di Chris Nash.
con: Ry Barrett, Andrea Pavlovic, Cameron Love, Reece Presley, Liam Leone, Charlotte Creaghan, Lauren Taylor.
Horror/Sperimentale
Canada 2024
---CONTIENE SPOILER---
Con un'uscita a sorpresa, qualche tempo fa Stephen King ha esternato la sua volontà di scrivere un racconto legato alla saga di Venerdì 13 dove per la prima volta la storia fosse raccontata totalmente dal punto di vista di Jason.
Il fatto che l'indiscusso Maestro dell'Horror si interessi al Re dell'Horror di Serie B Mainstream è una cosa curiosa e inaspettata, ma molto meno inaspettata è la volontà di creare un racconto orrorifico dove il punto di vista esclusivo sia quello dell'assassino. Non che esperimenti del genere siano mancati, basti vedere ai due Maniac, in particolare al bel remake di Frank Khalfoun tutto girato in soggettiva, ma nessuno ha mai davvero provato a creare davvero uno slasher dove il punto di vista del mostro non fosse limitato alle soggettive degli omicidi; eppure, quante volte, da spettatori, si è desiderato smetterla di seguire il classico gruppo di teenager arrapati e fumati per avere la vera star del film al centro dell'attenzione?
La risposta a tale desiderio ora è arrivata e si chiama In a Violent Nature. Scritto e diretto dal canadese Chris Nash, esordiente nel lungometraggio, prodotto e distribuito da Shudder principalmente sulla relativa piattaforma streaming, osannato all'ultimo Sundance come "film più disturbante mai concepito" (slogan davvero originale) questo esperimento nato dall'amore verso il filone dei killer mascherati pare fosse stato completato già nel 2021, ma trova effettiva distribuzione solo quest'anno, generando già nelle anteprime forme di entusiasmo soprattutto a causa dell'estrema violenza degli omicidi.
Che cos'è alla fine In a Violent Nature? Semplice: un incrocio tra Venerdì 13 e Elephant di Gus Van Sant, dove come spettatori seguiamo il killer di turno per il tramite di una macchina da presa che lo tampina ritraendolo a figura intera di spalle, solo con i boschi del Canada a sostituire quelli del New Jersey o i corridoi della scuola.
La storia è sempre quella: gruppo di ragazzetti idioti si ritrova a passare la notte in una villetta di montagna. Nelle zone esiste la leggenda di Johnny, in origine bambino portatore di handicap morto decenni prima per mano di un gruppo di operai e boscaioli incaricati dell'opera di gentrificazione del posto, i quali non paghi gli hanno poi anche ucciso il padre che chiedeva giustizia; Johnny sembra tornare in vita di tanto in tanto per uccidere chiunque si avventuri nei boschi e la sua storia viene rievocata dinanzi ad un fuoco come in L'Assassino ti siede accanto. Ovviamente tra i ragazzi c'è l'idiota di turno che ruba il pendente che il padre di Johnny gli aveva regalato come ultimo ricordo della defunta madre, il che lo riporta in vita assetato di sangue.
Johnny è in tutto e per tutto Jason, sia nell'antefatto narrativo, sia nel look, sia nel modus operandi, tanto che il primo omicidio che avviene in scena è praticamente ricalcato sul più celebre di Il Terrore Continua, solo con una sega al posto della cinghia di cuoio. Al punto che se la Paramount o la A24 avessero davvero voluto, ben avrebbero potuto acquistare i diritti del film in fase di pre-produzione e trasformalo in un capitolo ufficiale della serie, all'interno della quale avrebbe certo risaltato come il più originale.
Il modo in cui Nash smonta tutti i trucchi del filone è gustoso: come fa il killer ad avere sempre a portata di tiro le vittime? Semplice, in realtà non le insegue, incappa in loro per puro caso. Come può riuscire sempre a braccarle pur non correndo mai? Ancora più semplice: mentre loro parlano dei loro problemi di cuore e delle loro piccole inimicizie, lui ha tutto il tempo per tendere trappole.
Il gioco cinefilo rende così sopportabili anche le lungaggini evitabili, come tutta la prima parte nella quale Johnny non fa altro che farci capire la sua storia, uccidere il fattone e recuperare armi e maschera. Il problema, semmai, sorge talvolta con le sequenze di omicidi.
