Das Schloß
Di Michael Haneke
Con: Ulrich Mühe, Susanne Lothar, Frank Giering, Felix Eitner, Nikolaus Paryla.
Drammatico
Austria (1997)
Nel 1997, lo stesso anno in cui si impone al grande pubblico con il
capolavoro "Funny Games", Haneke firma anche una delle sue prove meno
riuscite, questo "Il Castello", adattamento dell'omonimo romanzo,
rimasto incompiuto, di Franz Kafka.
In un vilaggio perso nel tempo e
nello spazio, giunge uno straniero, K.(Ulrich Mühe), chiamato a
rivestire l'incarico di agrimensore presso il signore del castello del
luogo; fin da subito, K. si scontra con l'ostilità dei villici e con la
burocrazia cieca ed impenetrabile che li governa e li stritola.
La
metafora del genio di Kafka è chiara e forte: K. è un ribelle, un uomo
pensante e libero che si scontra con un potere assoluto, rappresentato
dall'irrangiungibile Castello, che dall'alto del colle s'impone sul
villaggio e i suoi abitanti; K. non ha nome, non è un essere umano
poichè agli occhi del potere egli è solo un unità, un pezzo di un tutto
privo di personalità vera e propria; lo scontro tra le due forze è
immane: K. è un agrimensore, il suo lavoro è misurare i terreni di
proprietà del nobile, dunque di limitarne ed imbrigliarne il potere; ed
il potere non può accettare limitazioni, poichè altrimenti non potrebbe
governare su tutto e su tutti; incarnazione del potere è la burocrazia,
lenta e farraginosa, la quale più che aiutare i singoli ad interagire
con il potere, li schiaccia attraverso la confusione delle sue formule
arzigogolate al limite dell'onanismo al fine di poterli controllare; la
personificazione di tale sistema è data dalle figure che K. di volta in
volta incontra: un'umanità abbruttia al punto da non potersi nemmeno più
definire tale, personaggi schiavi dei loro ruoli e dei loro diffetti,
talmente assoggettati al potere da non avere quasi più una coscienza
propria.
Se il romanzo di partenza, dunque, è affascinante e
sconvolgente, l'adattamento che ne fa Hanke risulta, paradossalmente,
noioso e spossante, fin troppo freddo persino per gli standard del
cinema del meastro austrico; come già in "71 Frammenti di una Cronologia del Caso", anche qui Haneke frantuma il racconto; ogni scena è quasi un
mondo a sè stante che si lega a stento alle altre mediante stacchi
lunghi; stile narrativo perfetto per dar forma alla materia di base, ma
che diviene un impaccio per l'attenzione dello spettore; questo perchè
ogni singola scena è costruita con una freddezza geometrica, atta a dar
corpo all'atmosfera cupa e fastidiosa del romanzo; Haneke, dunque,
riesce si a creare un perfetto contraltare del romanzo, ma non ad
intrigare: si assiste passivi alle disavventure di K. senza mai davvero
essere colpiti da ciò a cui si assiste; siamo lontani anni luce,
purtroppo, dalla magnificenza di un altro adattamento kafkiano, lo
splendido "Il Processo" (1962), diretto dal grande Orson Welles.
"Il
Castello" è, in definitiva, un film più riuscito che affascinante, in
cui si cominciano a delineare alcuni dei difetti del cinema di Haneke, i
quali esploderanno più in là, ne "Il Tempo dei Lupi", la sua opera meno
riuscita.
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