venerdì 5 aprile 2013

Pusher

di Nicolas Winding Refn

con: Kim Bodnia, Mads Mikkelsen, Laura Drasbæk, Zlatko Buric, Slavko Labovic, Peter Andersson.

Danimarca (1996) 













---SPOILERS INSIDE---

Inutile negarlo: Nicolas Winding Refn è il cineasta più interessante degli ultimi anni; danese di nascita, americano d'adozione, Refn è fautore di un cinema iperrealista, saldamente ancorato al genere, ma dalle radici sociali innegabili. Refn esordisce in patria nel '96: in pieno periodo di emulazione tarantiniana, l'autore preferisce formulare uno stile proprio, che non tenga conto di citazioni e che non rinneghi la matrice ipereale del cinema, in perfetta antitesi con i suoi connazionali Lars Von Trier e Tomas Vinterberg e il loro Dogma '95.



"Pusher" è essenzialmente il ritratto di un uomo senza vita; Frank (Kim Bodnia) è un piccolo spacciatore di Copenaghen; per sette giorni ne seguiamo le "gesta": le chiaccherate con l'amico Tonny (Madds Mikkelsen), la sua strana relazione con la bella prostitua Vic (Laura Drasbæk) e il rapporto con il suo capo, il boss della mala di origine albanese Milo (Zlatko Buric).


Frank, si diceva, non ha una vita: il suo ruolo di piccola tacca nel meccanismo dello spaccio lo rende una sorta di "uomo in sospeso", che non va da nessuna parte; la sua storia con Vic non è amore, nè sesso: è una semplice frequentazione; il suo rapporto con Milo è del tutto privo di ogni significato: sono un mero datore di lavoro ed un mestierante; i suoi guai con la polizia non portano da nessuna parte.
A differenza dei protagonisti dei gangster movie americani che adora, Frank non è un anti-eroe, nè un uomo d'azione: la sua esistenza è piatta, monotona, ripetitiva; non ci sono scontri a fuoco ad aspettarlo fuori nelle strade, nè una resa dei conti finale a farlo finire in gloria, solo la routine dei sette giorni interrotta bruscamente dal guoio della perdita della droga.



Il sottobosco del crimine nella visione di Refn è dunque una specie di Purgatorio perenne: la vita non comincia e non finisce, Frank non ha origini, nè meta; nello splendido epilogo, il personaggio resta sospeso tra la vita e la morte come nei sette giorni precedenti; la sua condizione di non-essere non permette lui una realizzazione e nemmeno una fine; Frank sparisce: finito il film, finisce anche lui.
Al suo esordio, si diceva, Refn gira l'intero film con la camera a mano: pedina letteralmente il personaggio, come a volersi inserire a forza nella sua vita; l'effetto è realista e, al contempo, iperrealista: le luci al neon da colori caldi e avvolgenti e la bella musica tecno creano un'atmosfera ai limiti dell'onirico, che stride con il ritratto crudo del personaggio e il taglio naturalista delle inquadrature; l'effetto è ammaliante perchè perfettamente equilibrato: non una sbavatura, non un eccesso nell'estetica, Refn controlla perfettamente la messa in scena dall'inizio alla fine.



"Pusher" è l'esordio folgorante di un grande autore, un perfetto esempio di cinema realista forte ed esteticamente appagante.

Nessun commento:

Posta un commento