di Mamoru Oshii
Animazione/Fantascienza/Cyberpunk/Poliziesco
Giappone (1995)
Anni '90: l'elettronica e l'informatica si affermano definitivamente nella vita delle persone; Internet comincia a divenire un mezzo di comunicazione di massa e le possibilità della realtà virtuale e della computer graphic vengono esplorate in ogni campo del sapere.
Quelle che fino a qualche anno prima erano le visioni della letteratura Cyberpunk, ora si insinuano nel reale; la "Matrice" di Gibson è la Rete, che connette ogni individuo e diviene realtà ulteriore a quella materiale; mentre la dissociazione tra Io reale ed identità virtuale idealizzata, così come preconizzata da Philip K.Dick, diviene più concreta per il tramite degli ID virtuali e degli avatar utilizzati dagli utenti.
Il contesto sociale comincia a cambiare forma, a mutare in qualcosa di differente eppure ancora simi a sé; ogni persona ha un proprio PC (talvolta più d'uno), indispensabile per il lavoro e, pian piano, anche per la vita sociale, che adesso comincia ad esprimersi anche per il tramite delle chatline e dei forum.
Quella che nelle due decadi precedenti era considerata fantascienza, ora diviene più reale, tanto che il filone del Cyberpunk, benché salito alla ribalta anche nella cultura mainstream, di lì a poco si esaurirà; dalle visioni di William Gibson viene tratto lo sfortunato "Johny Mnemonic" (1995), mentre gli adattamenti dei romanzi di Dick si fanno più radi; a rappresentare meglio questa nuova coscienza verso una tecnologia sempre più avanguardistica è così un'altra opera, che trova le sue radici in un manga di quello Shiro Masamune già autore del celebrato "Appleseed": "Ghost in the Shell", adattamento per il Grande Schermo diretto da Mamoru Oshii.
Pubblicato a partire dal 1989, "Ghost in the Shell" segue le vicende di un gruppo di cyber-poliziotti di una metropoli del futuro, la Sezione 9 di Pubblica Sicurezza, impegnati nella repressione di crimini informatici, in un mondo dove la Rete è divenuta parte integrante dell'essere umano: l'uso di cervelli e corpi cibernetici permette alle persone di essere permanentemente connesse, con tutte le conseguenze possibili. Membri di questo gruppo sono Motoko Kusanagi, capo operativo soprannominata "Il Maggiore" e hacker di classe S, Batou, ex ranger esperto in armamenti, Ishikawa, anch'egli esperto in hackeraggio, nonché Togusa, il più umano del gruppo, dotato di un corpo ancora biologico.
La scrittura di Masamune è a dir poco bizzarra: spende interi capitoli a descrivere il funzionamento e la costruzione dei corpi virtuali, per poi immergere la protagonista in scene erotiche ai limiti del hentai, alternando, di volta in volta, situazioni leggere ad una storia portante seriosa, spesso interrotta da capitoli autoconclusivi che narrano singole indagini portate avanti spesso dai soli Batou e Togusa.
Nel processo di adattamento, Oshii elimina ogni deriva umoristica e prosciuga la narrazione, mantenendo al centro solo i personaggi essenziali alla trama di base e concentrandosi totalmente sulla psicologia di Motoko per cercare una risposta ad un interrogativo scottante: cosa rende un essere vivente davvero umano?
In un mondo dove la Rete è parte della persona, il confine del corpo, elemento etimologico volto a caratterizzare un essere vivente in quanto tale, scompare; la connessione neurale comporta il superamento di una barriera implicita all'essere, creando una coscienza collettiva nel quale l'Io può perdersi. Di conseguenza, cosa rende davvero una persona tale?
Il termine "ghost" viene adoperato, sian nel film che nel manga, per indicare il complesso tra mente, coscienza ed anima ed usato per indicare quella parte dell'essere che lo rende effettivamente cosciente. L'I.A. non esiste, forse, ma in un mondo dove la coscienza può perdersi in un flusso infinito di metadati, il confine tra il ghost e la pura informazione è labile (di fatto, sia nel manga che nel sequel "Innocence" si fa riferimento ad un processo di duplicazione del ghost). La certezza sulla propria identità viene poi del tutto azzerata quando all'equazione si aggiunge il fatto che anche i corpi fisici sono il risultato di ingegneria bionica, trasformando le persone in veri "ghost in the shell".
