di Rupert Sanders.
con: Bill Skarsgaard, FKA twigs, , Danny Huston, Josette Simon, Laura Birn, Sami Boujila, Karel Dobry, Jordan Bolger.
Fantastico/Azione/Gore
Usa, Regno Unito, Francia 2024
Ed eccolo qui finalmente, il famigerato remake/reboot de Il Corvo- The Crow (in Italia approdato invertendo titolo e sottotitolo) rimasto per quasi vent'anni in development hell, con una decina tra registi e attori che vi si sono avvicinati senza che nulla si sia concretizzato; una re-immaginazione partita come adattamento più fedele del capolavoro di James O'Barr, che per questo aveva avuto inizialmente l'appoggio dell'autore, solo per poi divenire altro e che vede adesso la luce grazie alla caparbietà del produttore Ed Pressman e a quella di Rupert Sanders, autore del blandissimo ma non totalmente disprezzabile remake yankee di Ghost in the Shell; girato in fretta e furia e praticamente in segreto, odiato prima ancora che arrivasse in sala a causa del suo look e della sua estetica lontani anni luce non solo dal film originale, ma anche dal fumetto originale. E questo remake che remake davvero non è, reboot che reboot davvero non è altro non è se non un quinto film dove il collegamento con l'originale è dato solo dal nome del protagonista, saldamente ancorato ai luoghi comuni di una serie dove il personaggio del titolo sembra condannato perennemente a risorgere per ripetere costantemente le stesse azioni, solo in contesti diversi e in film sempre più stanchi, brutti e privi di personalità. Dei quali questo nuovo capitolo non fa eccezione, ma tra i quali ha anche un pro e un contro che gli altri non hanno: è sicuramente più dignitoso di tanta altra spazzatura che ha portato il titolo "Il Corvo", ma al contempo dimostra di non aver capito assolutamente nulla né dello spirito del personaggio, né dello spirito di quella serie di film che, per quanto malriuscita, invece continuava a coltivarlo.
Per comprendere appieno l'errore madornale alla base di The Crow bisogna quindi ricordare che cos'era il The Crow cartaceo che a partire dal 1988 ha stregato milioni di lettori, compreso il compianto Brandon Lee.
L'opera di O'Barr era essenzialmente uno stumento per elaborare il lutto che lo aveva colpito. La storia è in realtà nota a chiunque si sia appassionato anche solo al film del 1994: l'autore nasce figlio di una donna fortemente alcolizzata e viene letteralmente tratto in salvo a pochi giorni dalla nascita da una casa nella quale nessuno si era accorto del parto. Cresce in solitudine in orfanotrofio, passando i primi anni della sua vita a difendersi dalle angherie di altri piccoli disperati e quando viene adottato, a circa sei anni, si ritrova in una famiglia che, pur amorevole, è spesso assente. Il suo carattere diventa quindi ruvido e persino violento, con il cinema e la passione per i fumetti a rappresentare le uniche valvole di sfogo in una realtà a dir poco priva di luce.
Una luce che arriva inaspettatamente quando, adolescente, incontra Beverly, una compagna di classe che, nelle sue stesse parole, era il suo opposto, una persona gioviale e carica di vita; la storia tra i due è quella che oggi con cinismo potrebbe essere descritta come la tipica love-story adolescenziale, ma che nel contesto della turbolenta vita dell'artista risulta davvero come un raggio di speranza. La quale viene dissolta quando Beverly muore a soli 18 anni, nel 1978, a causa di un camionista ubriaco che la investe.
O'Barr, incolpandosi della sua morte, precipita così in una spirale autodistruttiva fatta di droga e violenza spicciola, per tenere a bada le quali decide di arruolarsi nell'esercito. Inviato a Berlino, inizia a lavorare come illustratore dei manuali di combattimento e sopravvivenza, affinando la sua tecnica, ma il suo demone interiore non trova pace: leggenda vuole che rientrato in patria abbia anche cercato di uccidere il responsabile della morte di Beverly, nel frattempo deceduto per altri motivi.
Il senso di frustrazione e di disperazione diventano così insostenibili e inizia a disegnare le prime strips de Il Corvo per cercare una catarsi almeno in un mondo di fantasia. Il resto è storia: a seguito di vari rigetti, riesce a far pubblicare la sua opera grazie ad un accordo con la Caliber Comics di Kevin "Turtles" Eastman, il successo è immediato e i diritti per un adattamento cinematografico vengono venduti già nel 1991. Quando la tragedia ha colpito il set del film, O'Barr si è ritrovato nuovamente in una situazione disperata: l'infrangersi dell'amicizia che aveva stretto con Brandon Lee lo ha portato nuovamente sull'orlo del baratro, dal quale è fortunatamente riuscito ad uscire grazie all'amore di una famiglia che nel frattempo si era costruito.
