lunedì 24 aprile 2017

Green Room

di Jeremy Saulnier.

con: Anton Yelchin, Imogen Poots, Patrick Stewart, Alia Shawkat, Callum Turner, David W.Thompson.

Thriller

Usa 2015

















Cercare l'originalità nell'approccio al cinema horror è, oggi come oggi, cosa assi ardua: la sovraproduzione di pellicole a piccolo e piccolissimo budget e la loro sovraesposizione nei numerosi festival ha portato alla ripetizione ciclica di cliché, luoghi comuni, filoni e tematiche che quasi mai vengono riletti in chiave personale ed originale (basti vedere il recentissimo "The Void"). Un regista come Jeremy Saulnier ha però dalla sua una carta quasi vincente, ossia una grossa esperienza nel mondo della fotografia filmica che gli ha permesso di girare due pellicole, "Murder Party" (2007)  e "Blue Ruin"(2013), in cui la ricerca dell'originalità veniva affiancata da una marcata componente estetica, che portava a risultati certamente non nuovi, ma perlomeno dotati di una propria anima.
Con "Green Room" va in un certo senso oltre e riprende un topos ultracollaudato per colorarlo (letteralmente) con situazioni inedite, talvolta spiazzanti, riuscendo in parte a creare una pellicola vivida e feroce.



Il topos è quello del kammerspiel, dell'unità di tempo e luogo e dell' "assedio" dei protagonisti, ossia la ripresa della "situazione alla Carpenter"; la "green room" del titolo è quella in cui sono prigionieri un gruppo di giovani punk rockers ed un ragazza, colpevoli di aver assistito ad un omicidio da parte di un naziskin appena uscito di galera. Ad essere originale, per prima cosa, è appunto il mondo in cui il topos viene immerso, ossia quello del punk rock e dei naziskin dell'entroterra americano.
Il gruppo di caratteri viene ridotto all'osso: c'è un protagonista ebreo che ha il volto da vittima designata del compianto Anton Yelchin, una donna forte interpretata da Imogen Poots, mentre gli altri membri del gruppo di protagonisti sono pura carne da macello. Dall'altro lato, gli assalitori, capitanati da un Patrick Stewart che asciuga la sua performance sino all'essenziale, caratterizzando il capo nazi come un normale capo ufficio.



Perché lo stile è secco, crudo, brutale e diretto. Benchè non vi sia un ricerca ossessiva dell'efferratezza, in "Green Room" tutto è distillato per giungere all'essenza; a partire dalla storia, che stranamente viene disvelata un pò alla volta per rivelarsi come estremamente semplice e funzionale, passando per i caratteri dei personaggi, tutti riconducibili a ruoli ben delineati e funzionali, ma mai fastidiosi nella loro piattezza.
La violenza è cruda e mostrata in modo diretto: Saulnier non si tira indietro quando c'è da mostrare uno sbudellamento, ma sa dosare il visto con il sussurrato, creando un ottimo effetto viscerale.



Così come ferma è la sua mano sulla suspanse, che nonostante qualche caduta di tono, non cerca si esprime mai tramite i trucchi, ma sempre tramite il nervosismo indotto dalla situazione di assedio.
E l'originalità arriva così per tramite dello stile secco sino al osso (da applausi la battuta finale) e dal contesto. I punk rockers sono le vittime, i naziskin i mostri in quello che è a tutti gli effetti uno slasher; dove però i mostri sono reali e tangibili, figli di quell'ottusità che si esprime tramite la violenza gratuita, motore di tutti i veri massacri.

1 commento:

  1. Gran film, nobilitato anche da prove d'attore notevoli. Una delle sorprese migliori dello scorso anno!

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