche due anni dopo ancora infiamma l'Italia. Petri descrive i sessantottini in modo diretto, con tutte le loro contraddizioni certo, ma anche con un occhio di riguardo; la perfetta nemesi del Dottore è così il giovane Pace, ragazzo neanche trentenne, studente e anarchico convinto e dichiarato, il quale gli tiene testa nell'interrogatorio come se niente fosse.
L' altra ossessione del Dottore, al di là di quella che concerne il delitto che ha commesso, è l'eradicazione del dissenso, la distruzione di ogni opposizione per l'affermazione definitiva e incontrovertibile del potere stesso; difatti il film si apre con la sua promozione a capo dell'ufficio politico della questura e largo spazio viene concesso alla descrizione dei mezzi che la polizia usa per tenere sotto controllo i dissidenti o presunti tali, con l'allora avveniristico calcolatore in grado di condensare decenni di documenti in poche righe e un sistema di intercettazione telefonico da fare invidia a Echelon. Nonostante si definiscano come diversi dalla Gestapo, anche i tutori dell'ordine di quella che si definisce come una democrazia non esitano ad usare sistemi totalitari per salvaguardarsi. Petri, ovviamente, non vuole semplicemente illustrare le contraddizioni della società civile o del governo democratico, quanto affermare come ogni singola forma di potere sia, su di un dato livello, uguale, come esso non possa mai subire minacce, neanche le più innocenti, qualsiasi forma di governo assuma.



















La seconda limitazione, più subdola, è quella interna, quella data dall'indegnità dei propri agenti e dello scandalo che potrebbe conseguire qualora un uomo di potere fosse scoperto ad abusarne o a seguire dettami contrari alle regole civili. Siamo ancora in epoca DC, dopotutto, quando la classe dirigente e la classe politica in particolare tenevano ancora al modo in cui venivano percepiti dall'opinione pubblica.
Il potere non può contraddirsi, dunque un rappresentante delle istituzioni non può essere colpevole di un delitto. Il potere non permette di essere questionato e se un'azione è stata compiuta in violazione di un suo precetto, questa azione in realtà non è mai esistita. Il Dottore è un personaggio che vive nella coscienza di tale contraddizione, la quale lo ossessiona a causa della sua natura di essere ligio al dovere. La sua azione è dunque rivolta a smascherare questa ipocrisia, a dimostrare, nelle sue stesse parole, l'incoerenza imperante nel sistema. Circa sessant'anni fa un personaggio del genere poteva essere visto solo come un viscido esempio di anarchia del potere, oggi potrebbe essere quasi definito come un rivoluzionario a causa della mancanza di una indole morale nell'intera classe dirigente che sia anche solo di facciata.
L'azione, definibile davvero come "anarchica", del Dottore si sostanzia poi grazie al morboso rapporto che ha con la sua amante e vittima.




Augusta è, in buona sostanza, una tentatrice, una libertina che vive per il brivido della provocazione e che intreccia la relazione con il protagonista sostanzialmente al fine di spingerlo oltre i limiti. Limiti che, in realtà, lui stesso non conosce, perso com'è nelle sue ossessioni da perfetto archetipo del sessualmente incompetente petriano; il Dottore, da un punto sessuale, altro non è che un bambino che sublima l'eros attraverso la scopofilia e si eccita ricreando le scene dei delitti sui quali ha investigato.
Il sesso diventa anch'esso strumento di dominazione, estrinsecazione fisica del rapporto di subordinazione che il comune cittadino ha nei confronti del potere. L'azione anarchica si sostanzia nell'aver voluto intrecciare una relazione al puro fine di affermare sé stesso e i valori che rappresenta senza voler subire conseguenze alcuna, anzi forzando l'accettazione del prossimo tramite tale relazione e il delitto che ne è conseguito.























L'estrinsecazione del dominio del potere e della correlata anarchia non potevano che prendere uno forma filmica definibile come "kafkiana", data ovviamente non solo e non tanto dalla citazione finale.
Petri immerge la vicenda in una Roma letteralmente aliena, dove a farla da padrone sono essenzialmente location in stile bauhaus, vere e proprie tombe di cemento razionaliste che seppelliscono i personaggi in una zona fuori dal tempo e dallo spazio; persino quando le architetture classiche fanno la loro comparsa, finiscono anch'esse per avere una valenza claustrofobica.
Claustrofobia che viene centuplicata dal particolare stile di costruzione della scena che Petri adotta: le inquadrature sono quantomai strette, focalizzandosi principalmente in primi e primissimi piani, con la macchina da presa che resta praticamente sempre ad altezza uomo; e che inquadra il suo protagonista tramite le ottiche rotanti, come se lo sguardo di chi lo osserva fosse quello di uno scienziato o di un medico che guarda un microorganismo al microscopio.
Una visione che però non è mai davvero distaccata: il montaggio talvolta spezzato e la celebre colonna sonora di Morricone (tra le sue più orecchiabili e famose) finiscono per immergere il tutto in un'atmosfera grottesca e espressionista, confezionando un registro atipico, quasi stridente, sicuramente efficacissimo nel narrare un personaggio sui generis.


















Nella sua estrema lucidità, Petri traccia così uno spaccato grottesco del meccanismo del potere e dell'anarchia imperante tra i suoi rappresentati. Un'opera che all'epoca poteva essere definita come surreale e provocatoria, ma che oggi, visti i tempi che corrono, può essere solo definita come ovvia e realistica.

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