con: Anya Taylor-Joy, Ralph Fienness, Nicholas Hoult, Hong Chau, Janet McTeer, John Leguizamo, Paul Adelstein, Aimee Carrero, Reed Birney, Judith Light.
Thriller/Grottesco
Usa 2022
---CONTIENE SPOILER---
La cucina è davvero arte? Difficile dirlo. Dopotutto si tratta pur sempre di un mezzo che permette di assaporare sensazioni più che effimere, che durano giusto il tempo della disgregazione nel palato per poi sparire nel nulla. Fenomeno esasperato ai tempi della cucina molecolare, delle porzioni inesistenti, dei piatti tanto barocchi nel concept quanto scarni nella consistenza e nella durata nei sapori.
Gli chef sono, di conseguenza, veri artisti? Anche questa è una domanda dalla ardua risposta. Quel che è certo è che il successo dell'alta cucina degli ultimi dieci anni ha creato dei veri e propri mostri, fenomeni mediatici saliti alla ribalta grazie al carattere inflessibile e insensibile, che si divertono più ad insultare avventori e collaboratori piuttosto che a regalare gusti efficaci. E che finiscono persino per diventare rivoltanti opinionisti sociali, come nel triste caso di Alessandro Borghese.
Negli ultimi tempi il cinema sta finalmente scoprendo l'orrore che si cela nel mondo della cucina. Già un annetto fa, "Pig" sbeffeggiava l'assurdità del tutto e quest'anno in sala c'è stato prima il purtroppo mal distribuito "Boiling Point", mentre in streaming il bel "The Bear", i quali hanno dato uno spaccato crudo della vita dietro i fornelli. "The Menu" rincara la dose e crea un affresco grottesco sulla follia della moda dei sapori, passando al tritacarne tanto i diabolici cuochi che si credono veri e propri artisti dal talento disumano. quanto gli stupidi avventori pronti a spendere tonnellate di quattrini pur di mangiare fesserie ricercate.
La struttura è quella di un folk-horror mischiata ad elementi slasher. Il gruppo di clienti viene invitato su di un'isola per una cena esclusiva, un luogo remoto, quasi selvaggio, nel quale compare persino un affumicatoio stile nordico che sembra uscito dritto dritto dal set di "Midsommar". Il gruppo è colorito, ma tra tutti è ovviamente la final girl di turno (Anya Taylor-Joy) a sospettare qualcosa, poiché l'unica a non credere nella "grandezza" della cucina d'elite. E lo chef, interpretato con piglio sottilmente demoniaco da un ottimo Ralph Fienness, è un vero e proprio Jigsaw del palato, un cerimoniere che usa la sua arte per concupire e poi distruggere le vittime.
Ma laddove l'ingegnere sadico della serie di "Saw" era un giustiziere vero e proprio che usava la violenza per punire soggetti socialmente riprovevoli, Slowik è invece un artista pazzo e a pezzi che si prende una rivincita del tutto personale verso chi gli ha fatto un torto. C'è ovviamente la coppia di critici culinari, rei di aver distrutto le carriere di una moltitudine di colleghi pur avendolo supportato in passato. Gli yuppie impiegati nell'azienda del mecenate, che resta in piedi grazie al malaffare. Il mecenate stesso, che ha mercificato la sua passione. Ma anche tutto quel gruppo di semplici degustatori in cerca di un'esperienza "artistica", coloro i quali hanno foraggiato la trasformazione della culinaria in un passatempo snob per ricchi, drenandone ogni gusto, desertificandone i contenuti, avvalorando le stravaganti e aride ricette della cucina molecolare. Non per niente, a salvare la situazione è un buon vecchio cheeseburger.
Lo sguardo di biasimo è rivolto tanto ai produttori, quanto ai consumatori. Laddove lo chef è uno psicopatico, l'idiozia del cliente medio viene incarnata principalmente dal personaggio di Nicholas Hoult, vero e proprio idiota follemente innamorato di una cultura culinaria della quale vorrebbe anche essere parte, ma che finisce per annientarlo. Il resto del gruppo è quanto ci si può aspettare da un ambiente del genere, ossia un gregge di borghesucci persi nell'ostentazione onanistica di un lusso effimero, la cui componente volgare è magnificamente incarnata da un sempre bravo John Leguizamo, qui nei panni di un attoruncolo i cui manierismi sono, per sua ammissione, ispirati a Steven Seagal.
La vena satirica si gonfia fino al grottesco. I tempi sono quelli della commedia nera, di una metafora deformata fino all'iperbole. Non per nulla, tra i produttori c'è quell'Adam McKay che ha fatto della satira demenziale la sua cifra stilistica. E l'intento parodico si palesa esplicitamente quando viene ripresa la grafica di "Chef's Table" per introdurre i piatti e quella di un qualsiasi reality di cucina per scandire i tempi della cena.
Laddove il registro grottesco funziona, non paga l'idea di declinare il tutto con la più classica struttura da horror. Tanto che il finale è ampiamente intuibile e finisce con il risultare stantio oltre che scontato. Ma forse non conta l'arrivo, quanto il viaggio: come in una cena vera e propria, si devono assaporare le singole portate, i singoli sapori, acidi e irresistibili, per ricordarci come, spesso, ci si lasci ammaliare a torto da mode tanto chic quanto vacue.
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