con: John David Washington, Madeline Yuna Woyles, Gemma Chan, Ken Watanabe, Allison Janney, Sturgill Simpson, Amar-Chada Patel, Ralph Ineson.
Fantascienza
Usa 2023
Già le primissime recensioni di "The Creator" ne hanno lodato l'estrema originalità, enfatizzandone la sua capacità di portare sul grande schermo qualcosa di nuovo e inedito. E già dopo i primi minuti di visione, anche lo spettatore non appassionato di fantascienza non può che chiedersi che film i recensori abbiano visto.
Perché nell'ultima fatica di Gareth Edwards di davvero originale c'è forse la sola ambientazione nepalese, mentre storia, simbolismi, metafore e worldbuilding lo fanno somigliare ad un vero e proprio compendio di tutta la fantascienza degli ultimi sessant'anni, cinematografica e non. Il che non sarebbe neanche male, se non presentasse al contempo delle ingenuità che un testo fantascientifico del 2023 non può permettersi.
Si parte dai manierismi, visto che tutto ciò che viene raccontato è in qualche modo già stato raccontato nono solo più volte, ma anche meglio. L'uomo ha creato la vita sintetica, con una evoluzione tecnologia alternativa che rende simile il mondo concepito da Edwards a quello di "Fallout", ossia un universo uguale a quello reale, ma dove ad un certo punto lo sviluppo tecnologico ha preso un svolta diversa portando ad un futuro diverso. Il paragone con il famoso gioco di ruolo non è poi a caso, visto che il film si apre con degli spot pubblcitari stile retrò sui robot da compagnia.
Le IA si sono integrate nel tessuto sociale, divenendo però la classe operaia, come in "Blade Runner". Di punto in bianco, fanno detonare una bomba atomica al centro di Los Angeles, come in "Terminator 2- Il Giorno del Giudizio". L'umanità avvia così una guerra ai sintetici, come in "Matrix", e la chiave della sua supremazia bellica è data dalla stazione Nomad, super-arma in grado di distruggere qualsiasi cosa sorvoli, stile Morte Nera.
L'unica nota di (pallidissimo) carattere in tale storia è dato dal fatto che questa guerra non è su scala globale, ma coinvolge sostanzialmente due nazioni, ossia Usa e New Asia, che ha anch'essa creato la vita artificiale grazie agli sforzi di uno scienziato chiamato Nirmata, ossia il "creatore" del titolo, e ha dato rifugio a tutti i sintetici del mondo.
Da premessa derivativa si passa a trama derivativa: Joshua (John David Washington) è un reduce di guerra ed ex infiltrato in New Asia. Dopo aver perso l'amore della sua vita Maya (Gemma Chan), figlia del fantomatico Nirmata alla quale si era inizialmente unito solo per portare avanti un'operazione militare, viene richiamato in servizio per una nuova missione oltre le linee nemiche, ossia individuare e distruggere un'arma di distruzione di massa. Solo che questa altro non è che una bambina robot (Madeline Yuna Woyles), creata da Maya, la quale ha la capacità di collegarsi a qualsiasi congegno elettronico. Joshua decide quindi di prenderla sotto la sua ala protettrice e usarla per ritrovare l'ex compagna, la quale sembra essere ancora viva, in un viaggio che fa da via di mezzo da quanto visto in "The Last of Us" e la prima stagione di "The Mandalorian" e che culmina in un laboratorio sito in un tempio, in maniera simile a quanto visto in "Innocence: Ghost in the Shell 2".
E se la più totale assenza di originalità non sarebbe neanche un problema troppo grave, è lo svolgimento approssimativo che rende "The Creator" una visione davvero sfiancante.
Edwards e Chris Weitz imbastiscono uno script dove il termine "scontato" è un imperativo. Danno per scontato che basti vestire i robot da monaci e fare qualche fumoso riferimento religioso per far riflettere lo spettatore sul concetto di trascendenza; danno per scontato che basti inserire qualche linea di dialogo nella quale gli umani affermano che le emozioni delle IA sono artificiali per innescare una profonda riflessione sul concetto di umano. Danno per scontato che basti un colpo di scena ritagliato da una battuta riguardante la causa dell'esplosione nucleare per far riflettere lo spettatore sull'insensateza della guerra, in una parata di pressapochismo che a tratti riesce persino ad essere divertente.
