lunedì 18 febbraio 2013

The Way Back



di Peter Weir
 

Con: Jim Sturgess, Ed Harris, Colin Farrell, Saoirse Ronan, Mark Strong

Drammatico/Storico


Usa, Polonia, Emirati Arabi (2010)












Stranamente, in più di venti anni dalla caduta dell'Unione Sovietica, il cinema americano ha frequentato pochissimo il tema della situzione politica al di là della cortina di ferro; a porre rimedio a tale mancanza ci pensa questa coproduzione internazionale, arrivata nel Bel Paese solo in home video, diretta dal grande regista australiano Peter Weir; su quest'ultimo una nota è d'obbligo: conosciuto dal grande pubblico per successi quali "L'Attimo Fuggente", "Master & Commander", "Green Card" e sopratutto "The Truman Show", Weir deve invero la sua fama ai primi film, caratterizzati da atmosfere oniriche e sognanti ("Picnic ad Hanging Rock") o dall'impegno "generazionale" ("Gli Anni Spezzati") o politico ("Un Anno vissuto pericolosamente"); è quindi d'obbligo aspettarsi qualcosa di più da questo "The Way Back" che un semplice spacccato della vita nei gulag e della successiva fuga.


 Nel 1940, il giovane ufficale dell'armata rossa Janusz (Jim Sturgess) viene deportato in un gulag siberiano con l'accusa di spionaggio; qui conosce un altro prigioniero politico, Khabarov (Mark Strong), con il quale elabora un disperato tentativo di fuga: raggiungere la Mongolia e, da lì, fuggire in India o morire come uomini liberi.
Tratto da una storia realmente accaduta, "The Way Back" è una storia di sopravvivenza: Junusz guida un gruppo di uomini e donne attraverso montagne e desrti; questi devono ben presto imparare a sopravvivere: cacciare, difendersi dai lupi e dalle avversità della natura, procurasi l'acqua e il riparo; Weir mette subito in chiaro le cose: solo il più forte sopravvive, i deboli, di fatto, sono i primi a morire; eppure il racconto, sopratutto nella prima parte, manca di enfasi: l'autore sembra voler operare un distacco verso personaggi e situazioni che però non continua per tutto il corso del film; viene quindi a mancare l'empatia necessaria per appassionarsi alle loro vicende. 



Fortunatamente, nella seconda parte, con l'arrivo del gruppo in Mongolia, Weir dimostra di avere ancora del mestiere: gli spazi immensi e la piccolezza dei personaggi a confonto con la natura selvaggia vengono sottolineati da splendidi e spettacolari campi lunghi, che ammaliano l'occhio e la mente; tuttavia, anche qui qualcosa non torna: il distacco dell'autore continua a farsi sentire prepotentemente, sia sotto forma di mancanza di enfasi che di atmosfera; infatti, nonostante i personaggi sappiano di essere ad un passo dalla sconfitta, nulla sottolinea questa loro situazione, se non il semplice fatto che questi muiano schiacciati dalla natura. 


L'incapacità di simpatizzare per i protagonisti, tuttavia, è anche dovuto alla sceneggiatura: essa infatti li descrive come figure bidimensionali, statiche, il cui carattere viene svelato non tanto tramite le azioni, ma, in modo più convenzionale, dalla loro storia passata, appesantendo così il racconto; il fondo lo si tocca con il personaggio interpretato da Colin Farrell: un ladro sporco, violento e irsuto, talmente sopra le righe da sembrare una caricatura.


Un vero peccato, dunque, che questa prova di Weir non convinca del tutto: il suo stile c'è ancora, sebbene disancorato dalle atmosfere oniriche che lo resero famoso alla negli anni '70; peccato che si aggrava ulteriormente se si pensa che probabilmente bisognerà aspettare molti altri anni per vedere un suo nuovo film.

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