di Edward Berger.
con: Felix Kammerer, Albrecht Schuch, Aaron Hilmer, Moritz Klaus, Daniel Brühl, Adrian Gründwald, Edin Hasanovic.
Guerra
Germania, Usa, Regno Unito
Pubblicato nel 1929, "All'Ovest niente di nuovo" di Erich Maria Remarque è unanimamente considerato come uno dei più importanti romanzi di guerra mai scritti, nonché uno dei più sferzanti scritti pacifisti del XX secolo. In esso, lo scrittore fa confluire non solo l'esperienza distruttiva della Grande Guerra, con grande attenzione sugli effetti psicologici su quella giovane generazione tedesca che si ritrova a guardare in volto un orrore che nessun uomo aveva mai provato prima, ma anche il biasimo feroce contro quella generazione dei "padri" che li hanno indottrinati verso il conflitto con una retorica nazionalistica aberrante, resa ancora più rivoltante se appaiata con la cronaca del fronte.
Tanto che la reazione della comunità nazionalsocialista non si fece attendere: Goebbles osteggiò pubblicamente il romanzo e si arrivò persino a bruciarne pubblicamente le copie. Mentre nell'Italia fascista, la pubblicazione fu bloccata sul nascere.
Un primo adattamento cinematografico del libro arriva già nel 1930: produzione americana diretta da Lewis Milestone, sciocca il pubblico per la crudezza del racconto, pur celando gli elementi grafici esplicitamente descritti nel romanzo. Il successo è immediato e arriva persino a vincere uno dei primi Oscar come miglior film. Un secondo adattamento, anch'esso anglofono, arriva nel 1979, questa volta ad opera della CBS, con script di Paul Monash e diretto da Delbert Mann, che crea un piccolo kolossal televisivo con un ottimo cast, tra i quali spiccano Ernest Borgnine, Ian Holm, Donald Pleasance e Patricia Neal. Produzione anch'essa graziata dall'ottimo successo, tanto da arriva persino al cinema in Europa.
Ma la mancanza è evidente: non c'è mai stata una trasposizione germanofona di uno dei più importanti romanzi tedeschi del XX secolo. Lacuna alla quale ovvia Edward Berger tramite una produzione Netflix, con una trasposizione che pur affidandosi ad una regia altamente ambiziosa ma non sempre azzeccata, riesce perfettamente a restituire il senso d'orrore presente nel romanzo e a conferire un ritratto crudo e veritiero della Prima Guerra Mondiale.
Si parte dall'indottrinamento: all'Università, un professore pontifica sull'importanza del sacrificio per la patria, sull'onore della guerra, sulla grandezza intrinseca nel morire per il kaiser. Quattro ragazzi, appena diciasettenni, fanno carte false per essere arruolati. Seguiamo così l'esperienza bellica attraverso il punto di vista di Paul Bäuer (Felix Kammerer), della sua amicizia con il veterano ed ex scarpino Katczinsky (Albrecht Schuch), prima guida poi amico inseparabile, fino alla disgregazione totale del gruppo.
La descrizione è spietata: morte, sangue e fango, miseria e fame. I soldati sono insidiati più dalla trincea che dal nemico. La fame, in particolare, è l'avversario più ostico, con i protagonisti che spesso rischiano la vita per rubare pochi viveri. E mentre i fanti muoiono, per stenti o per il piombo, gli ufficiali biavaccano lontano dal fronte, arroccati in una torre d'avorio, guardando solo il riflesso degli eventi mentre degustano prelibatezze al caldo. La scissione è netta, con i soldati da una parte, gli ufficiali dall'altra, i giovani da un lato, gli anziani dall'altro, gli impressionabili idealisti in prima fila come carne da cannone, gli eredi di nobili famiglie in cerca di gloria e carriera al sicuro nelle retrovie.
Assieme ai drammi dei soldati e agli orrori dei combattimenti, seguiamo anche la vicenda di Matthias Erberger (interpretato da Daniel Brühl), delegato all'armistizio dopo tre anni di battaglie che hanno ridotto la Germania allo stremo. Tramite i suoi occhi vediamo la cocciutaggine delle alte sfere, coloro i quali il campo di battaglia non lo hanno visto neanche con il cannocchiale, ma che sono saldamente convinti della vittoria, impauriti dall'onta che da una resa potrebbero subire, parte più alta e disumana di una classe dirigente chiusa in sé stessa, lato estremo di quella generazione interessata solo al nome e pronta a sacrificare milioni di figli per il proprio bene.
Il quadro che ne emerge è completo e sfaccettato e trova un limite di scrittura unicamente nel poco spazio concesso ai compagni di Paul, ai quali un approfondimento maggiore avrebbe giovato e sarebbe riuscito anche a trasmettere un senso di coinvolgimento persino maggiore di quello, pur alto, già presente.
Regia e fotografia si immergono nella trincea con uno sguardo perennemente ad altezza uomo. I colori sono quelli del fango e del piombo, intercalati dal rosso vivo del sangue e della carne dilaniata: per la prima volta i dettagli più scioccanti narrati da Remarque trovano forma filmica. Ma prima ancora, si riesce a vivere l'esperienza in modo diretto con una messa in scena certosina, la quale però non scade mai nell'ormai trito modello spielberghiano: la macchina da presa è quasi sempre salda, non c'è la volontà di ricreare il senso di spaesamento tramite facili artifici estetici. I punti di riferimento, semmai, sono altri e certamente più elevati, ossia Malick e l'ormai inevitabile Klimov.
Le prime immagini parlano chiaro: come ne "La Sottile Linea Rossa", Edward Berger vuole creare un parallelo con i tempi della natura. Lontano dalla terra di nessuno, eppure incredibilmente vicino, la fauna vive tranquilla e la flora continua ieratica la sua esistenza. Immagini che fanno il paio con quelle verso la fine, gli inserti dell'ospedale da campo con i resti umani che vengono sciacquati via a fine conflitto. Ma durante tutto il film, questa simmetria si perde e quelle immagini iniziali diventano vacue, inutili inclusioni che non portano alla riflessione dovuta.
Decisamente più riuscita è invece la rielaborazione della lezione di Elem Klimov: se per tutto il film la descrizione degli eventi è oggettiva, benché basata sul punto di vinta principale di Paul, nel climax questa diventa soggettiva, con un'ascesa verso il cielo catartica che deforma la percezione degli eventi fino ai limiti del poetico, con lo sguardo del protagonista che finisce per ricordare quello del coevo di "Va' e Vedi".
Questo nuovo adattamento di "All'Ovest niente di nuovo" riesce così nell'impresa di restituire la drammaticità del romanzo, con un piglio spettacolare mai compiaciuto e giusto qualche sbavatura.
Sarò strano, ma il mio film preferito sulla prima grande guerra rimarrà sempre "La Croce di ferro" di Sam Peckinpah. ;) Oltretutto, il punto di vista è quello dei prussiani!
RispondiElimina"La Croce di Ferro" è ambientato durante la Seconda. Ci ho scritto anche un pezzo ;)
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