con: Isabelle Adjani, Sam Neill, Margit Carstensen, Heinz Bennent, Shaun Lawton, Johanna Hoffer, Carl Duering, Michael Hobgen.
Francia, Germania Ovest 1981
---CONTIENE SPOILER---
Affermatosi anche sul piano internazionale con "L'Importante è Amare", Zulawski compie un passo falso, decidendo di ritornare nella natia Polonia. Nel 1976 inizia così la produzione di un nuovo lungometraggio, "Sul Globo d'Argento", film di fantascienza sperimentale e stilizzato, fortemente influenzato dal cinema di Tarkovsky. Ma non tutto va come da programma: il ministro del cinema polacco, visionando il girato, decide di fermare la produzione, armai giunta all'80% circa, poiché i contenuti del film, metafisici e religiosi, cozzavano con la politica socialista e materialista. "Sul Globo d'Argento" viene così letteralmente smantellato in corso d'opera e tutto il girato resterà confinato in un magazzino per circa 10 anni, finché la situazione politica non permette la sua ultimazione e uscita in sala.
Contemporaneamente, una crisi famigliare lo scuote nel profondo: il suo matrimonio con Malgorzata Braunek, dal quale è nato anche un figlio, giunge al termine a causa della volontà di lei di seguire un altro uomo, un certo Heinrich.
Il grande artista polacco è così contemporaneamente ad un vicolo cieco emotivo e ad un bivio intellettuale: continuare la sua carriera da cineasta o ritirarsi?
Passeggiando per una desolata Varsavia, ha un'illuminazione: una storia con al centro una donna che, rinchiusasi in un appartamento isolato da resto del mondo, compie atti contrari al regime. E' questo lo spunto iniziale che porterà a "Possession", suo supremo capolavoro e summa delle sue ossessioni, che vedrà la luce grazie ad una produzione internazionale girata interamente a Berlino e che, uscito in sala, darà lustro definitivo al suo autore.
Nella Berlino Ovest dei primissimi anni '80, Mark (Sam Neill) è un funzionario governativo che, di ritorno da un'importante missione, riabbraccia la moglie Anne (Isabelle Adjani) e il figlioletto Bob. Ma, neanche messo piede in casa, è accolto dalla notizia scioccante della fine della sua relazione con la moglie, della quale scoprirà presto anche i ripetuti tradimenti con il mellifluo Heinrich (Heinz Bennent). Per i due ex coniugi, la realizzazione della fine dell'idillio rappresenterà il viatico verso il totale disfacimento psico-fisico.
Zulawski intesse una complicata narrazione fatta di simbolismi, immersa in un'atmosfera al solito onirica e surreale, una rappresentazione precisa e forte della mente sfaldata dei protagonisti. E il suo sistema simbolico e di messa in scena raggiunge vette di incredibile espressività.
Ma, in primis, cos'è davvero "Possession"? Alla sua base, è la storia di un amore infranto e della realizzazione della solitudine spirituale dell'uomo nel cosmo. E', nei fatti, una storia di possesso, possessione (simbolica ed effettiva, anche se non data da forze sovrannaturali vere e proprie) e separazione.
Soprattutto nei primi minuti, Zulawski pone i due protagonisti su due piani differenti, scindendone il rapporto sul piano visivo facendo ricorso alla scenografia, che da un lato separa i due corpi, dall'altro porta l'attenzione verso il corpo del singolo, rompendo ogni possibile collegamento come coppia.
La scelta di ambientare la storia nella Berlino della Guerra Fredda non è casuale; anche la città è un entità "separata da sé", divisa in due anime macroscopiche e due microscopiche. La Berlino Ovest è anch'essa scissa nei palazzi della modernità e in quelli del passato del primo novecento (il famoso quartiere turco, che fa da ambientazione per gli incontri con la creatura), in una schizofrenia alienante, una scissione identitaria geografica controparte scenografica di quella dei personaggi.
Ma Berlino è anche la città che sorge sul limite dell'Urss, vicino all'avanzare di quel "male", politico e umano, che scruta letteralmente l'umanità che minaccia di inglobare e che idealmente trova un punto d'accesso nella mente dei personaggi.
La crisi coniugale parte appunto dalla separazione, dalla lontananza fisica che porta con se il dubbio sulla fedeltà. Anna inizia a tradire Mark a causa della lontananza, dalla quale discende la paranoia del tradimento. paranoia che si fa realtà autoimposta: il tradimento avviene, solo a termini opposti. L'oggetto del tradimento, Heinrich, è una creatura strana, un edonista, un ribelle, un artista che fa dell'assaporare la vita la sua opera d'arte; un personaggio in tutto e per tutto opposto a Mark, presentato invece come pragmatico, agente infallibile e alla ricerca della stabilità del nucleo famigliare.
