di Paul Thomas Anderson
con: Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern.
Drammatico
Usa (2012)
Cinque anni dopo il suo primo vero capolavoro, "Il Petroliere", Paul Thomas Anderson torna ad indagare sulle origini dell'America moderna; questa volta affronta un tema scottante: le sette religiose e la loro influenza sugli individui.
Nel 1950, Freddie Quell (magistralmente interpretato da Joaquin Phoenix) è un reduce della Seconda Guerra Mondiale afflitto da una forte dipendenza da alcool e da devianze sessuali; spiantato e violento, per sfuggire ad un linciaggio s'imbarca clandestinamente su uno yacht; qui incontra Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), sedicente guru di una setta parascientifica; il carattere scontroso ed introverso di Quell affascina da subito il santone, il quale decide di accoglierlo nella sua congrega per tentare di redimerlo.
Già leggendo queste poche righe appare chiaro l'intento dell'autore: "The Master" è, così come lo era il precedente film, la storia di un incontro/scontro tra personalità opposte; Quell è un uomo alla deriva: sfatto, perennemente ubriaco (o peggio), prigioniero dei suoi vizi e delle sue devianze, ma che non accetta compromessi; sebbene rimpianga il suo passato, ossia l'amore perduto di una giovane ragazza conosciuta nella sua città d'origine, non si ferma mai: viaggia senza meta, scontandosi contro tutto ciò che gli si para innanzi; Dodd, d'altro canto, afferma di essere uno scienziato, ma altri non è che un plagiatore di menti, uno schiavista vero e proprio (il "Master" del titolo), che cerca di imbrigliare Quall non tanto e non solo per aiutarlo, ma più semplicemente per dimostrare di poter dominare tutto e tutti grazie al suo carisma.
Il rapporto tra i due personaggi viene costruito da Anderson in modo elaborato e complesso: Quell, smarrito nella notte, trova Dodd, come in una parabola mistica; questi lo accoglie, ne fa il suo pargolo prediletto, al punto che la figura del vero figlio di Dodd risulta per tutta la pellicola come marginale, quasi assente; Quell accetta l'aiuto del maestro con devozione e fede cieca: non si fa scrupolo ad usare la violenza per punire chi questiona i metodi della setta e si avvicina ai dogmi della stessa con un fervore religioso; man mano che la pellicola procede, però, il protagonista inizia ad aprire gli occhi: le cerimonie sono futili, i riti inutili, i dogmi impossibili da accettare: l'intero credo altro non è che una truffa organizzata per lucrare a scapito dei creduloni; e qui la metafora su Scientology e il suo creatore L. Ron Hubbard si fa palese; tuttavia Anderson riesce a non cadere nella trappola e il racconto continua a focalizzarsi sempre sui personaggi.
Ecco dunque che Quell diviene dapprima il figliol prodigo verso quella figura genitoriale da sempre cardine nel cinema di Anderson, poi un vero e proprio ribelle, il quale fugge e ritorna più volte; Dodd comprende di aver trovato un uomo che non può dominare: tutto ciò che dava per scontato va in crisi; l'affondo più forte arriva nel finale, circolare e terribile: dopo tutte le sue esperienze, Quell ritorna letteralmente alla prima inquadratura, non ha imparato nulla, non è guarito, nè migliorato; la sedicente religione parascientifica non serve a nulla: come più volte ribadito nel corso del film, il metodo "crononautico" inventato dal maestro altro non è che una bufala data in pasto ad un pubblico vorace, il cui successo è dovuto a circostanze "esterne": la crisi, personale e nazionale, degli americani e la paranoia imperante nei primi anni della Guerra Fredda.
Se ne "Il Petroliere" Anderson creava immagini forti e ipnotiche, in questo "The Master", invece, pur non rinunciando ad una cifra stilistica originale, le sue inquadrature si fanno più strette, anche negli spazi aperti: tutto è giocato sui primi piani dei personaggi e sugli ambienti cuciti su di loro, che prendono vita grazie a grandangoli stroboscopici che doppiano il punto di vista distorto del protagonista.
Possente e profondo, "The Master" conferma la grandezza di Anderson quale autore e ne dimostra la poliedricità stilistica: potente da punto di vista visivo, fortissimo nei contenuti.
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