mercoledì 3 luglio 2024

Il Giorno della Civetta

di Damiano Damiani.

con: Claudia Cardinale, Franco Nero, Lee J.Cobb, Tano Cimarosa, Nehmiah Persoff, Ennio Balbo, Ugo D'Alessio, Fred Coplan, Serge Reggiani.

Italia, Francia 1968

















---CONTIENE SPOILER---

Pubblicato nel 1961, Il Giorno della Civetta è uno dei romanzi italiani più importanti del XX secolo. Importanza dovuta ad un fatto oggi scontato: è stato il primo libro che ha affrontato di petto il problema della mafia, non solo dandone un ritratto realistico e non apologetico o romantico, ma anche e più semplicemente riconoscendone apertamente l'esistenza e l'attività deleteria nel sud Italia, in quella Sicilia in quegli anni culla di organizzazioni criminali che ben presto sconvolgeranno l'intera nazione.
Leonardo Sciascia compie un'operazione in apparenza semplice, che consiste nell'utilizzare un registro di genere per rappresentare una realtà effettiva; in apparenza perché nell'Italia dell'epoca c'era ritrosia a parlare di Cosa Nostra, c'era vergogna nel portare alla luce quelle correnti sotterranee che sorreggevano l'intera società. C'era, in sostanza, una forma di omertà diffusa che portava a riconoscere il fenomeno mafioso come limitato al passato, al brigantaggio che aveva afflitto i primi anni del Regno d'Italia o, al massimo, come proprio della narrativa dei gangster movie americani.
Sciascia, al contrario, tratta in modo diretto dei rapporti tra mafiosi e potenti, tra mafia e politica, ritraendo quasi con aria di sfida una società nella quale la criminalità organizzata è parte integrante della comunità, vera e propria sfera di potere extra-statale, ma intimamente connessa con lo stesso potere dello Stato.




I diritti per un adattamento cinematografico vengono presto venduti dallo scrittore, ma proprio a causa dell'argomento trattato diventano una sorta di patata bollente che passa da produttore a produttore senza che mai nulla di concreto venga effettivamente messo in cantiere.
Nella seconda metà degli anni '60 qualcosa però cambia: dapprima il buon esito di molti dei film del filone politico, poi il buon successo di A Ciascuno il Suo di Petri rendono possibile l'entrata in produzione del film. A curarlo è il duo di produttori Luigi Cimarossa e Ermanno Donati, specializzati in pellicole di genere, specializzati nei "sandaloni" fino a qualche anno prima ancora in voga, e alla regia viene chiamato Damiano Damiani, anche lui artigiano del cinema di genere, ma allo script finisce niente meno che Ugo Pirro, forse proprio a causa della collaborazione con Petri. Come protagonisti, infine, troviamo un duo di divi, ossia Franco Nero e Claudia Cardinale, in modo da assicurarne il successo di cassetta.
L'adattamento de Il Giorno della Civetta vede il buio della sala a partire dal febbraio del 1968 e riscuote ottimi consensi, sdoganando definitivamente il cinema dell'impegno civile come filone di successo; e ad oggi resta un ottimo esempio su come coniugare con efficacia impegno e spettacolo.




L'incipit è nuovamente quello di un giallo: in un paesino vicino Palermo (ricostruito a Partinico), un piccolo imprenditore edile, Colasberna, viene ucciso a colpi di lupara. Il capitano Bellodi (Franco Nero), comandante dei Carabinieri del luogo, indaga sull'accaduto, venendo in contatto con la bellissima Rosa Nicolosi (Claudia Cardinale), la quale abita nei pressi del luogo dell'assassinio e il cui marito è scomparso in circostanze non chiare, oltre che con il boss locale, l'infido e potente don Mariano (Lee J.Cobb).




