domenica 24 febbraio 2013

Rabid, Sete di Sangue

Rabid

di David Croneneberg.

con: Marilyn Chambers, Frank Moore, Joe Silver, Howard RyshpanPatricia Gage, Susan Roman.

Horror

Canada (1976)














Ottenuto il successo e la fama con il folgorante "Il Demone sotto la Pelle", David Cronenberg riesce ad ottenere quasi immediatamente i fondi per un secondo lungometraggio. Quel "quasi" è dovuto all'ostilità da parte delle autorità canadesi: nonostante il forte riscontro di cassetta, il suo primo lungo ha suscito diverse polemiche a causa dei forti contenuti erotici. Poco male: "Rabid" è, di fatto, la perfetta evoluzione di "Shivers", sia sul paino tematico che stilistico-estetico, la conferma del talento del suo autore e, nuovamente, un successo di pubblico e critica.



La giovane e bella Rose (Marylin Chambers) resta coinvolta in un rovinoso incidente stradale. Ricoverata d'urgenza presso la clinica privata del dottor Keloid (Howard Ryshpan), questi decide di curarla usando una procedura inedita, che consiste nel far rigenerare il tessuto interno distrutto partendo da un lembo della sua stessa pelle. Un mese dopo, Rose sviluppa una strana mutazione con la quale infetta chiunque venga a contatto, trasformando il prossimo in una creatura rabbiosa.




La tematica della mutazione del corpo torna e trova una declinazione ancora più estrema. Laddove i parassiti di "Shivers" erano organismi esterni che mutavano quello ospite, quella di "Rabid" è in primis una mutazione del tutto autogena, alla quale la scienza sperimentale ha solo dato inizio. tra l'altro involontariamente.
La figura del dottor Keloid è quasi antitetica a quella del dottor Hobbes. Laddove quest'ultimo perseguiva un fine del tutto insano, il primo cerca invece di aiutare il prossimo, al punto che persino il soccorso prestato alla protagonista è del tutto spontaneo. L'orrore si sviluppa da sé, in modo non previsto e non voluto, come una forma tumorale, con la generazione di un nuovo organo, una sorta di pungiglione che preleva il sangue delle vittime e le infetta con una forma estrema di idrofobia.




L'infezione si propaga nuovamente tramite l'afflato amoroso, ma questa volta in modo più casto, tramite un semplice abbraccio, che rende la metafora venerea ancora più estrema. Il casting di Marylin Chambers, all'epoca nota per gli exploit hardcore, può quindi indurre a pensare ad una condanna dell'industria del sesso, ma si tratta in realtà di pura speculazione: Cronenberg inizialmente voleva per la parte Sissy Spacek (da cui il poster di "Carrie" che appare in modo evidente in una delle scene centrali), ma fu Ivan Reitman a convincerlo ad ingaggiare la nota attrice hard per puri motivi di riconoscibilità nel circuito del cinema di genere. Scelta che comunque si è rivelata felice, data la sua ottima performance, che la fa risultare credibile sia come vittima che come vampira untrice.
E questa volta, lo scoppio dell'epidemia è solo il primo atto: a Cronenberg interessa portare in scena la reazione della società al male che vi si diffonde. Torna così il possibile paragone con Romero, in questo caso con "La Città verrà distrutta all'Alba", che già portava in scena una forma di infezione simile. Ma laddove il grande cineasta di Pittsburgh rifletteva sulla violenza generata dalla paranoia del contagio piuttosto che da quella generata dal contagio in sé, a Cronenberg interessa esclusivamente quest'ultimo aspetto: nel suo mondo la brutalità scaturisce sempre a partire dagli infetti, quella dei tutori dell'ordine costituito è ad essa del tutto collaterale e reazionaria.




L'infezione questa volta non porta ad un 'esasperazione della sessualità, ma al polo opposto, all'esasperazione della componente violenta, con gli esseri umani che regrediscono ad uno stato ferale, pronti ad aggredire chiunque capiti a tiro per il gusto di infliggere violenza. Non un risveglio dei sensi che obnubila la mente, quanto la perdita totale del raziocinio che porta ad un appagamento di una forma di "fame" (o "sete di sangue" come recita il titolo italiano, in riferimento all'ematofagia della protagonista) che si traduce in aggressione gratuita. Da cui un collasso sociale che resta però sempre sullo sfondo di una storia ancorata ai suoi personaggi, in particolare a Rose, vettore suo malgrado del virus, vittima e carnefice inconsapevole perché schiava di un bisogno primordiale ineludibile.




Benché girato appena un anno dopo l'uscita in sala dell'esordio, l'evoluzione stilistica di Cronenberg rispetto a quest'ultimo è evidente. Complice anche un budget più consistente, può permettersi una fotografia  meno secca, con più chiaroscuri e soprattutto con immagini più profonde e sequenze più dinamiche. La sua mano è più solida e ferma e questa sua seconda prova nel lungometraggio non fa altro che confermarne il talento anche come semplice creatore di immagini.

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