con: Michael Keaton, Jack Nicholson, Kim Basinger, Michael Gough, Robert Wuhl, Billy Dee Williams, Pat Hingle, Jack Palance.
Fantastico/Supereroistico
Usa, Inghilterra (1989)
Se si pensa alle figure più rappresentative del mondo del fumetto americano, la mente corre immediatamente a due personaggi; il primo, ovviamente, è il Superman di Siegel e Shuster, mentre il secondo è il Batman di Bob Kane, anch'esso vero e proprio epinomo supereroistico elevato nel corso degli anni a vera e propria icona popolare. Eppure, chiunque conosca davvero il personaggio (anche per il solo tramite delle fortunate incarnazioni filmiche) è a conoscenza del fatto che Batman non è un supereroe vero e proprio: non ha superpoteri ed il suo codice etico, benché benigno, è molto più grigio rispetto a quelli di molti suoi colleghi, così come la sua caratterizzazione psicologica.
Questo perché quando Kane crea il famoso Uomo-Pipistrello, il mondo del fumetto americano non era ancora stato totalmente "schiavizzato" dalla figura del supereroe: ancora dominante era il genere noir, con detective privati da grilletto facile chiamati a risolvere casi simili a quelli del miglior Hammett.
Batman finisce per essere così un vero e proprio "rito di passaggio": è un detective vero e proprio, che combatte contro criminali comuni usando gadget iper-tecnologici, la comune forza fisica ed una ipersviluppata forza intellettiva, affinata da studi onnicomprensivi, ma veste con un costume, una maschera ed un mantello come un superuomo vero e proprio. I suoi nemici, almeno inizialmente sono coloriti super criminali, non alieni o mostri, ispirati per lo più dalla "rogue gallery" di un altro celebre detective dell'epoca, il Dick Tracy di Chester Gould.
Tra questi, quello che diviene quasi inizialmente una vera e propria nemesi del Pipistrello è il Joker, creato da Kane assieme a Bill Finger e Jerry Robinson; laddove Batman è divenuto, nel corso degli anni, la perfetta incarnazione del senso di giustizia, cupo ed oscuro poichè da temere, il Joker è invece quella del crimine: il ghigno folle, solo in prima apparenza gioviale, mostra la pazzia di un uomo pronto a qualsiasi forma di violenza per il proprio ludibrio; la sua risata, ispirata a "L'Uomo che Ride" (1928), diviene anch'essa parte della cultura pop, come simbolo dell'anarchia più pura e distruttiva
Benché destinate da un pubblico di bambini e giovani adolescenti, le storie di Kane e soci sono decisamente cupe e violente; lo stesso Batman, inizialmente, da buon detective non si fa scrupoli a freddare il delinquente di turno con un fidato revolver.
Ma è a partire dal 1954, la "Silver Age". che tutto cambia: il saggio di Frederic Wertham "The Seduction of the Innocence", con piglio totalmente a-scientifico ed ai limiti del cialtronesco, convince la conservatrice società americana che i fumetti causano violenza nei ragazzini, poiché nei riformatori i giovani internati li preferiscono a letture più consone, come romanzi e libri di scuola; decisamente convincente. E benché il bersaglio principale di Wertham fossero le serie antologiche dell'epoca, tra tutte il celebre "Tales from the Crypt", anche i supereroi non furono esenti dal seguire il nuovo codice di autoregolamentazione che fu istituito ad hoc. Le storie di Batman, in particolare, si fanno leggere e camp, talmente colorate e dal piglio bambinesco da sfociare, agli occhi di un adulto, nel trash. Periodo perfettamente incarnato dalla celebre serie televisiva con Adam West che vede i natali nel 1966 (trovando persino un'adattamento filmico questo stesso anno) e che terminerà solo a partire dalla fine degli anni '70, con l'inizio della cosidetta "Bronze Age"; fu particolarmente essenziale, a partire dal 1986, la gestione del personaggio affidata all'allora mitico Frank Miller.
