di Michael Haneke
Con: Arno Frisch, Ulrich Mühe, Angela Winkler, Stephanie Brehme, Ingrid Stassner.
Austria, Svizzera; 1992
Due volte vincitore della palma d'oro a Cannes (prima con "Il Nastro
Bianco" nel 2009, poi nel 2012 con "Amour") Michael Haneke è senza
dubbio uno dei registi più interessanti del panorama cinematografico
europeo contemporaneo, nonchè uno dei meno convenzionali a livello
mondiale.
Laureato in psicologia, Haneke predilige nelle sue opere
un punto di vista distaccato, quasi chirurgico, rispetto alla materia
trattata; e poichè quest'ultima riguarda quasi sempre i mali e le
brutture della società odierna è facile intuire come il suo cinema possa
essere spiazzante, finanche scomodo alle volte.
Nel 1992, dopo aver
diretto una serie di film per la televisione e aver esordito al cinema,
tre anni prima, con " Der siebente Kontinent", si impone all'attenzione
della critica internazionale con questo "Benny's Video", film crudo e
spiazzante sulla violenza minorile nella società contemporanea.
La
trama è semplice: Benny (Arno Frisch) è un ragazzino introverso e
annoiato, che si diletta a girare video in cui i suoi genitori (Ulrich
Mühe e Angela Winkler) sono intenti ad uccidere i maiali della fattoria
di famiglia; lasciato solo per un fine settimana, conosce al video store
di fiducia una giovane ragazza (Ingrid Stassner); dopo averla inviata a
casa, di punto in bianco, la uccide e ne filma la morte.
La tesi di
Haneke è chiara fin dall'inizio: nella società moderna, la
sovraesposizione della violenza nei mass media e la trasformazione della
stessa in componente ludica al cinema portano ad una percezione del
male inflitto come qualcosa di del tutto normale, quasi ordinario; e di
fatto, Benny uccide la ragazza senza nessun motivo: non per malizia, nè
per perversione e, alla fin fine, nemmeno per noia; non vi è alcun
movente, nè motivo giustificante: l'atto dell'uccisione di un essere
umano è equipollente, nella percezione del ragazzo, a quello
dell'abbattimento di un animale da macello; è infatti l'omicidio viene
compiuto tramite una pistola ad aria compressa che il ragazzo ha
sottratto ai genitori, dopo averli visti e ripresi nel metre qusti la
usavano per uccedere un maiale.
Tuttavia, come detto, Benny non si
limita ad uccidere: per completare il suo video, filma la morte e la
giustappone a quella dei maiali; la tesi del film si fa ancora più
chiara se si correla questa scena a quelle di repertorio mostrate nelle
fasi precedenti; come accennato, Haneke mostra la sovraesposizione
mediatica della violenza: per tutto il film assistiamo a spezzoni di
telegiornali che insistono nel descrivere le crudeltà perpretrate nelle
zone di guerra; inoltre, questa violenza reale viene agganciata a
quella, finta, del cinema: Haneke ci mostra la violenza estrema e
parossistica del cinema americano degli anni '80, in particolare quella
presente in "The Toxic Avenger" (1984), famigerato splatter targato
Troma che in quegli anni furoreggiava in lungo e in largo come film
cult; questa trasformazione della violenza da componente sgradevole e
rivoltante a "parco giochi" grottesco innesca nello spettatore la
percezione che essa non sia qualcosa di sbagliato, bensì qualcosa di
divertente, da prendere alla leggera per farsi due risate; dunque, in un
ragazzino, la cui personalità viene formata dai media in assenza della
figura genitoriale (di fatto assente per tutta la prima parte del film)
la violenza diviene cosa comune, ordinaria e, in ultima analisi, forma
espressiva.
Se il personaggio di Benny risulta quindi sgradevole, lo
shock più grande si ha quando tornano in scena i due genitori; questi,
messi di fronte al crimine del figlio, non battono ciglio: con un
cinismo spiazzante, ai limiti del rivoltante, mettono in scena un piano
per sbarazzarsi del cadavere ed evitare che il ragazzo sia incriminato.
L'autoassoluzione, dunque, trionfa: se Benny non percepisce il suo atto
come criminogeno a causa di fattori esterni, i genitori non vogliono
condannare il figlio per un fattore a loro interno, ossia le loro
manchevolezze nell'educazione del ragazzo; il crimine dell'adulto,
dunque, è anche peggio di quello dell'infante, poichè egli ha coscienza
della devianza insita nell'atto criminale, ma si rifiuta di ammetterla.
Va detto che, a questo, Haneke si da anche un pò la zappa sui piedi:
quando Benny vola in Egitto assieme alla madre per sfuggire alla
polizia, continua a girare il suo video inquadrando immagini di bambini
del luogo intenti a chiedere l'elemosina per sopravvivere; qui l'autore
cede alla trappola della facile retorica giustapponendo l'innocenza di
un paese in difficoltà al male insito in una cultura modernizzata; tesi
condivisibile, per carità, ma che messa di punto in bianco al centro
dell'opera e senza nessun approfondiment (neanche due linee di dialogo)
risulta più che altro pretenziosa. Per fortuna, nell'ultimo atto Hanake
conclude degnamente la vicenda: Benny denuncia i genitori per
l'omicidio; è la cosa shockante è che non lo fa per salvarsi o per
ripicca, ma per semplice noia: ancora, il ragazzo non ha la percezione
del male che infligge, ma, alla fin fine, nemmeno del bene che riceve.
La grandezza di Haneke, oltre che da un punto di vista contenutistico,
sta però anche e sopratutto nello stile: non cade mai in contraddizione,
nella narrazione usa sempre un distacco netto dalla materia, non
enfatizza nulla e lascia la morte "fuori campo"; di fatto, nella scena
dell'omicidio non vediamo la ragazza accusare il colpo inflitto da
Benny, nè sangunare, ma solo barcollare ed accasciarsi per terra, con
metà del corpo fuori dall' inquadratura; si ha, così, un pudore, una
forma di rispetto per la morte, appunto per evitare che sia lo
spettatore stesso a percepirla come qualcosa di finto, messa lì solo per
suscistare una reazione emotiva; reazione che, paradossalmente, non
manca: il non mostrare la violenza diviene così più sgradevole che
percepirla direttamente, facendoci capire in pieno come essa non sia
affatto divertente, ma, al contrario, orripilante.
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