Proprio come in A Ciascuno il Suo, la soluzione è presto detta, rivelata già all'inizio del secondo atto: a uccidere il malcapitato Colasberna è stato un pregiudicato per conto del boss locale. A Sciscia, così come a Pirro e Damiani, non interessa il gioco del whudunit, quanto la possibilità di ritrarre una data realtà e le dinamiche che essa contiene.
La mafia de Il Giorno della Civetta è nuovamente quella di provincia, ma a fare capolino è ora la figura del boss, del deus ex machina che funge da vero e proprio barone laico, muovendo le fila del paese. Gli interessi in gioco, come ne Le Mani sulla Città, sono quelli del boom edilizio e il film descrive senza filtri la spartizione tra delinquenti degli appalti per la costruzione dei lotti autostradali. Colasberna, la vittima, altri non era che un imprenditore onesto, un uomo che aveva la colpa di aver vinto la gara di appalto senza ricorrere alla corruttela e che si permetteva persino di utilizzare materiali decenti nelle sue costruzioni, oltre ad avere un passato da antifascista attivo durante il Ventennio.




La mafia è così il tessuto connettivo dell'intera società, uno "Stato nello Stato" che dirige le vite dei cittadini decidendone gli esiti e i risvolti umani e materiali. Un entità diffusa e persino priva di centro, dove ad un don locale se ne affianca almeno un'altra decina, così che una volta tolto di mezzo questo sarà un altro a prenderne il posto, come le teste di un'idra; togliere di mezzo è però un eufemismo, visto che la galera viene vista solo di sfuggita dai colpevoli, rimessi subito in libertà. Dopotutto, si tratta pur sempre di uomini di potere legati a doppio filo alla politica locale e nazionale, come quella visita alla sede della DC chiarifica in modo esemplare.
Alla fine della fiera, sono sempre loro ad averla vinta, i mafiosi, i banditi, i veri detentori del potere. Damiani, Sciascia e Pirro non si tirano indietro e arrivano anche a suggerire in modo abbastanza esplicito come sia il sistema democratico a tenere in piedi il malaffare quando Rosa Nicolosi ricorda a don Mariano come abbia sempre votato secondo i suoi comandi.




Il conflitto tra mafia e Stato viene portato in scena in modo efficace con la contrapposizione tra Bellodi e don Mariano, i quali si fissano da un lato all'altro della piazzetta di paese, ai cui lati opposti sorgono la casa del boss e la stazione dei Carabinieri. La loro è una sfida tra onestà e crimine, dove però il confine è labile vista la posizione del mafioso. Un boss al quale gli autori concedono un tocco di onorabilità quando riconosce il valore dell'avversario, etichettandolo come "vero uomo" in contrapposizione ai tanti "quaqquaraquà" che infestano la Sicilia, nel celebre monologo. Un retaggio di un'epoca nella quale la mafia non era ancora diventata stragista, al quale si contrappone la scelta di attori dai tratti davvero "lombrosiani" per interpretare gli altri capi della cosca, i cui volti talvolta sono resi ancora più mostruosi dall'uso del grandangolo per i primi piani.
I volti ripugnanti dei mafiosi vengono giustapposti a quelli incredibilmente belli dell'eroe Franco Nero e della vittima Claudia Cardinale, la cui bellezza tipicamente mediterranea rifulge nei panni di una vedova della lupara, di una donna usata come capro espiatorio e perfino messa la bando dai compaesani poiché l'alibi è dato dalla sua natura di "donnaccia", costruita ad hoc per far assolvere i colpevoli dell'omicidio.
In mezzo a loro, il volto elegante di un Lee J.Cobb perfettamente calato nei panni dell' "uomo d'onore" siculo, unica concessione ad una forma di dignità che gli autori concedono al ritratto mostruoso di Cosa Nostra.




Se la trasposizione del modello e della tematica sciasciana funzionano, la regia di Damiani non riesce talvolta a dare la giusta forma alla narrazione, mancando a tratti di enfasi, come nello stratagemma usato da Bellodi per far credere a Rosa che il marito sia morto o quando i Carabinieri piegano i detenuti con metodi ai limiti del legale. In generale, tutta la narrazione è troppo legata alla struttura da procedural del romanzo, mancando di spazio per far respirare i singoli eventi e di vera inventiva nella costruzione delle scene. 
tuttavia, Damiani riesce lo stesso a tenere sempre alta l'attenzione e a coniugare intrattenimento e impegno, creando così un adattamento davvero degno delle pagine del libro.

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