lunedì 14 gennaio 2019

Aquaman

di James Wan.

con: Jason Momoa, Amber Heard, Patrick Wilson, Nicole Kidman, Willem Dafoe, Dolph Lundgren, Yahya Abdul-Mateen II, Temuera Morrison, Graham McTavish.

Azione, Fantastico, Supereroistico

Usa, Australia 2018















E' opinione consolidata quella secondo cui Aquaman sia il supereroe più "sfigato" mai esistito. A cosa sia davvero dovuta tale nomea, non è dato saperlo. Forse a causa della sua descrizione nel vecchio cartoon sui "Super Amici", dove il simpatico uomo marino veniva dipinto come un gagliardo supertipo i cui poteri erano limitati al parlare con i pesci e a cavalcare qualche ippocampo. Più probabile si tratti di una sorta di archetipo nato dalla gag di Seth McFarlane secondo cui, fuori dall'acqua, il principe di Atlantide sarebbe sprovvisto di poteri, in un mondo dove vivono alieni antropomorfi dallo status divino, principesse amazzoni e velocisti scarlatti.
Si tratta, a ben vedere, di una pura gag, che induce al sorriso e talvolta alla risata di gusto (non si può certo negare la riuscita dello sketch di "Family Guy" in cui il biondo paladino dei mari non riesce a salvare una donna da uno stupro che avviene a giusto qualche metro dall'acqua), ma che non ha davvero corrispettivi all'interno della mitologia di un personaggio che, benché poco conosciuto dal grande pubblico, può vantare una carriera editoriale di tutto rispetto.



Nato durante la Golden Age dei comics USA, Aquaman esordisce nel 1941 su "More Fun Comics" e durante la sua carriera la sua origine verrà riconcepita più volte, come accaduto anche a Wonder Woman. Ben quattro sono infatti le varianti sulla sua nascita e la sua natura; nella primissima, Arthur Curry è il figlio di uno scienziato che ha scoperto le rovine di Atlantide e che gli ha insegnato a respirare sott'acqua e a comunicare con la fauna ittica. Una prima incarnazione che accompagna il personaggio per tutta la golden age, in avventure al solito solari e disimpegnate.
Ma con la Silver Age le cose cambiano; Arthur diviene il figlio di un guardiano di un faro e di una donna di origini atlantidee, dalla quale eredita i suoi superpoteri, tra i quali una forza fuori dal comune e la capacità di volare. Le sue avventure, benché sempre disimpegnate e rocambolesche, si fanno a tratti cupe e drammatiche: non è certo cosa di tutti i giorni vedere un supereroe piangere la morte del figlioletto per mano di un supervillain, né affrontare la conseguente crisi esistenziale. Questa seconda incarnazione del Protettore dei Mari anticipa in gran parte quelle che saranno le tematiche della Bronze Age dei comics, con storie dal taglio più esistenzialista e serio, benché sempre alternate ad avventure decisamente più digeribili dal pubblico di bambini per il quale sono destinate.



A partire dagli anni '90, Aquaman viene ricreato da Peter David e diviene l'erede al trono di Atlantide; oltre a sfoggiare un nuovo look, decisamente meno ortodosso rispetto al passato: capello selvaggio, barba da biker e un uncino al posto della mano sinistra, persa durante uno scontro contro Ocean Master, suo principale antagonista nonché fratellastro.
Ed è proprio questa incarnazione, più ruvida e selvaggia, a dare nuovo lustro al personaggio; sarà questo Aquaman a trovare la strada del grande schermo, prima in un cameo in "Batman v. Superman: Dawn of Justice" e poi in "Justice League"; ed il perché è presto detto: è stato decisamente semplice vendere al pubblico un Aquaman statuario ed affascinante, un "cattivo ragazzo" che ha il volto del Khal Drogo di "Game of Thrones" per la gioia di tutte le spettatrici. E d'altro canto, si può anche intuire il perché: era necessario restituire un'immagine credibile ad un personaggio divenuto una barzelletta nel sentire comune; la scelta di Momoa e della visione di Peter David appaiono quindi logiche, quasi scontate laddove si tenga conto anche del ruolo di "rude macho" che il personaggio ha ricoperto nell'ensamble del film sulla Justice League.




