lunedì 18 febbraio 2013

Benny's Video

di Michael Haneke

Con: Arno Frisch, Ulrich Mühe, Angela Winkler, Stephanie Brehme, Ingrid Stassner.

Austria, Svizzera; 1992

 


Due volte vincitore della palma d'oro a Cannes (prima con "Il Nastro Bianco" nel 2009, poi nel 2012 con "Amour") Michael Haneke è senza dubbio uno dei registi più interessanti del panorama cinematografico europeo contemporaneo, nonchè uno dei meno convenzionali a livello mondiale.
Laureato in psicologia, Haneke predilige nelle sue opere un punto di vista distaccato, quasi chirurgico, rispetto alla materia trattata; e poichè quest'ultima riguarda quasi sempre i mali e le brutture della società odierna è facile intuire come il suo cinema possa essere spiazzante, finanche scomodo alle volte.
Nel 1992, dopo aver diretto una serie di film per la televisione e aver esordito al cinema, tre anni prima, con " Der siebente Kontinent", si impone all'attenzione della critica internazionale con questo "Benny's Video", film crudo e spiazzante sulla violenza minorile nella società contemporanea.



La trama è semplice: Benny (Arno Frisch) è un ragazzino introverso e annoiato, che si diletta a girare video in cui i suoi genitori (Ulrich Mühe e Angela Winkler) sono intenti ad uccidere i maiali della fattoria di famiglia; lasciato solo per un fine settimana, conosce al video store di fiducia una giovane ragazza (Ingrid Stassner); dopo averla inviata a casa, di punto in bianco, la uccide e ne filma la morte.
La tesi di Haneke è chiara fin dall'inizio: nella società moderna, la sovraesposizione della violenza nei mass media e la trasformazione della stessa in componente ludica al cinema portano ad una percezione del male inflitto come qualcosa di del tutto normale, quasi ordinario; e di fatto, Benny uccide la ragazza senza nessun motivo: non per malizia, nè per perversione e, alla fin fine, nemmeno per noia; non vi è alcun movente, nè motivo giustificante: l'atto dell'uccisione di un essere umano è equipollente, nella percezione del ragazzo, a quello dell'abbattimento di un animale da macello; è infatti l'omicidio viene compiuto tramite una pistola ad aria compressa che il ragazzo ha sottratto ai genitori, dopo averli visti e ripresi nel metre qusti la usavano per uccedere un maiale. 



 Tuttavia, come detto, Benny non si limita ad uccidere: per completare il suo video, filma la morte e la giustappone a quella dei maiali; la tesi del film si fa ancora più chiara se si correla questa scena a quelle di repertorio mostrate nelle fasi precedenti; come accennato, Haneke mostra la sovraesposizione mediatica della violenza: per tutto il film assistiamo a spezzoni di telegiornali che insistono nel descrivere le crudeltà perpretrate nelle zone di guerra; inoltre, questa violenza reale viene agganciata a quella, finta, del cinema: Haneke ci mostra la violenza estrema e parossistica del cinema americano degli anni '80, in particolare quella presente in "The Toxic Avenger" (1984), famigerato splatter targato Troma che in quegli anni furoreggiava in lungo e in largo come film cult; questa trasformazione della violenza da componente sgradevole e rivoltante a "parco giochi" grottesco innesca nello spettatore la percezione che essa non sia qualcosa di sbagliato, bensì qualcosa di divertente, da prendere alla leggera per farsi due risate; dunque, in un ragazzino, la cui personalità viene formata dai media in assenza della figura genitoriale (di fatto assente per tutta la prima parte del film) la violenza diviene cosa comune, ordinaria e, in ultima analisi, forma espressiva.


Se il personaggio di Benny risulta quindi sgradevole, lo shock più grande si ha quando tornano in scena i due genitori; questi, messi di fronte al crimine del figlio, non battono ciglio: con un cinismo spiazzante, ai limiti del rivoltante, mettono in scena un piano per sbarazzarsi del cadavere ed evitare che il ragazzo sia incriminato. L'autoassoluzione, dunque, trionfa: se Benny non percepisce il suo atto come criminogeno a causa di fattori esterni, i genitori non vogliono condannare il figlio per un fattore a loro interno, ossia le loro manchevolezze nell'educazione del ragazzo; il crimine dell'adulto, dunque, è anche peggio di quello dell'infante, poichè egli ha coscienza della devianza insita nell'atto criminale, ma si rifiuta di ammetterla. Va detto che, a questo, Haneke si da anche un pò la zappa sui piedi: quando Benny vola in Egitto assieme alla madre per sfuggire alla polizia, continua a girare il suo video inquadrando immagini di bambini del luogo intenti a chiedere l'elemosina per sopravvivere; qui l'autore cede alla trappola della facile retorica giustapponendo l'innocenza di un paese in difficoltà al male insito in una cultura modernizzata; tesi condivisibile, per carità, ma che messa di punto in bianco al centro dell'opera e senza nessun approfondiment (neanche due linee di dialogo) risulta più che altro pretenziosa. Per fortuna, nell'ultimo atto Hanake conclude degnamente la vicenda: Benny denuncia i genitori per l'omicidio; è la cosa shockante è che non lo fa per salvarsi o per ripicca, ma per semplice noia: ancora, il ragazzo non ha la percezione del male che infligge, ma, alla fin fine, nemmeno del bene che riceve.



La grandezza di Haneke, oltre che da un punto di vista contenutistico, sta però anche e sopratutto nello stile: non cade mai in contraddizione, nella narrazione usa sempre un distacco netto dalla materia, non enfatizza nulla e lascia la morte "fuori campo"; di fatto, nella scena dell'omicidio non vediamo la ragazza accusare il colpo inflitto da Benny, nè sangunare, ma solo barcollare ed accasciarsi per terra, con metà del corpo fuori dall' inquadratura; si ha, così, un pudore, una forma di rispetto per la morte, appunto per evitare che sia lo spettatore stesso a percepirla come qualcosa di finto, messa lì solo per suscistare una reazione emotiva; reazione che, paradossalmente, non manca: il non mostrare la violenza diviene così più sgradevole che percepirla direttamente, facendoci capire in pieno come essa non sia affatto divertente, ma, al contrario, orripilante.

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