mercoledì 31 ottobre 2018

Lo Squartatore di New York

di Lucio Fulci.

con: Jack Hedley, Almanta Keller, Howard Ross, Andrea Occhipinti, Alexandra Delli Colli, Paolo Malco.

Thriller/Slasher/Splatter

Italia 1982

















---CONTIENE SPOILER---


Con i suoi exploit horror, Fulci è riuscito a ritagliarsi un posto d'onore tra i fanatici del genere, che gli consente tutt'oggi di essere apprezzato e ricordato come uno dei supremi cantori del genere. Chiusa l'esperienza con la trilogia delle porte dell'Inferno, il grande artista romano entrerà però nella fase ultima della sua carriera; fase discendente, che lo vedrà cadere in disgrazia in produzioni sempre più povere, malriuscite e, in ultima analisi, ridicole; discesa che va di pari passo con la morte del cinema di genere italiano, iniziata tra il 1982 ed il 1983 e che porterà alla scomparsa del medesimo nell'arco di un quindicennio.
Ma come ogni vecchio leone, anche Fulci è in grado di dare un'ultima, feroce, zampata prima di cominciare a spegnersi artisticamente; e lo fa tornando al giallo-movie, filone che aveva lasciato con "Sette Note in Nero" cinque anni prima, firmando quello che è il thriller all'italiana più estremo mai concepito: "Lo Squartatore di New York".




Ma confrontarsi con questo piccolo cult d'autore impone una riflessione invero alquanto urgente, che scaturisce dal sadismo insito nelle sue immagini: il cinema di Fulci è davvero misogino? Quanto compiacimento c'è davvero nel mostrare immagini di morte di donna nelle sue pellicole?
Perchè ne "Lo Squartatore" il corpo femminile viene seviziato in modi inenarrabili, talmente atroci da sfidare persino la sopportazione dello spettatore dallo stomaco più forte; per di più attraverso una violenza che spesso sublima, nel sangue, l'atto sessuale; nel riflettere su tale cattiveria, non si può non partire dal saggio "Hell is already in us" di Kat Ellinger, nella quale la rinomata opinionista dà una sua dissertazione sulla violenza nel cinema fulciano.
Nei thriller e negli horror del maestro romano è la donna ad essere la vittima prediletta, il cui corpo viene fatto a pezzi nei modi più turpi; basti pensare alla morte di Olga Karlatos in "Zombi 2", la cui sequenza è la più disturbante di tutto il film; e, prima ancora, al linciaggio della Maciara in "Non si sevizia un Paperino", dove Florinda Bolkan viene massacrata da un gruppo di maschi.
Pur tuttavia, la donna è vittima sacrificale, non mero oggetto da deflorare e distruggere; per quanto la carica di violenza sia pregnante, non c'è forma di scherno nella caratterizzazione dei personaggi femminili, persino in quelli più negativi; tantomeno vi è una predestinazione del sesso femminile ad essere quello debole: basti vedere i personaggi interpretati da Catriona MacColl nella trilogia delle porte dell'Inferno o a quello di Barbara Bouchet in "Non si sevizia un Paperino".
La donna è vittima della violenza non per sua scelta, né per una sua condizione naturale di subordinazione all'uomo (non mancano personaggi femminili emancipati in tutta la filmografia fulciana); è vittima, semmai, a causa dell'innata natura violenta del maschio, che riversa il proprio sadismo verso una figura non inferiore, ma di sicuro indifesa, subordinata non tanto alla figura del maschio in sé, quanto alle sue azioni scellerate ed immorali.
Il ritrarre tale ferocia, di conseguenza, non è atto misogino, ne strettamente misandrico, quanto universalmente misantropico: è il male insito nell'essere umano a causare la distruzione della donna, la quale è quindi vittima a causa della cattiveria innata nell'uomo; cattiveria universale, propria dell'essere umano a prescindere anche dal sesso: basti pensare anche alla protagonista di "Una Lucertola con la pelle di donna" per capire come la distinzione di genere nell'atto violento sia anche fluido, non confinato al solo maschio, benché sia quest'ultimo ad essere il dispensatore di morte "classico" per Fulci.



La visione de "Lo Squartatore" porta poi ad un'ulteriore riflessione quando si tiene conto di come tutte le vittime dell'assassino siano non solo donne, ma anche belle donne; con il massacro della bellezza, Fulci non intende tanto divertirsi a distruggere qualcosa di gradevole all'occhio, a fare a pezzi il corpo femminile tanto per farlo, quanto ad instillare nello spettatore il supremo senso di disgusto, quello dovuto al dover assistere alla macellazione della bellezza da parte di una mano maschile, al barbaro ed insensato sacrilegio verso quanto più di bello lo stesso spettatore possa concepire. E, tenendo conto di come il film sia un thriller a tinte horror, di come voglia prendere a pugni lo stomaco dello spettatore per generare un senso di ansia che sfoci nello shock, non si può non concludere nella sua perfetta riuscita.



"Lo Squartatore" è un film vouyerista nel senso più genuino del termine; obbliga lo spettatore a non distogliere lo sguardo neanche quando vorrebbe (d'obbligo, di conseguenza, la visione della versione integrale, tutt'oggi possibile solo grazie al DVD della francese Warner France- Neo Publishing), soddisfacendo la sua sete di violenza oltre il punto di sopportazione ed appaiandola ad un erotismo spinto, ai limiti del pornografico, per creare un'atmosfera intimamente sporca, che lascia turbati nel profondo.



Quello di Fulci è di fatto un perfetto esponente del filone "slasher metropolitano" di quegli anni; e l'ambientazione newyorkese non è casuale: all'epoca, la Grande Mela era ancora in preda ad uno squallore umano e materiale insopportabile, fotografato, tra i primi, da William Friedkin in "Cruising" e sopratutto da William Lustig nello splendido "Maniac", al quale Fulci sembra rifarsi esplicitamente per la scena della metropolitana.
Ma all'iperrealismo di molte scene, Fulci appaia una messa in scena talvolta virata all'onirico, con i colori baviani ad incorniciare la morte, per creare un'atmosfera volutamente discontinua, ma sempre estraniante.
La metropoli divine così incarnazione di quella devianza psicologica che attanaglia l'assassino e, con lui, anche alcuni dei personaggi, veri e propri mostri metropolitani schiavi dei propri istinti.




Basta pensare ai due red herring, la signora Forrester e Mickey Scellenda; la prima è una ninfomane che usa il sesso come forma di degradazione personale, vittima della propria libido prima ancora che del coltello del killer; il secondo un drogato e maniaco sessuale, perfetto prodotto del degrado urbano della metropoli americana del periodo.
All'esatto opposto dello spettro è invece il killer, che si scoprirà mosso da una devianza del tutto patetica; egli non è sessualmente deviato, né figlio del vizio, bensì un padre scottato dal troppo amore per una figlia moribonda, alla quale sacrifica letteralmente la bellezza, ossia tutto quello che lei mai potrà avere; e che Fulci caratterizza donandogli la sinistra voce di paperino, feticcio che aveva già usato in passato ma che ora diviene elemento caratterizzante del male.




"Lo Squartatore" vive di conseguenza di una costruzione classica immersa in una messa in scena eccessiva, nella quale Fulci esaspera i marchi di fabbrica del "giallo" per creare uno spettacolo spiazzante e rivoltante. Un film per stomaci fortissimi, che vive di estremi e non conosce compromessi di sorta, che si traduce in un esercizio di stile ai limiti del sopportabile e per questo, paradossalmente, perfettamente riuscito; e che, nel bene così come nel male, resterà l'ultimo film veramente interessante del maestro romano.

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