di Kevin Smith.
con: Brian O'Halloran, Jeff Anderson, Marilyn Ghigliotti, Lisa Spoonauer, Jason Mewes, Kevin Smith, Scott Moiser, Scott Schiaffo.
Commedia
Usa 1994
Nei primi anni '90, il sistema produttivo hollywoodiano riceve un piccolo scossone. Complice anche il crescente successo del Sundance Film Festival di Robert Redford, il pubblico prima che la critica dopo cominciano a riscoprire una forma cinematografica lontana dal mainstream, dall'action iperviolento così come dall'horror slasher, così come dal cinema falso impegnato e superclassico. Il cinema d'autore torna così alla ribalta, in una ideale continuazione delle istanze della New Hollywood di due decenni prima.
Ma se la crisi dello Studio System e dei kolossal alla fine degli anni'60 portarono all'era degli autori, nei '90 a trionfare sono proprio gli studios. Questa volta non i grandi conglomerati quasi secolari, ma le piccole case di produzione, che fino ad allora sgomitavano per avere un posto al sole e che ora si ritrovano con un mercato potenzialmente in espansione. La figura dei leoni la fanno la New Line di Bob Shaye, che tempo dieci anni e diverrà una major vera e propria, oltre alla Miramax (e la relativa succursale Dimension Film) dei fratelli Weinstein.
Proprio questi sono i responsabili dell'ascesa di due degli autori americani più rappresentativi di queste nuova corrente filmica, ossia Quentin Tarantino e Kevin Smith.
E forse non possono esistere due cineasti più diversi. Laddove Tarantino ha un background cinefilo eterogeneo ed enciclopedico e nel suo cinema è l'influneza dei cineasti europei e dei grandi artisti americani è più forte di quanto lui stesso voglia ammettere, Smith, nato e cresciuto nel New Jersey, è invece quello che oggi verrebbe definito "un geek", appassionato di cultura popolare "bassa" come i fumetti di supereroi, "Star Wars" e il cinema adolescenziale americano anni '80. Non per nulla, per finanziare "Clerks", con i suoi 27 mila dollari di budget, ha venduto gran parte della sua collezione di comics.
Ma proprio come Tarantino, Smith dimostra subito un'abilità nello scrivere dialoghi frizzanti davvero unico, che diventa già da ora una cifra stilistica nel suo cinema. Dialoghi infarciti di tutte le profanità possibili: vagonate di “cazzi”, autotreni di “fregne” e intere galassie di “’fanculo” scandiscono le otto ore della giornata tipo dei due protagonisti, dure ragazzi qualunque, impiegati (male) in due negozietti limitrofi. Due tipici giovani adulti americani (e non).
"Clerks." non un è semplice film sulla crescita, quanto un vero e proprio spaccato generazionale, un ritratto livido e sferzosamente ironico di una generazione persa, quella “generazione X” composta dai nati tra l’inizio degli anni ’60 e la fine degli anni ’70. Ragazzi e ragazzi che si ritrovano negli anni ’90 alle soglie della vita adulta, ma senza veri programmi per il futuro, sogni, ambizioni o ideali di sorta.
Dante (Brian O'Halloran) e Randal (Jeff Anderson) sono due aspetti speculari di una gioventù del genere: bloccati in una eterna vita da ragazzi, alle prese con un lavoro modesto e sottopagato e senza la minima voglia di porvi rimedio. Il primo si preoccupa di essere coerente, di “fare il proprio dovere” da commesso come se fosse un gran lavoro, mentre il secondo è un lavativo totale ed irredento.
Ma per il loro tramite, Smith non elogia l’ozio o la stupidità endemica, bensì ritrae con dosi da rinoceronte di ironia questo vuoto pneumatico, puntellandolo qua e là con una pacata ma efficace dose di malinconia.
Mentre Randal viaggia per tutto il film come una meteora, fregandosene di tutto e di tutti e riuscendo, con questo suo strambo cinismo, persino a far chiarezza sulla vita all’amico di sempre, Dante si rifugia sempre più nella sua nullità. Un giovane uomo che non vuole crescere, che si rifiuta di continuare la relazione con la più matura Veronica (Marilyn Ghigliotti), preferendo l’immatura ex Caitlin (Lisa Spoonauer), anch’ella in fuga dalla maturità, personificata dal matrimonio. Relazioni che si barricano dietro alla repulsione per una sessualità femminile vista come troppo esuberante (“Hai succhiato 37 cazzi!?!?!?”) per non evolversi e restare sospese in un limbo di inconcludenza, persino quando lo sboccatissimo Jay e il saggio Silent Bob, vere e proprie icone degli anni ’90 e non solo, suggeriscono saggiamente all’imberbe commesso cosa sarebbe meglio fare.
Inconcludenza che Smith eleva a forma narrativa: non c’è conclusione nella storia, nessuna vera catarsi liberatoria per Dante o Randal, solo il personaggio di Caitlin finisce per autodistruggersi in modo tragicomico. D’altro canto la vita è anche questa: un purgatorio esistenziale dal quale non sembra esserci via d’uscita, ma solo poche ancore di salvezza. Come il sesso (vero o anche solo immaginario), l’idolatrazione della cultura pop, le partite di hockey o le poche, vere, relazioni interpersonali. Non per niente, la vita può finire in un attimo, come accade all'amica scomparsa giovanissima e il cui funerale viene dissacrato dai due ragazzacci fuori scena.
Un cinismo tipico della prima metà del decennio che ammanta il film con un'aura quasi distruttiva. Se non fosse per quella bella scena nella quale Dante e Veronica si avvicinano nella prima parte. Controbilanciata, ovviamente, nella seconda, da quel piccolo piano sequenza statico nel quale Dante confronta Caitlin e la sua intenzione di sposarsi, che sposta nuovamente l'asticella verso la freddezza. Smith forse non vuole che questi personaggi si salvino, anche perché all'epoca lui era parte di loro: tutto il film è basato sulla sua esperienza da commesso e girato nel negozio in cui lavorava. L'unica concessione data loro è la salvezza fisica: il finale originale, con Dante che veniva letteralmente freddato durante una rapina a fine giornata, è stato tagliato e il film sfuma verso il nulla, come in un loop eterno nel quale questi buffi perdenti continuano a vivere, ma sono destinati a restare perennemente intrappolati in un mondo in bianco e nero, privo di vie di fuga e vera realizzazione. In proposito, Smith stesso ha ammesso di aver strutturato il film come una sorta di "Divina Commedia", con il protagonista, chiamato in omaggio ad Alighieri, perso in una serie di gironi infernali.
Ad alleviare il tormento, solo l'umorismo, una risata tanto salvifica quanto acida, corrosiva, che non cela il cinismo sottostante. E le gag sono tutt'oggi irresistibili, tra i siparietti dei due protagonisti, le cazzate di Jay e Silent Bob, le incazzature con i clienti e il monologo cult di Randal che elenca una serie infinita di titoli porno davanti ad una madre con la figlia.
"Clerks.", ad oggi, è un manifesto di un cinema che fu e la cui influenza è ancora presente in tante pellicole indie, ma a differenza di queste ha una carica di sincerità e passione che molto "giovane cinema d'autore" odierno ha perso. Il suo umorismo è irresistibile, i personaggi simpatici e la direzione di Smith sa dosare i tempi e dimostra un buon gusto estetico. Tanto che il premio come miglior regia ottenuto a Cannes è stato, tutto sommato, davvero meritato.
Più indipendente c'è solo "The Blair witch Project". Non è la mia generazione, ma mi ci ritrovo molto ;)
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