di Gabriele Salvatores
con: John Malkovich, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Peter Stormare.
Drammatico
Italia (2013)
Cosa davvero abbia voluto fare Salvatores con questo suo "Educazione Sbieriana" resta un mistero: alla fine dei 110 minuti di durata della pellicola ci si rende conto di come lo stimato regista, forse per la sua smodata voglia di aggiungere particolari alla trama e di distanziarsi dal semplice gangster movie, non sia davvero riuscito ad esprimere nulla di compiuto nè di originale.
Basato su un romanzo omonimo scritto da Nicolai Lillim, il film vorrebbe essere uno spaccato della comunità criminale siberiana nel sud della Russia e, al contempo, una storia di amicizia ed onore, fallendo però su entrambi i fronti.
La descrizione dei rituali tradizionali della mafia siberina è insistito, ma superficiale: per tutto il film si assiste ad una serie di aforismi e racconti narrati dal personaggio di John Malkovich, ma il contenuto dei gesti, dei costumi e delle usanze non viene mai spiegato, nè descritto a dovere; colpa di una pessima sceneggiatura, che non dà lo spazio necessario alla formazione del personaggio di Kolyma (Arnas Fedaravicius), in teoria il punto di vista dello spettatore sulla comunità, fino al punto che la sua passione per i tatuaggi e il ruolo che questi hanno per i criminali viene solo accennato in un paio di scene, disorientando lo spettatore meno preparato sull'argomemtno (a differenza di quanto invece accadeva nello splendido "La Promessa dell'Assassino" di David Cronenberg del 2007).
Peccato imperdonabile nella desrizione del microcosmo siberiano è, però, l'estrema idealizzazione di cui è ammantato: i Siberiani vengono ritratti di fatto come dei ladri gentiluomini; il protagonista, sebbene usi la violenza, non uccide mai su schermo e appare, nel contesto, come un "buono", nonostante i gesti crudi che effetua; più che criminali, i Siberiani sono, agli occhi dell'autore, dei saggi galantuomini votati alla ribellione contro il sistema; peccato che nella realtà si tratti di mafiosi a tutti gli effetti: la descrizione manichea che vorrebbe contrapporli agli altri clan russi, più violenti e sfacciati, fallisce e risulta di cattivo gusto, anche se si tiene conto che questi ultimi vengono mostrati solo di sfuggita, evitando ogni confonto effettivo e lascinado tutta l'enfasi sui riti, elogiati ai limiti dell'agiografico, dei protagonisti.
Sul versante del "racconto di vita", poi, il film si suicida completamente; i personaggi sono scialbi e stereotipati, la loro caratterizzazione è puramente formale e subordinata alla narrzione e alle sue presunte metafore: Kolyma è il buono, custode delle antiche tradizioni, Gagarin è il cattivo perchè volitivo e irrispettoso; la loro distinzione è netta e, anche qui, manichea, nonostante entrambi siano dei criminali; su tutti è però il persnaggio di Xenya ad infastidire: dovrebbe essere l'incarnazione dell'innocenza e una figura salvifica nel contesto, in teoria cupo, della storia, ma, a causa della pessima caratterizzazione e della recitazione fuori controllo di Eleanor Tomlinson, risulta essre una mera caricatura e le scene in cui è protagonsta sembrano delle barzellette.
Dulcis in fundo: nonostante l'ambientazione storica (la fine della Guerra Fredda e gli anni'90), la sceneggiatura ignora totalmente i cambianti storici affrontati dalla Russia nel periodo, relegando a mero sfondo l'occidentalizzazione forzata del territorio e l'ascesa al potere della mafia russa, alla faccia dello spaccato cultural-geografico.
Forse Salvatores voleva creare una sorta di "C'era una volta in America" moderno: le citazioni e i debiti verso il capolavoro di Sergio Leone sono molteplici e talvolta imbarazzanti, sopratutto alla luce del risultato finale; fatto sta che il mestiere del regista stenta a riconoscersi: la sua bravura nella costruzione delle scene si nota, qui, più che altro nella composizione delle inquadrature e nelle, pochissime, scene d'azione, davvero ben coreografate; peccato che talvolta il suo estro estetico venga castrato da un montaggio insicuro, che fa ricorso persino a tagli e stacchi nella medesima inquadratura, retaggio del peggior cinema italiano degli anni '90.
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