mercoledì 31 luglio 2024

Un Tranquillo Posto di Campagna

di Elio Petri.

con: Franco Nero, Vanessa Redgrave, Georges Géret, Gabriella Grimaldi, Madeline Damien, Valerio Ruggeri, Rita Calderoni, Arnaldo Momo.

Italia, Francia 1968




















L'ottimo esito di A Ciascuno il Suo confermava non solo il talento di Elio Petri, ma anche la sua capacità di far presa sul pubblico, così suo status di autore impegnato nel civile. Ma nel 1968 il grande regista compie una mossa impossibile da presagire.
Mentre per le strade d'Italia e del mondo impazzava la rivoluzione, Petri decide di dirigere un film lontano da ogni connotazione politica, uno strano film sull'arte, sul sesso e sulla morte intitolato Un Tranquillo Posto di Campagna come a sottolineare la sua volontà di allontanarsi (anche solo temporaneamente) dai tumulti politico-sociali. Leggenda vuole che Franco Cristaldi volesse affidare il progetto di un thriller paranormale nientemeno che al padre del thriller nostrano Mario Bava, ma che poi Petri sia subentrato prendendone il posto e mettendo mano a soggetto e sceneggiatura assieme a Luciano Vincenzoni e Tonino Guerra. Bava avrebbe certo saputo creare un perfetto meccanismo di tensione, Petri, dal canto suo, usa lo spunto della ghost story per parlare di altro e crea un'opera astratta certamente affascinante, ma anche magistralmente irrisolta e a tratti decisamente noiosa.



















Leonardo Ferri (Franco Nero) è un pittore milanese in crisi creativa. Di punto in bianco, inizia ad avvertire il richiamo di un'isolata villa nella campagna veneta. Con l'aiuto dell'agente e amante Flavia (Vanessa Redgrave) riesce ad acquistarla e decide di trasferirvisi per ritrovare l'ispirazione perduta, ma una volta qui inizia ad essere testimone di strani eventi, i quali lo portano a scoprire come fosse la dimora di una giovane contessa ninfomane (Gabriella Grimaldi).





















Una trama da gotico classico che Petri utilizza come puro pretesto; la sua è infatti una riflessione sull'inscindibilità dei concetti di Eros e Thanatos nella pulsione creativa, ingabbiati all'interno del personaggio di Leonardo, al solito complessato dal punto di vista sessuale. 
Una sessualità, la sua, vorace, che si manifesta tanto nel rapporto morboso con Flavia quanto nell'ossessione per la pornografia, consumata a vagoni e perennemente nei suoi pensieri. Se il suo approccio con il sesso è libero e quasi uno sfogo per quella vena artistica che sembra invece essersi prosciugata, Flavia, d'altro canto, lo asseconda solo per sfruttarne i talenti, per adoperarlo come mano d'opera nel mercato dell'arte, intrattenendo un rapporto a metà strada tra la padrona e una figura materna incestuosa e possessiva. Non per nulla, nella prima scena, in realtà onirica, Leonardo è prigioniero di una Flavia che gli sputa in faccia i frutti della tecnologia capitalista e lui si libera per ucciderla, solo per poi affermare, in una scena successiva, di essere schiavo del sistema economico che lo porta a produrre beni di consumo solo nominalmente considerati come arte, statuizione con la quale Petri affossa ogni pretesa di santità degli artisti.




















Il sesso, per essere precisi l'ossessione sessuale, diventa la forza trainante dietro l'esplosione artistica e la ricerca della soddisfazione dei sensi il necessario mezzo per perorarla. Appena arrivato nella villa, vediamo Leonardo correre dietro al seno della giovane Egle, inseguito per buona parte del film e trovato puntualmente quando cerca spiegazioni per gli strani fenomeni paranormali. Il seno, l'organo che sostiene la vita, diviene così simbolo dell'ispirazione artistica, qui inseguita ma mai conquistata.
Come l'orgasmo rappresenta una piccola morte, anche la concretizzazione dell'atto artistico richiede una morte; Eros e Thanatos, d'altro canto, non sono che due facce della stessa medaglia, da cui il rapporto ossessivo con la contessina Wanda. Un rapporto sessuale che non può essere consumato e che si sostanzia in serie di afflati puntualmente interrotti, con una pulsione che resta sempre inappagata. Visione sfuggente, tanto attraente quanto astratta, il corpo della ragazza non viene mai davvero concupito.
Per Petri, il rapporto con l'ispirazione è così ondivago e ambiguo, un'ossessione pulsante che fa della ricerca dell'appagamento il suo fine, ma che resta sempre castrata; la libido, di conseguenza, è elemento necessario alla creazione, ma il suo sostanziarsi porta ad una forma di distacco dalla realtà, da una pazzia la quale è forse l'unico stato nel quale un artista può davvero fecondo, trasformarsi in una macchina al servizio del capitale per produrre in serie le sue opere per il profitto altrui. O forse è proprio quella necessità di produrre che porta alla pazzia, in una lettura marxista dell'afflato creativo.
Laddove la metafora è chiara, la costruzione della vicenda come quella di un horror sovrannaturale vero e proprio mostra i limiti del grande autore quando viene chiamato a confrontarsi con un genere che necessita invece la comprensione e l'assimilazione delle sue "regole".



















Non c'è mai tensione in Un Tranquillo Posto di Campagna; come ghost story gotica risulta davvero noiosa, limitandosi ad imbastire la solita sarabanda di strani rumori e oggetti che cadono, la quale già negli anni della sua uscita era stravista. Petri non riesce a fare paura, non riesce a tenere sul filo del rasoio e la visione sovente scade nel soporifero, aggravata anche da un antefatto anch'esso blando, con la storia della contessina il cui unico colpo di scena è debole.
Laddove la sua regia risulta vincente è invece nella costruzione di un'atmosfera onirica e astratta, anche per merito della bella colonna sonora, cacofonica e eterea, di Ennio Morricone. 



















Benché apprezzato e riverito da molti, Un Tranquillo Posto di Campagna è quasi un passo falso nella carriera di Petri, con il quale dimostra in parte la sua versatilità, ma non la sua capacità di adattarsi ad un cinema che per necessità deve essere votato alle regole del genere.

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