L'essere umano diviene così simile alla macchina, dotato di una mente che è ai limiti della pura informazione e di un corpo che è prodotto di serie. Motoko, nel riflettere sullo stato dell'esistenza, incontrerà, in una sequenza poetica ed agghiacciante, un suo doppione, un altro essere umano che ha il suo medesimo modello corporeo.
Ne consegue una perdita totale e definitiva di certezza sul concetto stesso di identità: il singolo può essere manipolato tramite l'hacking del cervello elettronico che possiede, le sue memorie possono essere riscritte e, di conseguenza, la sua identità cambiare di volta in volta. Senza la certezza dell'unicità fisica, ogni appiglio identitario viene azzerato
D'altro canto, la macchina diviene più simile all'essere vivente; quello che è il villain della storia, il Marionettista, hacker in grado di penetrare nei cervelli e "muoverli" a piacimento, si scoprirà essere non altri che un programma della difesa che, perso nel flusso costante di informazioni, ha acquisito coscienza. Una volta acquisita la certezza della propria esistenza, si chiude all'interno di un corpo cibernetico, lo stesso modello di Motoko, divenendone un Io speculare: entrambi sono essere consci dei loro limiti, entrambi ambiscono alla certezza identitaria. Ma laddove l'essere umano è smarrito nell'incertezza, la macchina vuole evolversi, divenire simile al suo creatore così come l'uomo ambisce a divenire Dio. L'avvicinamento ad un essere umano di sesso femminile (ossia in grado di generare vita, anche se nei dialoghi si chiarisce come un corpo artificiale non ne sia in grado) è una sorta di amore, attrazione verso una metà in grado di completare sé stessi in qualcosa di altro. La differenza biologica tra uomo e macchina, in fondo, risiede ora in sole due attività: riprodursi e morire.
Nel momento generativo, che avviene all'ombra di una riproduzione dell'Albero della Vita a sottolineare lo stato evolutivo, i due esseri si fondono in una nuova forma di vita, una creatura né umana. né bionica, ma dotata di entrambe le nature e al contempo connessa all'enormità della Rete, quindi a tutte le coscienze del mondo (una divinità elettronica?).
Oshii, in merito, non dà giudizi, si limita a contemplare questa bizzarra evoluzione dell'essere. Così come contempla i dubbi che affliggono Motoko: non cerca risposte che non siano aperte, non si tira indietro neanche dinanzi agli interrogativi più complessi, né cerca soluzioni facili, stimolando costantemente la mente ad una riflessione feconda ed intrigante.
I suoi cyborg sono simili e al contempo diversi dai replicanti di "Blade Runner" (1982): laddove questi ultimi erano la nuova umanità in cerca di vita e risposte, quelli di Oshii sono ancora umani che si domandano cosa li renda davvero tali; interrogativi simili e al contempo diversi, poichè se Roy Batty alla fine comprende il valore di ogni vita, Motoko continua ad essere smarrita, a non trovare una risposta certa neanche quando il suo Io evolve allo stato successivo.
Il futuro in Oshii cui immerge la vicenda, ormai prossimo (il 2029), è una visione al contempo vicina e lontana; a differenza di quanto faceva Scott con "Blade Runner", non c'è qui la riproposizione di estetiche passate giustapposte ad altre futuribili, quanto l'assimilazione del passato, riproposto in chiave avvenieristica; lo stile è più compatto, in un certo senso più visionario, anche se meno ameno e vivo; l'influenza di Scott è comunque avvertibile dall'uso espressivo delle luci e dei colori, ma "Ghost in the Shell" resta comunque caratterizzato da una propria estetica immediatamente riconoscibile.
Differisce da "Blade Runner" anche il modo in cui Oshii (e prima di lui Masamune su carta) si approccia al genere poliziesco; si distanzia in parte dal noir, sopratutto nelle atmosfere, ma vi si riconnette utilizzando il solo punto di vista dei protagonisti sulla vicenda, per dar vita ad una rielaborazione del registro più personale, meno vicina alla tradizione.