La prima, stilizzata con un elisse "artsy" sulla mano del mostro prima pulita e poi insanguinata, è anche la più simpatica, pur non presentando praticamente nessuna forma di gore e quindi alcuna forma di quella creatività nell'uccisione che lo slasher deve avere. La più celebre, ossia quello della ragazza bionda che fa pilates, meriterebbe anche la sua nomea di "scena più scioccante di sempre" grazie all'originalità della costruzione e agli SFX, qui perfetti a differenza che in altre scene, dove i capitali limitati purtroppo sono visibili. Ma come si può restituire quella tensione nell'omicidio, essenziale alla riuscita della scena, riprendendo esclusivamente il punto di vista dell'assassino anziché anche quello della vittima? Sebbene decenni di Giallo Movies dimostrino che sia possibile, a volte non si può davvero ed è qui che In a Violent Nature finisce per mostrare un po' la corda.
Ciò accade in due sequenze cardine, ossia l'uccisione della ragazza al lago e quella del ranger. La prima avviene in modo "spielberghiano", con la ragazza che viene trascinata a fondo da un Johnny subacqueo. Il budget scarno ha impedito a Nash di costruire l'azione dal punto di vista principale, quindi lo sguardo dello spettatore resta praticamente a riva per tutto il tempo. Alla riva opposta, si intende, con un campo lunghissimo che disinnesca ogni forma di suspense in favore di un estetismo fighetto che porta subito alla noia.
La seconda è più complessa. Paralizzato il ranger, Johnny lo trascina in un capanno dove per prima cosa mostra al pubblico gli effetti di una macchina usata per spaccare i ciocchi di legno, poi procede a mozzare un braccio al malcapitato e infine a decapitarlo. Se costruita dal punto di vista della vittima, la scena sarebbe stata ricca di tensione, ribaltando la prospettiva Nash mostra l'ordinarietà di un'azione del genere per il mostro, dal cui punto di vista uccidere è un'attività meccanica; ne consegue una scena intellettualmente corretta e persino interessante, ma per forza di cose incredibilmente noiosa; la quale finisce per riflettere l'esito del film, ossia un'operazione appunto corretta e interessante, ma a tratti del tutto pleonastica e persino inerte.
Nell'ultimo atto, a sorpresa, Nash ribalta le aspettative e riprende il punto di vista della final girl di turno. Cambio di idee? Tradimento della sua stessa poetica? Si, ma solo in parte. Tale svolta ha soprattutto la funzione di esplicitare la duplice natura del film, ossia quello di omaggio e decostruzione dello slasher, ma anche di apologo ecologista.
Nel caso in cui l'immagine della carcassa della volpe uccisa da una trappola a inizio film non fosse abbastanza chiara, l'autore decide di far pronunciare ad un personaggio un intero monologo su come Johnny sia praticamente una forza della natura, un animale la cui furia priva di senso viene innescata da chi viola il suo territorio, da chi porta disordine nell'equilibrio naturale, da quei ragazzetti di città che vanno in campagna per divertirsi senza rispettarla, da cui l'effettivo significato del titolo. Monologo pronunciato da Lauren Taylor, già nel cast de L'Assassino ti siede accanto, in un ruolo che a prima vista potrebbe sembrare quello dell'equivalente di Pamela Voorhees nel primo film e che sancisce parola per parola come In a Violent Nature sia tanto un film su di un killer zombi arrabbiato quanto una parabola sulla natura che si ribella all'uomo.
Tale deriva rende ancora più chiara anche la natura pretenziosa dell'operazione. Certo, la volontà di decostruzione è nobile, il gusto per lo splatter fa comprendere come Nash non disdegni nulla delle radici popolari e pop del filone slasher e l'imitazione certosina con tanto di citazioni della saga di riferimento fa certamente trasparire la volontà di divertire. Ma il ricorso a soluzioni estetiche e visive da cinema d'autore intellettualoide e quel finale didascalico non possono che far pensare ad un cuore hipster pulsante, persino mal celato quando si fa indossare ad uno dei protagonisti un walkman che sarebbe stato obsoleto già negli anni '90.
La duplice anima del film rispecchia così la duplice anima da filmmaker del suo autore: da un lato l'onestà di un prodotto che non si vergogna di essere pop e di contaminare tale sua natura con ventate di cinema autoriale, dall'altra la volontà di sfoggiare riferimenti cinematografici "elevati" per darsi un tono d'autore che in realtà non avrebbe bisogno di citazionismi eruditi o moralucce per ottenere un riconoscimento del genere. Cosicché In a Violent Nature riesce a convincere e divertire, ma anche a tediare, in un intricato intreccio forse figlio della scarsa esperienza.
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