con: Klaus Kinski, Debora Caprioglio, Nikolai Kinski, Dalila Di Lazzaro, Eva Grimaldi, Marcel Marceau, Andrè Thorent, Donatella Rettore, Bernard Blier, Tosca D'Aquino, Feador Chalipain Jr.
Biografico/Erotico
Italia, Francia 1989
Quando il 23 Novembre 1991 Klaus Kinski si spegneva nella sua casa in California, la stampa decise di ricordarlo in modo bizzarro e forse indegno, ossia come uno degli attori più difficili da dirigere. Non che non fosse vero, basti pensare alle sfuriate con il pur amico Werner Herzog o le strampalate pretese sui set degli ultimi film da lui interpretati. Ma Kinski era certamente di più di un matto dal grande talento, era forse uno dei migliori attori del XX secolo, che poteva contendere a Marlon Brando e Laurence Oliver la corona di migliore in assoluto.
Certo è che il suo carattere non lo ha davvero aiutato: affetto da schizofrenia, certificata in gioventù, Kinski odiava il ruolo del regista al punto di rifiutare ingaggi da parte di artisti del calibro di Pasolini, Spielberg e Ken Russell, spesso optando per apparire in b-movie dove poteva meglio influenzare la produzione. E non si può neanche dire che la sua carriera ne abbia davvero risentito, con oltre 130 ruoli accreditati ed un curriculum che spazia dalla serie A alla serie Z. Eppure, sembrava che davvero mancasse qualcosa a Kinski, quel "quid plus" che lo caratterizzasse come artista vero e proprio. Qualcosa che ai suoi occhi ha la forma di un progetto davvero personale, un film a cui sia attaccato non solo per motivi lavorativi, ma anche affettivi. Film che diviene, purtroppo, anche il suo ultimo lavoro, ossia "Paganini", stramba e delirante biografia del violinista "del diavolo" che Kinski dirige in prima persona, ma solo dopo il rifiuto dell'amico Herzog.
Nella sua "Versione Originale", montata da Kinski in prima persona, così come nella theatrical cut, di poco più corta, "Paganini" è un'allucinazione folle e incontrollata di un artista (sia quello della storia, sia colui che la racconta) in preda ad un delirio animalesco. Le visioni, talvolta rinchiuse in singole inquadrature, sono sfrenate e incontrollate, tanto che a volte si fatica a seguirle. Così come si fatica a seguire tutta la narrazione, sfilacciata sino al pasticcio.
Il Paganini di Kinski è una figura demoniaca, un mostro in grado di penetrare il corpo e la coscienza delle donne grazie al solo violino. E la sua storia è tutta qui, una sarabanda di donne in orgasmo, preti indignati e sviolinate libere, la cui unica luce di bontà viene data dal tenero rapporto tra il violinista ed il suo pargolo, interpretato dal vero figlio di Kinski.
"Paganini" è follia messa su pellicola, un viaggio allucinato e incontrollato dentro la testa di autore che pensa ad un altro artista, la cui vita lo affascina. Non c'è metodo nell'esecuzione, non c'è un filo logico, o a-logico o nesso alcuno tra scene, inquadrature e immagini, che talvolta paiono fuoriposto, con tutte quelle carrozze in corsa e l'ordine cronologico degli eventi scardinato sino al non-senso. Immagini al ralenty, pornografia vera e propria (e il dietro le quinte svela come spesso le attrici siano state letteralmente abusate dall'attore/autore) e musica classica si amalgamano senza fondersi, senza mai trovare un punto cruciale, restano elementi tra loro estranei.
La visione si fa così tour de force pesante sino alla noia, un assistere passivo ad eventi privi di significato sul lungo termine e talvolta persino nel breve termine. Kinski, in fondo, non fa che ripetere un concetto, ossia: "Paganini era un genio musicale che amava alla follia il sesso" e lo fa sino alla ridondanza, la quale arriva già dopo la prima sequenza, quei diciannove interminabili minuti del concerto al Regio Teatro di Parma con la voce-off di una donna gaudente.
Il tutto cucito in immagini piatte, quasi tutte create palesemente con soli teleobiettivi, nelle quali i personaggi si muvono senza senso o scopo, tranne quando sono colti dalla passione erotica.
L'ultimo Kinski è, forse, il Kinski più genuino: sfrenato, sfrontato, strafottente ed egocentrico sino alla violenza, vera e artistica. "Paganini" è così uno strambo pasticcio "d'autore", un getto di sangue e sudore su pellicola fatto d'istinto, di pancia più che di mente o coscienza. Un lascito che non rende però giustizia alla carriera del suo autore, ma forse rende perfettamente giustizia all'uomo, geniale e sfregolato, una figura di culto alla quale neanche le orrende accuse di pedofilia senmbrano poter adombrare il mito.
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