Il Corvo, quindi, è alla sua base un esercizio per l'elaborazione del lutto, una storia di disperazione resa ancora più nera grazie all'intuizione, geniale, di alternare le immagini più crude ad un romanticismo salvifico; così che quella che astrattamente è una semplice storia di vendetta violenta "vigilante style" come se ne sono viste a bizzeffe in tutti i media, diventa una perfetta rappresentazione dell'umano dolore, causato dalla perdita di una forza salvifica impossibile da elaborare davvero.
Facile è stato per i lettori più sensibili amare questa graphic novel adulta nel senso migliore del termine, anche grazie allo stile punk rock e alle citazioni musicali e letterarie che O'Barr vi ha immesso, con rimandi agli amati Joy Division e a Rimbaud. Ancora più facile è stato amare quel tragico film che, pur riarrangiando ampiamente storia e personaggi, ne sapeva cogliere alla perfezione sia lo spirito tragico, sia quello più solare, oltre che all'atmosfera cupa e violenta, infondendovi inoltre un tocco goth che ne aggiornava lo stile al nuovo decennio
Bisogna quindi partire da un duplice presupposto: Il Corvo di O'Barr non era una semplice storia di amore e vendetta e non portava in scena un supereroe/vigilante che faceva semplicemente giustizia verso le forze del male; il film del 1994 riprendeva pienamente tale aspetto e ha anche il grosso pregio di essere invecchiato molto meglio di quanto si possa immaginare.
La differenza più marcata di questo nuovo film rispetto a tutte le altre incarnazioni (meno che verso lo scalcinato Preghiera Maledetta) è il cambio di registro e di look: tolto qualche riferimento ai Joy Division nella colonna sonora, non c'è traccia del punk originario, nel del dark goth cinematografico. Rupert Sanders ha optato per un'estetica inedita nella serie e ciò gli ha sicuramente concesso una nota di originalità quantomeno nel look.
Un look totalmente moderno, con un Eric Draven che è un trapper mezzo nudo e agghindato con uno strambo spolverino ai limiti dello steampunk. Mossa azzardata? Non proprio: bisogna pur sempre tenere presente che sia il fumetto che il film sfoggiavano un'estetica perfettamente accordata alla moda del tempo; una moda underground e controculturale, ma pur sempre una moda, la quale oggi come oggi persiste solo negli aficianados, soprattutto di lunga data, nonostante abbia fatto scuola anche grazie al film.
Una nuova incarnazione che si accordi alla moda odierna ha perfettamente senso e se tutto il film risulta scialbo in termini strettamente estetici è solo perché (è il caso di dirlo) il look punk e quello dark goth sono decisamente più belli da vedere su schermo. Fatto resta che almeno questo finto remake ha una sua personalità, la quale risulta ancora più marcata perché prodotto in un periodo storico dove ogni sequel/remake deve necessariamente riprendere in modo feticistico stile e stilemi dei capostipiti senza mostrare nulla di nuovo, con esiti talvolta imbarazzanti.
Va poi sottolineato come Il Corvo- The Crow non creasse davvero nessuna forma estetica del tutto inedita, almeno dal punto di vista strettamente cinematografico. Il film di Proyas era figlio né più nè meno del Batman di Tim Burton, dal quale ha ripreso il gusto per una messa in scena stilizzata, per una fotografia reminiscente del cinema horror classico e di quello espressionista e in generale un gusto per il gotico moderno che, come detto, andava a sostituire quel punk fumettistico che in immagini avrebbe reso il film più simile ad una pellicola sleazesploitation che ad un horror.
Anche Rupert Sanders riprende a sua volta la lezione esteitca di un altro film sull'Uomo Pipistrello per creare il suo The Crow- Il Corvo, ossia il The Batman di Matt Reeves, dal quale ricava il gusto per una metropoli notturna verosimile e immersa nei colori ambra e magenta dei lampioni. Ed è qui che sta uno dei problemi cardine del film, perché se il goth dark di Proyas era perfetto per trasmettere una sensazione di disagio e per ammantare i personaggi in un'atmosfera cupa e opprimente, il realismo quasi nolaniano di Sanders finisce per appiattire tutto.
