venerdì 19 aprile 2013

M.Butterfly

di David Cronenberg.

con: Jeremy Irons, John Lone, Barbara Sukowa, Ian Richardson, Annabel Leventon, Shizuko Hoshi.

Drammatico 

Usa, Canada (1993)

















---SPOILERS INSIDE---

Il rapporto della critica e del pubblico con "M. Butterfly" è (ed il termine è più che mai azzeccato) ambiguo. Il talento di Cronenberg nel portare in scena una storia talmente strana da poter essere solo vera viene anche riconosciuto, eppure si persiste, solitamente, persiste sempre a categorizzarlo come un film poco riuscito, persino all'interno della filmografia di un autore che non ha sbagliato quasi nessun film (verrebbe da dire solo "Fast Company" e "A Dangerous Method"). Il perché è anche presto detto: il "colpo di scena" sull'identità sessuale del personaggio di Song Liling è telefonato e non aiutato dal fatto che ad interpretarlo sia un attore riconoscibile come John Lone, che all'epoca dell'uscita originaria del film era divenuto celebre grazie a "L'Ultimo Imperatore" di Bertolucci.
Inutile dire come questa categorizzazione sia in realtà una svista, tanto che è stato lo stesso Cronenberg, in diverse interviste, a confermarlo: deve essere chiaro sin dall'inizio che il personaggio di Song è uomo, poiché l'attrazione di René Gallimard nei suoi confronti è totalmente mentale, un'illusione chiara a tutti fuorché a lui. E tale è la vera chiave di lettura di una pellicola che pur uscita a poco tempo di distanza da altre simili (ossia "La Moglie del Soldato" e "Addio mia Concubina"), non vuole adagiarsi sul semplice scandalo spiazzante dato dal colpo di scena, quanto creare un'indagine acuta sulla fluidità identitaria, sessuale e non, di un uomo.



La genesi stessa del film è alquanto inusuale. Cronenberg assiste quasi per caso all'opera teatrale di David Henry Hwang (dove il ruolo di Song Liling era affidato ad un giovane BD Wong) e ne resta colpito al punto di volerne dirigere l'adattamento per il cinema. Questo era già in lavorazione presso la Geffen Pictures, la quale voleva inizialmente affidarne la regia a Peter Weir. Trovato l'autore ideale nel grande regista canadese, la produzione prende il via tra Pechino, Parigi e Budapest, permettendo per la prima volta a Cronenberg di uscire dal natio Canada. Per il ruolo di Gallimard, sceglie Jeremy Irons, grazie all'ottima collaborazione in "Inseparabili", mentre John Lone è praticamente l'unica scelta vagliata.
Lo script viene affidato allo stesso Hwang, che espande in parte il materiale originale. La storia è quella, in parte reale, in parte riarrangiata per ovvi motivi drammaturgici, della relazione tra Bernard Boursicot e Shi Pei Pu; lui diplomatico francese nella Cina Maoista dei primi anni '60, l'altra cantante dell'Opera di Pechino, in realtà uomo, che si finge donna per sedurlo ed estorcere informazioni utili al regime.
Nella finzione, i due personaggi divengono René Gallimard e Song Liling, ma il loro rapporto resta il medesimo, colorandosi tuttavia di significati ed implicazioni ulteriori.




La mutazione è quella percettiva, di una realtà alterata dai sensi deviati da un'infatuazione puramente virtuale. Gallimard è in primis un uomo stretto tra due mondi inconciliabili, l'Occidente e l'Oriente. E se del prima ha una visione abbastanza obiettiva, del secondo non può che avere un'idea alterata da una formazione culturale antiquata, del tutto figlia dei suoi tempi, che vede l'Estremo Oriente (la Cina degli anni '60 come il Giappone del XIX secolo di Puccini, del tutto intercambiabili ai suoi occhi) come una terra di conquista, un luogo dove il padrone bianco può affermare la sua superiorità culturale e sessuale.
Da cui la visione di una donna sottomessa ai bisogni fisici ed emotivi di un padrone, di un maschio marito/padre/padrone la cui soddisfazione è missione di vita.




Da cui derivano i due conflitti principali, quello tra culture e quello tra sessi.
La cultura orientale, quella cinese in particolare, è vista come un qualcosa di arcaico e arcano. Nonostante il suo ruolo di diplomatico, Gallimard non parla né comprende il mandarino e finisce per vagare spaesato in un luogo ai suoi occhi magico, tanto remoto quanto affascinante.
Il rapporto con Song gli apre in parte la mente, facendoli capire come molti pregiudizi verso l'Oriente siano dati dal suo innato senso di superiorità (in primis, il bel dialogo che apre il loro rapporto, sull'effettivo valore umano di un personaggio come quello di Butterfly), ma la sua visione resta pur sempre ancorata ad una forma mentis che prevede una subordinazione tra conquistato e conquistatore, che si ripercuote anche nel rapporto umano e amoroso con il partner.



Nel rapporto amoroso, la carne è vero e proprio corpo estraneo: il fascino, per Gallimard, risiede nella castità di Song, il cui corpo non può naturalmente essere mostrato; l'attacamento per una forma di attrazione del tutto casta, che si sostanzia unicamente in una scena di penetrazione anale mostrata con pudicizia porta il protagonista alla repulsione effettiva per il nudo e, quindi, per il corpo; la sua attrazione è data dal fascino più che dalla carne in sè, come mostrato nella scena in cui è costretto ad andare a letto con la dignitaria tedesca: donna anch'essa affascinante, ma dalla fisicità estrema, il cui corpo nudo, al contempo prorompente e decadente, gli provoca una forte ripulsa.
Allo stesso modo, l'attrazione per la moglie scompare. Questa vive nel corpo di una al solito splendida Barbara Sukowa e, benché casta, non provoca la stessa attrazione data da Song, vista come oggetto esotico e quindi prezioso. Tanto che il personaggio scompare un pò alla volta sino a perdersi nello sfondo degli eventi.




La trasfigurazione del gender, per Cronenberg, è dovuta ad una percezione traviata della realtà e di fatto per quasi tutto il film lo sguardo di Renè è celato da un'ombra: i suoi occhi non vogliono vedere la realtà, preferiscono immaginarla; ma la sua percezione e quella dello spettatore (a differenza di quanto avveniva ne "Il Pasto Nudo" e "Videodrome"), non coincidono, da cui la palese falsità del ruolo di Song. E quando l'incanto si infrange, l'identità va in pezzi e con essa anche il corpo: alla non-realtà del sentimento corrisponde la necessaria distruzione di quella carne che ne è stata prolungamento.
Da cui consegue, ovviamente, l'estrema effettiva ambiguità dei ruoli tra vittima e carnefice. Song è Butterfly nella mente di Gallimard, Gallimard è Butterfly nella realtà effettiva, da cui la sua trasformazione anche fisica nel finale, trasfigurazione effettiva di una nuova percezione di sé ( dal quale deriva anche l'ovvia ambiguità del titolo).



Per la prima volta, Cronenberg infrange il suo usuale stoicismo per una messa in scena più libera e spettacolare, fatta di crane e carrelli, con una macchina da presa che sa quando muoversi e quando fermarsi per indugiare sulla pittoricità delle immagini. Su tutte, ovviamente, a trionfare è la veduta della Grande Muraglia, che il grande artista inquadra con gusto spettacolare restituendone appieno la grandezza in pochissimi fotogrammi.



"M. Butterfly" è così un melodramma potente, solidissimo nella costruzione della storia e graziato da un duo di attori magnifici. Un'opera solo apparentemente anomala nella filmografia di Cronenberg che ne compendia il lato più umano.

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