di Jason Reitman.
con: McKenna Grace, Finn Wolfhard, Paul Rudd, Carrie Coon, Celeste O'Connor, Logan Kim, Annie Potts, Bill Murray, Dan Aykroyd, Ernie Hudson, Sigourney Weaver, J.K.Simmons.
Fantastico/Commedia
Usa, Canada 2021
Chissà cosa ha spinto davvero la Sony a produrre questo "Ghostbusters: Afterlife" ("Legacy" in Europa). Dopotutto, il reboot di Paul Feig non solo ha il primato non invidiabile di film più odiato degli ultimi 10 anni (merito anche e soprattutto dei suoi autori), ma ha anche causato oltre 40 milioni di dollari di perdete alla casa produttrice, sancendo, in teoria, la fine del franchise del fantasmino bianco.
Eppure, cinque anni dopo, ecco arrivare un nuovo film con protagonisti gli scienziati pasticcioni creati da Dan Aykroyd e Harold Ramis, in barba ad ogni aspettativa. Il perché la Sony abbia deciso di togliere il telone dalla Ecto-1 e produrre un terzo capitolo della serie è tutto da capire: fiducia in un brand che ancora smuove parecchi soldi? Forma di scusa verso Aykroyd per non avergli permesso di creare il suo "Ghostbusters: Hellbent"? Voglia di rivendere al pubblico adulto la nostalgia del passato stile "Stranger Things"?
Forse una combinazione di tutte queste cose. Una cosa è però certa: "Afterlife" è in tutto e per tutto un film di Jason Reitman che, per la prima volta alle prese con un budget grosso benché non esorbitante ed un blockbuster vero e proprio, riesce innanzitutto a creare un film ad altezza di personaggi, che non sfigura nella sua filmografia fatta di piccole storie e piccole persone.
Un film che, di fatto, ha una doppia anima. La prima è quella propria del cinema di Reitman: ecco tornare personaggi strambi e perdenti, ultimi tra gli ultimi, incastrati nel purgatorio della provincia americana (in realtà totalmente ricreata nella campagna canadese). La piccola Phoebe (McKenna Grace) è un outsider, un piccolo genio incapace di relazionarsi al prossimo. Suo fratello Trevor (Finn Wolfhard) il classico teen-ager privo di qualità effettive, alle prese con un mondo ostile. La loro madre Callie (Carrie Coon) una donna sola, abbandonata dal padre prima ancora che da un merito letteralmente invisbile, che non ha più nulla ed ha bisogno di un modo per riavviare da capo la sua vita. Mentre a Summerville, tipico paesino di provincia yankee, li attendono un professore che la vita ha bloccato nella mediocrità (Paul Rudd) ed un piccolo appassionato di paranormale (Logan Kim) per il quale il mondo è più grande e variegato del resto dei suoi concittadini.
Reitman si concentra su questo pugno di perfetti perdenti, mostra la loro quotidianità, la loro voglia di riscatto puntualmente castrata dagli eventi e, piano piano, il loro rapporto con il sovrannaturale, con quel qualcosa di "più grande" che ne riconfigurerà le vite, in meglio o in peggio che sia. Il suo tocco è leggero, non fa pressione sui risvolti più umoristici i quali, quando arrivano, risultano così genuini, nonostante il fatto che, per la prima volta nella serie, agli attori sia concesso pochissimo spazio per l'improvvisazione.
L'altra anima è quella più ovvia, ossia la continuazione della storia degli acchiappafantasmi. Quella che sulla carta pareva la più rischiosa e pronta a fallire: l'impressione che il tutto si sarebbe risolto in una parata di rimandi al passato per stuzzicare la nostalgia degli aficionados era forte e non mancano strizzatine d'occhio in tal senso. Ma Reitman non è J.J.Abrams, né uno dei fratelli Duffer, non gli interessa tanto compiacere il pubblico di vecchi fans, quanto fare colpo sui più piccoli, su quella generazione che non è cresciuta giocando con i pupazzi dei The Real o canticchiando le note di Ray Parker Jr.
Trama e personaggi, in tal senso, sono cristallini: sono passati 30 anni dall'ultimo avvistamento dei fantasmi, ossia sono 30 anni che il brand dei ghostbusters ha esaurito la sua carica iniziale. I fans della prima ora sono cresciuti, come testimonia il personaggio di Rudd, e benché il loro affetto per il passato sia genuino, sono andati oltre, sono diventati altro, non si sono fossilizzati nel feticismo dei loro eroi e non sono loro a muovere davvero gli eventi, nè a salvare la situazione.
I dodicenni di oggi, che negli anni '80 avrebbero apprezzato il primo film e il cartone, riscoprono piano piano il passato, riallacciano i rapporti con il rimosso, ridanno nuova linfa a quegli oggetti ora impolverati. E quando il passato ritorna davvero, non lo fa come riproposizione calligrafica di ciò che fu: Gozer, di nuovo antagonista principale (sotto il cui make-up dovrebbe celarsi niente meno che Olivia Wilde), non è più "il distruggitore", ma il dio dei morti pronto a conquistare la terra, ossia è una nuova minaccia sotto le spoglie di ciò che è familiare. Allo stesso modo, il fantasma Muncher è si un rimando allo storico Slimer, ma che ha una sua anima che lo eleva dal ruolo di semplice "segnaposti della nostalgia".
Ma quando l'omaggio entra davvero in gioco, risulta genuino e sincero. A proiezione finita, con quel "per Harold" a sancire la fine degli eventi, il perché Reitman padre e figlio, Dan Aykroyd, Ernie Hudson e persino Bill Murray abbiano deciso di riprendere in spalla gli zaini protonici è chiaro, ossia dare un ultimo addio a quei personaggi e al loro co-creatore, un saluto ad un amico e ad un mondo che meritava un incarnazione migliore di quella del 2016.
La nostalgia, in tal senso, c'è tutta: i versetti dell'Apocalisse, la Ecto-1, lo score originale di Elmer Bernstein, la collezione di spore, muffe e funghi di Egon e persino quello strano aggeggio rosso che veniva confiscato ai tre protagonisti all'inizio del primo film. Ma, ancora, il tutto viene rispolverato per i nuovi arrivati, per essere ripreso e apprezzato non solo e non tanto dai nostalgici. E se i nuovi personaggi sono tutti all'altezza, il rientro in scena degli storici acchiappafantasmi poteva essere davvero gestito meglio del classico intervento del deus ex machina, unica macchiolina in un'operazione altrimenti attenta.
Jason Reitman riesce così nel duplice intento di rendere omaggio ad un amico ed al suo classico, a ridare forza al franchise ma, prima ancora, a creare una storia credibile e dei bei personaggi. Un film volutamente piccolo, ma dal cuore grande, che evita le trappole più ovvie e si configura come un sequel all'altezza dell'originale e perfettamente riuscito.
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