Quel che è peggio è che non si accorgono di come queste tematiche vengano inserite malamente sia nel contesto della storia, sia all'interno del mondo nel quale essa si svolge. Si da per scontato che i robot posso essere credenti e non si chiarisce neanche con qualche accenno come possano esserlo davvero, ossia come può un essere la cui mente è puro calcolo sviluppare (anche solo in via imitativa) una forma di spiritualità (errore che già il reboot di "Battlestar Galactica" faceva una ventina di anni fa, ma che almeno cercava di rimediare mettendo la tematica religiosa al centro di bene o male tutta la storia). Allo stesso modo, si da per scontato che i robot possano davvero provare le stesse emozioni delle creature organiche, senza però comprendere come possano farlo laddove non hanno le stesse sensazioni, lacuna che "Blade Runner" evitava caratterizzando gli androidi come esseri organici (e che è comune a quel "Detroit- Become Human" ulteriore esempio di fantascienza tanto pretenziosa, quanto pressapochista); tantomeno viene anche solo fatto intuire perché i robot sentano la necessità di vestirsi come gli umani, pur non avendo nulla da nascondere sotto gli abiti (conformismo? Affermazione di individualità?).
Si arriva poi ad una contraddizione imbarazzante quando si arma l'esercito americano, ossia quello che ha il compito di snidare e distruggere la vita artificiale, con dei robot dotati di individualità e coscienza. E non si parla di superarmi in grado di cambiare le sorti del conflitto e che gli Americani userebbero per puro interesse, bensì di due robottini messi a caso per dare più spazio ad una normale sequenza di bombardamento.
Quello di "The Creator" è così un universo che poteva essere affascinante, ma che finisce per essere totalmente solo assurdo.
La storia, nella sua semplicità, doveva essere coinvolgente per funzionare, ma finisce per lasciare freddi. Il rapporto tra Joshua e la piccola Alfie è forzato, soprattutto nelle battute iniziali, dove passa da un'unione data dalla convenienza ad una forma di affetto che nasce in modo sin troppo spontaneo.
I dialoghi sono didascalici, ma non è per forza di cose un problema. Lo è, semmai, l'inesrpessività cronica di John David Washington, che recita (è proprio il caso di dirlo) come un automa, senza lasciar trasparire il dolore e l'emotività che il personaggio dovrebbe in teoria avere.
Oltre il rapporto padre/figlia, c'è solo la questione del conflitto, risolto nel più classico "buoni contro cattivi", senza mai neanche poter anche lasciar sorgere il dubbio nello spettatore che in un mondo dove l'intelligenza artificiale è uguale in tutto e per tutto all'uomo, possa esisterne una dotata di cattive intenzioni, facendo calare una coltre di improbabilità sul tutto.
Ad ammazzare definitivamente il coinvolgimento ci pensa poi lo humor che, pur limitato alla sola prima parte, talvolta lascia basiti per quanto è fuori luogo; quando poi si scade nel ridicolo involontario, con quella scimmia armata di detonatore, la visione si fa davvero insostenibile.
Se si vuole trovare qualcosa di buono in questo pastrocchio pretenzioso, questa è data unicamente dall'occhio di Edwards per le immagini, talvolta davvero evocative; le quali assumono un valore persino maggiore quando ci si accorge che il budget dell'intro film è di circa 80 milioni di dollari, ossia neanche la metà di molti altri blockbuster che non possono vantare neanche la metà della bellezza estetica qui sfoggiata. Peccato che tale mestiere venga messo al servizio del nulla.
Sorge quindi una domanda: perché in molti hanno lodato l'originalità di "The Creator"? La risposta giusta è inquitante: forse siamo talmente abituati a vedere blockbuster tratti da libri, fumetti o concepiti come sequel o spin-off di qualcos'altro che la semplice mancanza della scritta "tratto da" fa credere a molti spettatori (anche critici professionisti, forse solo sulla carta) che tutto quel che mostrano sia nuovo o ben fatto. Pura e semplice illusione.
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