venerdì 7 aprile 2017

Non ho Sonno

di Dario Argento.

con: Max Von Sydow, Stefano Dionisi, Chiara Caselli, Gabriele Lavia, Rossella Falk, Roberto Zibetti.

Thriller/Splatter

Italia 2001















Le delusioni cocenti, anche al botteghino, prodotte da "La Sindrome di Stendhal" (1996) e sopratutto "Il Fantasma dell'Opera" (1998) forzano Argento a tornare sui suoi passi, ad abbandonare le aspirazioni fantastiche e la decostruzione narrativa per rifarsi a quel classicismo che tanto successo gli aveva portato nei primi anni della sua carriera. Classicismo del "giallo" che in "Non ho Sonno" torna anche sotto forma di rimandi diretti; il periodo in cui è stato diretto è difatti essenziale: tra la fine degli anni'90 ed i primi anni zero, il post-modernismo citazionista di "Scream" (1996) aveva influenzato praticamente ogni singola produzione horror ed il thriller all'italiana, con "Non ho Sonno", si affianca a questa corrente, pur essendo ridotto, sul piano produttivo, ai soli exploit del regista romano e di qualche giovane regista privo di vero talento (vedi Alex Infascelli).




Citazionismo che appare sin dalle premesse della trama: nel 1983, una scia di delitti insanguina Torino. Circa 20 anni dopo, nonostante il ritrovamento del cadavere del killer, uno scrittore di gialli affetto da nanismo, il massacro ricomincia, cosicché l'anziano ex ispettore Ulisse Moretti (Max Von Sydow), affiancato dal figlio di uno delle prime vittime ormai cresciuto, Giacomo (Stefano Dionisi), decide di riaprire le indagini.



Tornano, in un modo o nell'altro, tutti i topoi che resero celebre il thriller argentiano: l'ambientazione torinese, la filastrocca che unisce i delitti come la nenia infantile e la marionetta di "Profondo Rosso" (1975), uno scrittore che si fa assassino come in "Tenebre" (1982) e il protagonista investigatore anziano affiancato da un parrocchetto come Donald Pleasance in "Phenomena" (1985); torna anche Gabriele Lavia, in un ruolo speculare a quello del thriller del '75, così come le musiche dei Goblin a sottolineare gli omicidi, la cui brutalità ed esecuzione ricalca talvolta quelli già visti nei precedenti exploit.
Ma quella di "Non ho Sonno" non è una forma di post-modernismo furba che cerca di svecchiare il canone, quanto la riproposizione ad arte di una formula collaudata. I tempi, però, sono cambiati e si vede: tutto è depotenziato, privo di mordente ed esteticamente blando.




A partire dalla sceneggiatura, pur curata niente meno che da Carlo Lucarelli, la cui struttura vorrebbe essere complessa, ma lo è solo in apparenza: la linearità è totale nella narrazione, la moltiplicazione di punti di vista e di incipit totalmente inutile. Incolore è anche la caratterizzazione dei personaggi: Ulisse Moretti vive di qualche cliché sulla vecchiaia e riesce a stare in piedi per lo più grazie al carisma di Max Von Sydow, al solito eccellente. Ma tutti gli altri personaggi sono macchiette, a partire da Giacomo, al quale la performance assonnata di Dionisi nega ogni forma di credibilità. Peggio di lui fanno solo la Caselli, evanescente e messa lì giusto per creare una forzatissima ed inutile love-story, e Roberto Zibetti, talmente inespressivo e fuori posto da sprofondare spesso nell'imbarazzo più puro.



La mano di Argento vacilla, non riesce a creare tensione e finisce per affidarsi totalmente agli effetti di Sergio Stivaletti per instillare lo shock al posto della suspanse; e come conseguenza il film diviene solo una sarabanda di effettacci granguinoleschi, alcuni dei quali anche mal fatti. Allo stesso modo, la musica dei Goblin è blanda, non incute timore, né affascina, resta sempre sullo sfondo delle immagini.




Immagini che la fotografia di Ronnie Taylor appiattisce in modo incredibile: la Torino che fa da sfondo alla vicenda è solare ed allegra, in contrasto totale con le pretese da thriller morboso; ed è, manco a dirlo, la parodia di quella vista in "Profondo Rosso". Mentre il ritmo è inutilmente lento, tanto che a dispetto del titolo, la sonnolenza talvolta fa capolino.




In generale, tutto il film è l'ombra sbiadita del cinema argentiano che fu: tutti i suoi luoghi comuni tornano senza subire effetto alcuno, tutti i suoi trucchi non funzionano o non impressionano, mentre l'estetica ricercata e raffinata manca del tutto.
Cosicché "Non ho Sonno" finisce così per essere il perfetto manifesto dell'odierno cinema di Argento: una parodia, blanda e priva di mordente, di qualcosa che un tempo fu grande.

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