venerdì 6 settembre 2024

Gott mit Uns (Dio è con noi)

di Giuliano Montaldo.

con: Franco Nero, Richard Johnson, Larry Aubrey, Helmuth Schneider, Bud Spencer, Michael Goodliffe, Relja Basic, Emilio Delle Piane, Enrico Osterman, Osvaldo Ruggieri, Renato Romano, T.P. McKenna, Rade Serbedzija.

Storico/Drammatico

Italia, Jugoslavia 1970













La prima parte della filmografia di Giuliano Montaldo è caratterizzata da opere eterogenee, con le quali ha toccato tematiche e persino generi disparati. Se con Tiro al Piccione portava alla ribalta la storia recente d'Italia, con Una Bella Grinta creava uno spaccato del presente che fondeva ritratto e melò; la partecipazione al documentario Nudi per Vivere (al quale prese parte anche Elio Petri) gli permise di muoversi direttamente nella realtà notturna dell'Italia degli anni '60, mentre i successivi Ad Ogni Costo e Gli Intoccabili lo portavano a misurarsi direttamente con il cinema di genere.
E' nel 1970, con il celebre Gott mit Uns, che Montaldo sembra trovare una quadra per il suo cinema, che ora torna a trattare della Storia (allora) recente, come agli esordi, in una pellicola che gli permette di far salire il suo nome nuovamente agli onori della critica e che segnerà parte della sua produzione successiva.



Maggio 1945, Olanda. Mentre la Seconda Guerra Mondiale volge al termine, i soldati della wehrmacht Bruno Grauber (Franco Nero) e Reiner Schultz (Larry Aubrey) disertano per salvarsi la vita e trovano rifugio presso un distaccamento canadese degli Alleati, dove fanno amicizia con il caporale Jelinek (Bud Spencer). Tale distaccamento ha occupato un ex campo di concentramento, convertito a campo di prigionia per gli sconfitti. Qui la tensione tra l'ufficiale alleato Miller (Richard Johnson) e il colonello tedesco Von Bleicher (Helmuth Schneider) è alle stelle e scoppia definitivamente quando quest'ultimo chiede di poter processare i disertori.




Un vergognoso e misconosciuto episodio di guerra, quello alla base di Gott mit Uns: due soldati disertori vengono processati da una corte marziale fuori tempo massimo e persino giustiziati pur se da un esercito sconfitto e finanche dopo che la guerra è ufficialmente finita. Un episodio che Montaldo traduce in un pamphlet sull'assurdità della guerra e sui disumani meccanismi dell'esercito, qui inteso come pura istituzione. La Storia che si fa ritratto, quindi, con i protagonisti che divengono a loro modo degli archetipi, a cominciare dai due disertori.
Grauber e Schultz, al pari dei più celebri Sacco e Vanzetti che Montaldo porterà sul grande schermo giusto un paio di anni dopo, sono due innocenti che vengono schiacciati da un sistema che non può tollerale gli afflati di dissenso, nemmeno quando questi sono resi necessari per la sopravvivenza. Grauber è il più insofferente, il quale arriva a ridere in faccia e persino minacciare il suo ex superiore; Schultz, giovane e inesperto, è un innocente che si ritrova suo malgrado coinvolto in una situazione mortale, non un ribelle, quanto un semplice "uomo comune" che ha provato a sopravvivere invano alle avversità.
Corrispettivamente, Miller e Von Bleicher sono i due volti dell'autorità. Il primo, canadese, è un ufficiale dai modi gentili e quasi naif nel suo rapportarsi con dei prigionieri superbi e volitivi; il secondo, suo opposto, è un perdente solo esteriormente, continuando a ritenere modi prevaricatori pur ritrovandosi dietro decine di metri di filo spinato, espressione di un egotismo che non conosce remore e che adopera codici e leggi militari al solo fine di non affrontare la sconfitta subita in battaglia.


















L'esecuzione diviene così l'ago della bilancia in un gioco di potere; gioco che in realtà non si combatte tra i due eserciti, tanto più che la guerra è terminata; lo scontro è quello tra l'istituzione e il popolo, una battaglia per garantire la percezione di insindacabilità dell'esercito e delle sue decisioni. Tutto viene così subordinato all'apparenza, ad una "ragion di Stato" che prende le forme della rispettabilità da imporre attraverso il terrore, in una coerenza che in realtà esiste solo per perorare il proprio potere, piuttosto che sfoggiarlo davanti ad uno spettatore (la popolazione comune in un sistema democratico) in realtà assente. 
Montaldo descrive così in modo schietto tutta la carica disumana che si cela dietro i meccanismi del comando, con un piglio retorico impossibile da mettere in discussione. Laddove perde colpi, paradossalmente, è nella semplice costruzione drammaturgica.


















Manca vero coinvolgimento, in Gott mit Uns; in una storia che richiede non la semplice indignazione morale, ma anche la contrizione emotiva non ci si ritrova mai davvero a percepire il dolore e la disperazione dei personaggi; emozioni vengono cucite addosso al personaggio di Grauber e ai suoi scatti d'ira verso le autorità, con la conseguenza che non c'è mai davvero un momento nel quale si riesce a provare vera commozione verso i due condannati. L'impianto dialogico del film è certamente corretto, portando ad un confronto serrato tra gli esponenti del potere, ma si avverte la mancanza di una vera scena madre che possa generare vera empatia verso i personaggi; questo nonostante nella prima parte vi siano un paio di scene (quelle con Bud Spencer, per intenderci) dove si cerca anche di dare spazio al lato più strettamente umano e emotivo della vicenda, senza però riuscirci davvero.
La freddezza e il distacco, certamente non voluti, finiscono così per rendere la visione per certi versi inefficace; il lavoro di Montaldo è certamente corretto anche sul piano della semplice formalità della messa in scena, ma questa mancanza di mordente rende tutta l'opera certamente riuscita, ma non molto coinvolgente.

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