Dal capolavoro di Scott viene ripreso, semmai, lo stilema narrativo della contemplazione; Oshii alterna sequenze d'azione al cardiopalma magnificamente dirette a momenti smaccatamente introspettivi, dove anche la narrazione viene frenata per dar spazio all'interiorità della protagonista; adagiandosi alla splendida colonna sonora di Kenji Kawai, si insinua nei dubbi del personaggio creando immagini poetiche ed evocative, in grado di far colpo sulla mente per il tramite dei sensi in modo genuino, come solo la pura arte sa fare.
Tanto che il termine "capolavoro" per una volta non sarebbe abusato. Basti pensare, in proposito, all'influenza che "Ghost in the Shell" ha esercitato già all'indomani del suo arrivo in Occidente, dalle lodi sperticate di James Cameron sino alla creazione di "Matrix" (1999), vera e propria imitazione travestita da omaggio.
EXTRA
In tema di anime, Cyberpunk e sperimentazioni musicali:
L'influenza di "Ghost in the Shell" è però anche avvertibile in due serie di culto:
"serial experiments lain" del 1998, ideato e scritto dal duo Yasuyuki Ueda e Yoshitoshi Abe, tratta la tematica della dicotomia tra identità reale e virtuale, aggiungendo ai temi di "Ghost in the Shell" quello smaccatamente dickiano della percezione alterata del reale
"Texhnolyze" del 2003, creato dagli stessi autori di "serail experiments lain"; opera tra le più crude mai create per il piccolo schermo dall'animazione nipponica, immerge i temi dell'identità e dell'evoluzione in un futuro distipico.
Ottenuto un successo solo discreto in patria (a fronte di un'accoglienza invece trionfale in America), "Ghost in the Shell" venne poi adattato per il piccolo schermo nel 2002 con la serie "Ghost in the Shell- Stand Alone Complex"
Composta da 26 episodi, la serie è stata prodotta sempre dalla Production I.G. di Oshii, ma scritta e diretta da Kenji Kamiyama. Abbandonato il tono introspettivo e filosofico del film, l'anime ha un taglio più diretto e di genere; grazie ad una scrittura stratificata e complessa, riesce a creare un mix tra thriller poliziesco e Cyberpunk di ottima fattura.
La trama si pone come prequel al film, riprendendo i primi anni di vita della Sezione 9, anche se la data degli eventi è il 2030, come a volersi porre in alternativa al lungometraggio.
Il successo ottenuto dalla serie ha poi portato alla creazione di una seconda stagione, denominata "2nd Gig" e andata in onda nel 2004.
Mantenendo gli stessi toni e l'eccellente scrittura, Kamiyama, sostituisce le tematiche Cyberpunk con la fantapolitica; aspramente criticato dai fan per tale scelta, "2nd Gig" è invece un seguito riuscito ed interessante, che getta luce sul passato dei singoli membri della Sezione 9, compreso quello di Motoko.
Terza incarnazione di "Stand Alone Complex" è lo special "Solid State Society"del 2006
Seguito di "2nd Gig", vorrebbe essere un ideale tramite tra l'anime ed il film, ma finisce per essere poco più di una confusa rielaborazione della trama di quest'ultimo. Ad oggi, una delle incarnazioni peggiori dell'opera di Masamune.
Fortemente colpiti dalla visione di "Ghost in the Shell", i fratelli Wachowski ne hanno ampiamente saccheggiato estetica e sequenze. Irritato da un tale scempio, Mamoru Oshii decise di creare una sorta di riedizione del primo film. Uscito nel 2006, "Ghost in the Shell 2.0" è una sorta di versione ritoccata della pellicola, dove gli iconici titoli di testa vengono modificati, la palette di colori dominanti (verde e blu) sostituita per renderla più simile a quella del seguito "Innocence" (2004) e alcune sequenze chiave sostituite da modelli in CGI di modestissima fattura. L'esito è semplicemente inguardabile, degno dei peggiori exploit di Lucas.
Nessun commento:
Posta un commento