"The Dark Knight Returns", miniserie in quattro numeri poi raccolta in graphic novel, è importante non solo per il restyling del personaggio, che torna ad essere il giustiziere cupo e violento delle origini, ma anche perché introduce per la prima volta (di concerto con il coevo "Watchmen") il concetto di caratterizzazione psicologica nel fumetto supereroistico; oltre che un carattere, ora i giustizieri in maschera hanno anche una psiche, spesso sconvolta dalle tragedie del passato. Da simpatico detective pronto ad ammazzare il teppista di turno, Batman diviene così un uomo ossessionato dalla sua idea di giustizia, incapace di soffrire il concetto di criminalità, perennemente in lotta con il male terreno, ma anche con i propri demoni interiori. A partire da questo momento, nella serie regolare, il personaggio viene dotato anche di un ferreo codice morale: la famosa "no kill rule", ossia il giuramento di non togliere mai una vita per non divenire al pari dei "mostri" che persegue.
Ma nell'opera di Miller troviamo un Batman invecchiato e disilluso, che spesso infrange il giuramento se messo alle strette. L'ultima crociata del Cavaliere Oscuro è un viaggio violento ed affascinante in un mondo in rovina ed una lettura profonda e sfaccettata, perfetta incarnazione "matura" delle tematiche del personaggio.
Il successo del Batman di Miller è globale, ma limitato al solo mondo dei comics. Nonostante l'accoglienza trionfale riservata ai primi due film su Superman, la ritrosia per un adattamento su Grande Schermo del personaggio è comune presso i grandi studios; dopotutto, in quegli anni i supereroi al cinema floppavano con "Superman IV" (1987) e "Supergirl" (1984); l'investimento necessario per dar vita alla Gotham City dei fumetti sarebbe stato ingente e rischioso. Fu però lo sceneggiatore Sam Hamm, fumettofilo convinto, a convincere lo stralunato produttore Jon Peters a portare su schermo le avventure ed i personaggi di Batman.
Scottati dalla visione del camp del Batman anni '60, Peters e soci ricercarono quasi ossessivamente un regista in grado di rendere credibile il personaggio su schermo; nella short-list figuravano solide figure di autori e mestieranti di Hollywood, come Joe Dante ed Ivan Reitman, ma a spuntarla fu un giovane autore, Tim Burton, all'epoca reduce dall'ottima accoglienza riservata al suo "Beetlejuice" (1988). Lo stile cupo ed ironico della pellicola ben si attagliava alla visione dark ed adulta del personaggio ricercata. E Burton, di certo non un fan dei fumetti, sebbene inizialmente riluttante, salì a bordo del carroccio con entusiasmo sempre crescente.
Il risultato fu uno dei blockbuster più amati di sempre, trionfatore ai botteghini nell'estate del 1989 e fautore della cosiddetta "Bat-Mania", la riscoperta del personaggio da parte delle masse popolari, che ora più che mai si impose come perfetta icona pop.
Successo inizialmente niente affatto scontato. All'annuncio del casting, molti storsero il naso: Jack Nicholson era troppo vecchio per il ruolo del Joker (ben 53 anni, troppi per essere un clown criminale credibile, sulla carta), mentre Michael Keaton era un attore conosciuto per i suoi ruoli nelle commedie ed in alcuni sketch del Saturday Night Live, con un fisico da ragioniere di certo non adatto ad essere credibile come giustiziere mascherato; in via teorica, Keaton era lontano anni luce dal poter essere una scelta credibile, al punto che molti fan, infuriati, inondarono di lettere di protesta la redazione della Warner, anticipando in tutto e per tutto gli haters internettiani.
Dubbi che si sarebbero sciolti come neve al sole una volta giunti in sala. Nicholson dà vita ad un Joker irresistibile, un clown assassino scatenato nel quale fa confluire tutti i tic che lo hanno reso celebre; non la sua interpretazione più originale, certo, ma di sicuro la più divertita, in grado di divorare tutto il film; mentre Keaton si rivela scelta ancora più felice: la sua voce profonda e lo sguardo torvo infondo al Batman cinematografico un carisma inaspettato, che ne evidenziano talvolta gli aspetti più cupi; il costume di scena, per il resto, copre le sua mancanze fisiche.