Tradimento che parte, in sostanza, dalla mancanza di fede: fede nel partner, fede nel valore di coppia e, di riflesso, fede in Dio, in un ordine superiore delle cose che le pone in una collocazione precisa. La crisi, umana, psichica e spirituale, nasce infatti in un momento preciso: Anna è posta di fronte a Dio, alla spiritualità, ad un insieme di valori in cui forse crede e dei quali comincia a dubitare. La crisi è volutamente ambigua: da un lato, la donna perde ogni forma di fede (come ammesso nei filmini/intervista visionati da Mark) e la perdita e prende una forma fisica che viene letteralmente evacuata dalla sua persona dopo un parto violento e orrorifico, sviluppandosi, poco alla volta, in una creatura senziente, un corpo mostruoso che da e demanda amore fisico, poiché appiglio verso una forma di riconoscimento del reale.
Oppure, Anna viene inondata dalla fede, la quale prende una forma fisica che le da quella consolazione, umana e materiale, che le manca, da cui l'epiteto "Dio" con il quale la creatura viene definita.
Una cosa è al di là di ogni voluta ambiguità: l'atto della messa al mondo, della realizzazione del proprio stato di incompletezza, è destabilizzante, porta ad una follia fisica che si sostanzia in spasmo febbricitante, mutazione del corpo quasi cronenberghiana (simile a quanto visto in "Brood", ma dal significato ovviamente più trascendentale e sfaccettato) come simbolo di puro orrore fisico, sottolineato da quella performance di Isabelle Adjani sulla quale ogni definizione risulterebbe castrante, data la sua estrema perfezione e il totale trasporto.
Heinrich, da questo punto di vista, è un rimedio momentaneo, un placebo utilizzato per rallentare il male che consuma la donna. Un personaggio che vive come negazione di Mark, il quale, a sua volta, eliminandolo non finisce per affermare sé stesso, quanto per sprofondare ancora più in fondo al baratro della perdizione.
La paranoia porta anche Mark alla generazione di un organismo "altro", un doppio di Anna che prende le forme della maestra d'asilo di Bob. Una Anna idealizza, vestita in colori candidi opposti al cupo blu intenso di quella vera, dai capelli e occhi chiari. Un'idealizzazione nata dalla separazione, dalla necessità di riavere (ossia possedere) quella persona così come la percepisce nel profondo, bella, solare e amorevole come forse era prima della crisi. Un parto anomalo, inconscio, dato dalla realizzazione profonda della perdita che l'uomo non vuole razionalizzare, combattendo per riavere ciò che era suo, ma che nel profondo sa di aver perduto e che per questo desidera ancora maggiormente.
E anche il "mostro" finisce per essere un doppio, quello di Mark, anch'esso una sua versione idealizzata, più gaudente e maschio, carnefice più che vittima, che finisce per distruggere ciò che lo ha generato nel trionfo della distruzione totale della materia successiva alla disgregazione di mente e spirito.
Il possesso, mancante e ricercato, porta alla crisi, alla violenza e, prima ancora, alla dicotomia dialogica tra i due personaggi. Se la separazione è chiara sin dall'inizio, avvenendo nella prima scena, gli effetti che questa produce sono descritti poco alla volta, man mano che questi divengono di volta in volta più feroci, sfociando nella violenza fisica, riversata da Mark su Anna. Si parte dall'incomunicabilità, nella separazione ideale di due persone vicine fisicamente, ma lontane sul piano spirituale, si arriva all'appropriazione fisica coatta: Mark picchia Anna, Anna a sua volta si lascia possedere dal mostro, dalla personaficazione di ciò che ha realizzato di aver perduto.
L'unione fisica è pretesa di possesso del partner. Il mostro, il doppio selvaggio e carnale, è rinchiuso in un appartamento fatiscente, rappresentazione della decadenza morale e psichica della donna, dove viene usato come un vero e proprio strumento di piacere. Nell'abbandono selvaggio e irrazionale alla carne, al desiderio pulsante, irrefrenabile e per questo abominevole e animalesco, Anna ritrova la parte di sé che aveva perso e, di riflesso e ancor prima, l'abbraccio di quel compagno lontano.
Sul piano visivo il delirio si fa controllato, i movimenti di macchina, sempre dinamici e poggiati sull'uso della camera a mano, sono questa volta controllatissimi, quasi chirurgici nella ricerca dell'immagine perfetta per esprimere gli stati d'animo dei personaggi. Lo stile di Zulawski raggiunge qui l'apice definitivo e l'uso del colore blu, ora desaturato, aggiunge una coltre oggettivistica alla messa in scena, come se, nelle sue stesse parole, la macchina da presa stesse sezionando i corpi e le menti dei personaggi.
Ti ringrazio ;)
RispondiElimina