E nonostante il flop della sua prima comparsa su schermo, la Warner ha deciso lo stesso di dedicare  un film in solitaria al muscoloso uomo-pesce di Momoa, affidando la regia a James Wan, scelta al solito curiosa se tiene conto del suo background di artigiano del horror. Una vera e propria scommessa, quella di creare un blockbuster con al centro un personaggio poco conosciuto e sopratutto poco amato; che, nella migliore delle tradizioni, si è rivelata vincente, sbancando al botteghino di mezzo mondo. Peccato però che il film in sé sia poco più di una baracconata kitsch.




Più che una storia d'origini, quella di "Aquaman" è un'avventura a 360 gradi con protagonista il fascinoso Momoa, affiancato da una Amber Heard forse mai così bella, nonostante il look da cosplayer. Lo scheletro è quello del classico "cammino dell'eroe", ricalcato esplicitamente sul Mito Arturiano: Arthur prende il suo nome da Re Artù e deve estrarre un tridente da una roccia per poter governare sui popoli sottomarini. Trama basilare, condita da tutti i luoghi comuni possibili ed immaginabili.
C'è la love-story forzata di turno, un cattivo dalla statura che si vorrebbe machiavellica, ossia Ocean Master, fratellastro di Arthur, che decide di muovere guerra alla superficie perché stanco dell'inquinamento dei mari; c'è la ricerca del McGuffin, che porta Arthur e Mera in un giro del mondo che ricorda tanto le avventure di Indiana Jones e simili; ci sono i flashback sulla gioventù del protagonista e il suo addestramento da eroe, che sembrano ricalcati su "Highlander"; c'è un secondo villain, Black Mantha, che ha giurato vendetta; ci sono i duelli all'arma bianca in un novello thunderdome subacqueo, l'azione fracassona e l'umorismo stupidello, con tanto di gag su gabinetti e minzioni; c'è persino un inserto horror, che ci ricorda le origini di Wan. Insomma, in due ore e mezza, di carne al fuoco c'è ne è davvero per tutti i gusti.



Di tutte queste intuizioni e situazioni, nulla eccelle per davvero. La storia è fin troppo trita per essere davvero coinvolgente, anzi i risvolti più interessanti (la morale ecologista, il senso di colpa di Arthur per aver ucciso il padre di Black Mantha) vengono costantemente lasciati fuori scena, come se si avesse paura di dare al pubblico qualcosa che sia di più del puro intrattenimento gratuito. Si assiste così al dipanarsi di una trama che finisce inevitabilmente per ricordare quella di "Black Panther", solo a termini invertiti.
Per rendere il tutto interessante, si è così deciso di calcare la mano sull'umorismo e la componente spettacolare. Il primo, inutile sottolinearlo, è di grana grossissima, basato su battutacce che ironizzano sulle situazioni, ma che aiutano davvero a non prendere troppo sul serio quella che è, in fin dei conti, una parata di luoghi comuni ammantata da un'estetica che sulla carta dovrebbe essere ridicola, con personaggi bardati in armature d'oro stile "Cavalieri dello Zodiaco" che cavalcano ippocampi giganti mentre combattono contro uomini-granchio. La coscienza di trovarsi di fronte ad uno spettacolo volutamente sopra le righe e privo di vera consistenza, per una volta riesce a rendere il tutto digeribile e non irritante, cosa che invece spesso non accade in operazioni simili (basti vedere altri kolossal pomposi ed inconsistenti, come "Pan" o "Jupiter Ascending"). Mentre la grandiosità visiva, l'uso di colori e forme impossibili, appaga davvero i sensi, in un tripudio di estetica pop a metà strada tra "Avatar" e "Tron".



Se quindi da un lato c'è la volontà di creare di più di una semplice trasposizione di un supereroe a fumetti, evitando la solita scarnificazione propria dei comic-movie con una storia più varia e movimentata, dall'altra c'è un pieno abbraccio di tutti i luoghi comuni del cinema d'avventura e di intrattenimento, ammantato solo da un umorismo ai limiti del metareferenziale, che chiede costantemente a chi osserva di ridere con i personaggi, forse perché cosciente dell'assurdità del tutto. Con il risultato di creare quella che è, a conti fatti, nulla più di una simpatica cretinata. Se la si accetta come tale, ci si potrebbe perfino divertire.

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