Casting a parte, questo secondo adattamento del Batman fumettistico è flagellato da un difetto grave: una sceneggiatura a dir poco mediocre; Sam Hamm e Warren Skaaren decidono, inspiegabilmente, di aprire il film dal punto di vista dei giornalisti interpretati dalla Basinger e da Robert Wuhl e di accennare soltanto alle origini di Batman, il quale, per di più, non viene caratterizzato a dovere, rimanendo, sulla carta, un personaggio monodimensionale: perchè ha deciso di intraprendere la sua crociata contro il crimine? Qual'è il vero mestiere di Bruce Wayne? Perchè passa le notti appeso a testa in giù? E, come sottolineato da una battuta nel film stesso, dove prende i suoi gadget iper-tecnologici? Non ci è dato sapere: il Batman del film resta quindi affidato totalmente a Keaton, che fortunatamente riesce a renderlo se non interessante, quantomeno carismatico; il Joker, invece, da Principe del Crimine di Gotham viene trasformato in una sorta di dandy folle: un "artista dell'omicidio" che si diverte a compiere stragi; lo scontro tra i due è così puramente pretestuoso: la trama è assente e la storia si appoggia unicamente sulla dialettica buono vs. cattivo, per di più sottolineata da un'improbabile rivalità in amore, come se questi due personaggi non potessero essere, su schermo come su carta, nulla più che figurine impegnate a schernirsi per un paio d'ore.
Non c'è, in sostanza, vero dramma nella storia e neanche quella profondità di visione delle opere di Miller, il cui Batman viene però ripreso come modello; il Batman di Burton non si fa certo scrupoli ad uccidere chiunque gli capiti a tiro, ma non ha una psicologia coerente o chiara.
Laddove la sceneggiatura fallisce, fortunatamente la regia trionfa: Burton, ottenuto un alto budget, dà sfogo alla sua immensa creatività e coadiuvato dal grande scenografo Anton Furst (giustamente premiato con l'Oscar), crea una pellicola gotica, cupa ed affascinante: le scenografie scure e polverose (su tutte la magnifica cattedrale gotica del finale) e il design elegante del costume di Batman e della mitica bat-mobile sono pura gioia per gli occhi; la fotografia cita a piene mani dal cinema espressionista, con tagli di luce ricercati che sottolineano i movimenti ed i lineamenti dei personaggi, rendendo tutta la visione affascinante. Così come da antologia sono le scenografie di interni, che rileggono l'art deco anni '30 in chiave moderna per dar vita ad un ibrido quasi post-moderno tra visioni passate e modernità contemporanea.
Burton diviene così fautore di una sorta di cinema-scenografico, che affascinerà molti autori nel corso degli anni (primo fra tutti Alex Proyas per il suo "Il Corvo" del 1994) e che lo porterà ad essere giustamente riverito come uno dei migliori esteti della fine del secolo; ottimo anche il suo senso del ritmo: sa perfettamente come enfatizzare i dialoghi e le scene d'azione, non annoiando mai nonostante la debolezza della storia.
"Batman" è, in sintesi, una pellicola poco riuscita, ma estremamente affascinante: il cast affiatato ed il tocco visionario di Burton creano un film unico e divertente, giustamente divenuto un cult per gli spettatori dei primi anni '90. La mancanza di solidità nella storia e di profondità nei personaggi passano spesso in secondo piano, rendendo la visione leggera e grondante di carisma. Non stiamo di certo parlando di un capolavoro: Burton riuscirà a gestire meglio atmosfere e personaggi nel seguito "Batman- Il Ritorno" (1992) e ben più solido sarà il lavoro svolto dai fratelli Nolan nella "Trilogia del Cavaliere Oscuro", ma pur sempre di una pellicola spettacolare ed elegante.
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