The Lords of Salem
di Rob Zombie
con: Sheri Moon Zombie, Bruce Davison, Jeffrey Daniel Phillips, Ken Foree, Meg Foster, Dee Wallace.
Horror
Usa, Inghilterra, Canada (2012)
Horror americano, ovvero: Slasher Movie e Torture Porn, due filoni triti, ritriti e forieri di pellicole noiose o, peggio, spocchiose (si, "Hostel"), di visioni vecchie di trent'anni e di brividi che latitano; il genere sovversivo per antonomasia, in pratica, si è fossilizzato, negli States, divenendo emblema della massificazione e del conformismo estetico; almeno da venti anni a questa parte: negli anni'70, l'horror americano, che all'epoca viveva la sua "Golden Age", era duro, coraggioso ed impietoso verso il suo pubblico, poichè visto dagli autori dell'epoca come mezzo per la sperimentazione tecnica e per la critica politica (basti vedere capolavori quali "La Notte dei Morti Viventi" del 1968 o "Non Aprite quella Porta" per accorgersene), non come mero espediente per raggranellare soldi facili.
Nel decennio scorso un solo regista è riuscito a riprendere la tradizione estetico-contenutistica della "Golden Age" e a creare pellicole di certo non originali, ma interessanti: Rob Zombie, ex rocker (dapprima come front-man dei White Zombie, poi come solista) passato al cinema, in realtà sua passione primigenea; Zombie è un cultore dell'horror anni'70, in particolare della pellicola di Hooper: il suo esordio, "La Casa dei 1000 Corpi" (2003) ne è in tutto e per tutto un remake gonfiato ed immerso in una interessante atmosfera visionaria (altro che quella schifezza, ad esso coeva, diretta dal videoclipparo Marcus Niespel).
Al suo sesto lungometraggio Rob Zombie conferma le sue doti di visionario dell'horror e dimostra di aver quasi acquisito la padronanza piena del mezzo filmico: "Le Streghe di Salem", pur non essendo una pellicola riuscitissima, è un vero e proprio manifesto artistico dell'autore.
Già a partire dalla trama, Zombie riprende un topos dell'horror gotico e lo reinterpreta in chiave moderna: un disco industrial rock che richiama forze demoniache nella città di Salem (citazione di "Murderrock" del 1984, diretto da Lucio Fulci, oltre che famosa leggenda metropolitana americana), famosa per la caccia alle streghe nel XVII secolo; ascoltato il pezzo, la dj locale Heidi LaRoc (Sheri Moon Zombie, moglie dell'autore) comincia a precipitare in un incubo ad occhi aperti che la porterà a scoprire la verità sulle forze malefiche che ancora infestano il luogo.
Se nei lavori precedenti Zombie si rifaceva al cinema di Hooper, Carpenter e di Tim Burton (le visioni gotiche di "Halloween II" del 2009) e Sam Peckinpah (dal quale riprende il tono crepuscolare ed elegiaco nello splendido "La Casa del Diavolo" del 2005), questa volta pesca a piene mani da altri tre grandissimi autori: Stanley Kubrick, Roman Polanski e, sopratutto, Lucio Fulci.
Impossibile non notare le somiglianze tra le mitiche steady all'interno dell'Overlook Hotel di "Shining" (1980) e il modo in cui Zombi inquadra l'appartamento n°5, i corpi nudi e grinzosi delle steghe e, soprattutto, il cerimoniale nella parte finale, la cui geometricità delle inquadrature e le cui scenografie sembrano uscite dritte dritte dal capolavoro di Kubrick; il tema dell'avvento dell'Anticristo concepito da una donna manipolata da una combricola di satanisti viene invece da un altro pilastro dell'horror moderno, "Rosemary's Baby" (1968) di Polanski, dal quale Zombie riprende anche il finale disperato e non consolotario; ma l'influenza maggiore, si diceva, è quella di Lucio Fulci, in particolare del cult "...E tu vivrai nel Terrore! L'Aldilà" (1981): Zombie si rifà apertamente al prologo del film del regista romano per la fotografia delle visioni del sabbath, anche qui virata al seppia, in una splendida monocromia che fa davvvero sembrare il film come un prodotto vecchia scuola, uscito nei mitici '70.
Zombie imbastisce una mitologia satanica classica: tutti i simboli del male vengono ripresi certosinamente e riportati su schermo; nelle visioni apocalittiche, in particolare nello scioccante finale, il regista dà il meglio di sè: barocco, eccessivo disturbante, ma mai autocompiaciuto, Zombie riesce davvero ad infastidire con sabbath malefici, parti osceni e rinascite maligne come forse non se ne sono mai viste in un film di serie A; l'universo del film è malato e decadente: Zombie non celebra il satanismo, ma lo mostra per quello che è, ossia la sovversione completa e totale della cosmogonia cattolica, riuscendo davvero a spiazzare anche lo spettatore meno credente; da antologia, in particlare, i costumi del cerimoniale della nascita, dove i personaggi non hanno volto e venerano il caprone, simbolo del male assoluto.
Riducendo l'uso del montaggio quasi a zero (tant'è che per la maggior parte del film si può parlare di mero assemblaggio delle inquadrature), l'autore si concentra sulle singole inquadrature sia per le scene visionarie, che per quelle di pura tensione naturalistica; Zombie dimostra così una padronanza maggiore della grammatica filmica rispetto al passato, riuscendo a costruire le singole scene con poche inquadrature e dando loro il giusto ritmo. Più acerba è, invece, la narrazione generale: troppo lenta la prima parte, quasi noiosa, come se l'autore aveese paura di mostrare subito le sue carte migliori; arrivare al terzo atto è davvero un'impresa, tra personaggi inutili e scene puramente didascaliche (la spiegazione della maledizione) che nulla aggiungono alla narrazione e che anzi la ingolfano inutilmente.
Pur nella sua lentezza, "Le Streghe di Salem" è una pellicola affascinante e sconvolgente, il punto d'arrivo imperfetto ma visionario di un autore che dimostra un talento inusuale in un panorama desolante quale quello del cinema horror made in U.S.A..
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