Regia e fotografia cercano costantemente di trovare un'atmosfera che si attagli alla storia, ma falliscono miseramente; a tratti il gusto moderno paga anche, con qualche scena dove l'atmosfera autunnale e sleazesploitation riescono finalmente a filtrare, ma il tutto viene poi ammazzato dagli esterni giorno nell'assolata campagna americana, dagli interni che risultano anonimi anche quando ritraggono il lusso decadente di alcuni personaggi o da quegli orrendi colori pastello del centro di recupero. The Crow finisce così per non avere atmosfera, con un personaggio che si muove in un mondo anonimo nel quale non risalta neanche come creatura fantastica in un contesto verosimile, anzi risultando talvolta persino fuori ruolo. Manca in generale il senso di meraviglia, di bellezza, di stile. E se già questo sarebbe abbastanza per decretare il fallimento di questo revival, il vero colpo mortale lo infligge una sceneggiatura a dir poco pessima.
Tutti i luoghi comuni del moderno cinema di genere americano confluiscono a forza in meno di due ore; si parte da due protagonisti blandi: Eric è un tossicodipendente bullizzato dai compagni del centro di recupero, Shelly una tossicodipendente inseguita dal cattivone di turno. Il fatto che i due amanti immortali siano due tossici non deve stupire vista la volontà di riprendere gli stilemi della trap, che da sempre incensa le gioie della tossicodipendenza, tanto che non manca persino una scena nella quale i due si drogano come se fosse qualcosa di cui essere fieri e felici; più singolare è il fatto che regalando più screentime a Shelly la si trasforma paradossalmente in un personaggio peggiore (cosa successa di recente anche con la Chani di Dune- Parte Due): nel film originale era una ragazza che veniva punita perché si opponeva alle angherie di Top Dollar e alla speculazione edilizia di cui era fautore, qui è semplicemente una tossica che ha commesso un omicidio, nulla più. Vien da ridere se si tiene conto che l'amore di Eric nei suoi confronti vacilla quando scopre dell'omicidio, pur avendo piena coscienza del fatto che fosse stata manipolata dai poteri magici del cattivo Roeg.
Il fatto che il cattivo non sia un semplice criminale ma sostanzialmente uno stregone immortale che ha stretto un patto con il diavolo era anche un aspetto interessante; peccato però che non trovi sviluppo effettivo. In generale, tutta la trama sembra un semplice abbozzo dove manca ogni forma di sviluppo, con la "discesa all'inferno" di Eric che vive solo grazie a qualche dialogo.
L'intera storia di amore e morte viene poi raccontata in modo lineare, stabilendo per l'ennesima volta l'incapacità degli sceneggiatori americani di saper usare una struttura non lineare o anche semplicemente di usare la sintesi nella narrazione per immagini; l'intero film, di conseguenza, è diviso in due parti, letteralmente eros e thanatos, delle quali la prima è a dir poco atroce: l'incontro e l'attrazione tra Eric e Shelly sono forzatissimi, la loro unione dura giusto qualche giorno eppure sono innamoratissimi, come due adolescenti persi nel corpo di due ultraventenni (immaturi perché tossicodipendenti?) e la loro separazione finisce con il risultare insipida proprio perché preceduta da metà film costruita su esagerazioni e forzature.
Nella seconda parte le cose vanno anche peggio. Proprio a causa dell'incapacità di empatizzare per i due ragazzi, le uccisioni divengono pura vendetta dove non c'è traccia di disperazione o dolore. Il Corvo, qui, altro non è se non un Charles Bronson della trap la cui rappresaglia è persino sottolineata da un tasso di gore che finisce per glorificare la violenza spicciola. Ed è qui che The Crow si dimostra come del tutto ignorante nei confronti della sua base fumettistica, finendo per togliere a storia e personaggi ciò che li rendeva davvero memorabili, originali e riusciti.
Piatto come storia d'amore, piatto come storia di vendetta, piatto nella messa in scena, piatto persino nelle performance, con un Bill Skarsgaard che, povero lui, ci prova pure a dare spessore ad un personaggio monocorde ma non ci riesce, The Crow è piatto persino come film di supereroi, con l'ennesimo eroe che impiega praticamente tutto il film per sfoggiare il proprio look.
Alla fine della visione ci si accorge però di come questa piatta riproposizione del personaggio di culto sia sbagliata per un motivo sin troppo semplice: è il classico film hollywoodiano degli ultimi anni. E' l'adattamento di qualcos'altro, quindi non ha originalità; ha una sceneggiatura lineare, basilare, abbozzata priva di inventiva e di mordente; ha una messa in scena priva di stile, ispirazione e ambizione; si rifà a mode e modi squallidi risultando imbarazzante e urticante. In questo, Sanders ha davvero dato un'ottima lezione di moderno filmmaking.
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