lunedì 29 luglio 2024

Banditi a Milano

di Carlo Lizzani.

con: Gian Maria Volonté, Don Backy, Ray Lovelock, Ezio Sancrotti, Piero Mazzarella, Laura Solari, Carla Gravina, Margaret Lee, Tomas Milian.

Italia 1968
















Il 25 settembre 1967, a Milano, la filiale della Banca di Napoli sita nei pressi di largo Zandonai viene presa d'assalto da un gruppo di banditi, la cosiddetta "Banda Cavallero", già noto per le feroci rapine a mano armata. A seguito del furto, la banda si lancia ad alta velocità per le strade, raggiungendo vette di 130 km/h, ingaggiando un inseguimento da film con la polizia e arrivando ad aprire il fuoco di punto in bianco, uccidendo tre persone, causando la morte accidentale di una quarta e lasciando dietro sé una scia di feriti. Alla fine del conflitto, una folla inferocita cerca di linciare uno dei rapinatori, mentre altri due vengono ritrovati giorni dopo e a chilometri di distanza, consegnandosi alle autorità come se nulla fosse.
Un episodio che suscita immediatamente scalpore e che faceva da cartina di tornasole alla violenza di strada che in quegli si andava intensificando, anche a causa di un ritrovato benessere economico e all'insorgere della "cultura del vizio".
Fenomeno che colpisce Dino De Laurentiis, il quale decide di trarne un film in men che non si dica. "Banditi a Milano" è così una sorta di instant-movie che ritrae in modo fulmineo sia il fenomeno alla base che l'episodio della rapina, nel quale Carlo Lizzani tenta di far confluire una sensibilità di genere con il rigore cronachista del cinema di inchiesta, a tratti riuscendoci a pieno.




Banditi a Milano è quindi una via di mezzo tra cronaca e rielaborazione filmica vera e propria; il limite di tutto il film resta purtroppo nella mancanza di equilibrio tra i due elementi, cosa che non avverrà, per esempio, quando Francesco Rosi tenterà un'operazione simile con Lucky Luciano. Lizzani decide di scinderlo in due parti, con una prima para-documentaristica e una seconda di pura fiction.
I primi minuti sono alquanto spiazzanti: con una serie di finte interviste e ricostruzioni artistiche, il regista segue l'attività di un ufficiale di polizia interpretato da un giovane Tomas Milian (il quale poi interverrà durante la rapina principale) intento ad illustrare al pubblico l'impennata di violenza all'interno della capitale economica del Paese. Si hanno così delle vere e proprie interviste ai protagonisti del malaffare, come quella ad un rapinatore di vecchio corso che rimpiange i bei vecchi tempi durante i quali i criminali avevano un codice d'onore e persino il tenutario di un night club che illustra il gioco spietato dell'omertà.
Un giochino para e meta filmico che aggiunge davvero poco ad una narrazione il cui fulcro resta nella ricostruzione dei fatti della banda Cavallero e f calare sul tutto una coltre di inutile pretenziosità.




















Centro nevralgico del film è infatti la ricostruzione della rapina, in particolare del furioso inseguimento che ne è conseguito. Anche la seconda parte resta così costruita intorno a tale evento e tutti i personaggi diventano così delle maschere atte a dare vita allo stesso. E' qui che Banditi a Milano trova una sua vera riuscita, ossia nel modo in cui non solo ricostruisce i fatti, ma con il quale caratterizza il capobanda Piero Cavallero.
Nelle mani di Gin Maria Volontè, esso diventa un personaggio sgradevole, un ex aspirante rivoluzionario di sinistra ora convinto viveur che si dà al crimine per foraggiare uno stile di vita edonistico, una vera e propria maschera del milanese rampante affamato di lusso e spregevole nella sua costante ricerca dell'affermazione individuale, quella che in futuro diverrà una macchietta da deridere, ma che qui è un personaggio a dir poco abominevole.


























La regia di Lizzani è anche precisa, soprattutto nella lunga sequenza d'azione, ma paga lo scotto di aver deciso di adoperare un impianto anticonvenzionale in sede di script per narrare un fatto di cronaca talmente sopra le righe da essere vera e propria materia da film di genere. 
La parte para-documentaristica, oltre ad essere inutile, scivola talvolta verso il limite del ridicolo, con le false interviste che aggiungono un che di mockumetaristico ad una narrazione che invece vuole essere sempre seria; senza contare come vada a togliere spazio alla parte di finzione, che risulta per contrasto più autentica, ma castrata da uno sviluppo alla fin fine superficiale, data dall'impossibilità di farvi confluire la tematica sociale e una vera caratterizzazione dei personaggi secondari.













Rivisto oggi, Banditi a Milano assume il valore di testimonianza di un'epoca andata, nella quale il cinema commerciale viveva anche grazie ad una forma di impegno dato dalla sua capacità di saper rielaborare la realtà attraverso una lente iperbolica. Una delle testimonianze certamente più celebri e celebrate, ma non una delle più riuscite.

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