con: Nicolas Cage, Andrea Riseborough, Linus Roache, Ned Dennhey, Olwen Fouéré, Richard Brake, Bill Duke, Line Pillet, Alexis Julemont, Stephen Fraser, Clement Barronnét, Hayley Saywell.
Horror
Usa, Regno Unito, Belgio 2018
Esistono dei figli d'arte che superano il modello paterno, dimostrandosi ben più capaci all'interno del medesimo contesto artistico-lavorativo rispetto ai genitori e quello di Panos Cosmatos è l'esempio più recente e più fulgido. Suo padre, George Pan Cosmatos, era un mestierante a buon mercato nella Hollywood degli anni '80 e '90; sua era la firma su quel "Rambo II- La Vendetta" che affossava l'eredità del capostipite o l'amorevolmente ridicolo "Cobra", così come quella su "Tombstone", che invece si rivelava una dignitosa rievocazione della mitica sfida all'OK Corrall graziata da un cast superbo; e benché anche "Cassandra Crossing", "Di origine sconosciuta" e "Leviathan" siano stati degli exploit più che dignitosi, è classificabile come un cineasta dotato di nerbo, ma non di stile, che ha attraversato la Mecca del Cinema lasciando il tempo che ha trovato.
Panos, all'opposto, ha diretto giusto due film ed un episodio del deludente serial antologico "Guillermo Del Toro's Cabinet of Curiosities", imponendosi immediatamente come un filmmaker visionario e dotato di uno stile personale immediatamente riconoscibile, seppur non totalmente originale.
"Mandy" è il suo secondo lungometraggio, il primo ad avere avuto una distribuzione internazionale, che ne dimostra le capacità di messa di scena e che è diventato cult praticamente subito. Anche grazie alla presenza di un al solito impagabile Nicolas Cage.
Un horror che è il classico esempio di stile che divora la sostanza. Perché da un punto di vista strettamente narrativo, "Mandy" è quanto di più convenzionale si potrebbe chiedere, un semplice ibrido tra un home-invasion classico ed un rape & revenge ancora più classico, con una prima parte dove la quiete della coppia interpretata da Cage e Andrea Riseborough (il cui personaggio dà titolo al film) viene infranta da un gruppo di fanatici religiosi para-cristiani ed una seconda nella quale Cage diventa un novello Mad Max, attuando una ferocissima vendetta. Ciò che conta è il modo in cui le sequenze prendono vita su schermo.
Quelle di "Mandy" non sono semplici scene da home invasion e rape & revenge, quanto il sogno lisergico e allucinato di un comune home invasion/rape & revenge, una sorta di inconscio cinefilo e pop nel quale la violenza della storia si fonde con il lascito del prog-rock. Non per nulla, il film si apre sulle note di "Starless" e prosegue con un ritmo da rock anni '70, inanellando una serie di sequenze da vero e proprio trip in acido.
Cosmatos porta in scena un'estetica propria e originale (benché venga dopo Rob Zombie e Richard Stanley, ma comunque prima delle derive stilistiche più estreme di Joe Begos) quella di un viaggio allucinato carburato da un immaginario tardo anni '70 proprio dell'ambientazione del film, ossia un 1983 ancora saldamente ancorato al mood del decennio precedente. L'incedere è quello di un album prog-rock, le immagini sono distorte, allucinate e rarefatte, l'atmosfera tra l'onirico e il lisergico vero e proprio. Il tutto cosparso da una vena di brutalità esagerata, urlata a squarciagola, che non riesce mai ad essere davvero disturbante ma che riesce a trasformare il tutto in un incubo drogato e malsano.
La storia è anche intrisa di simbolismi bizzarri. Il gruppo di invasori potrebbero essere il parto della mente di un paranoico durante il "panico satanista" dei primi anni '80, con un'inversione simbolica dei concetti di bene e male; così come il vendicatore di Cage è letteralmente una "tigre che brucia fulgida nella foresta notte" di blakeiana memoria; ma tutti questi simboli restano chiusi in una forma comunicativa ottusa, che non apre ad interpretazioni o letture facili e forse neanche davvero possibili, configurandosi più come rimandi che come effettivi chiavi di lettura del racconto.
A Cosmatos non interessa la narrazione per sé, tantomeno creare un racconto di tensione o di orrore vero e proprio, quanto comunicare un sentimento d'ansia costante, dove spesso questa viene perorata e amplificata dall'incapacità di discernere cosa stia davvero accadendo su schermo. Da questo punto di vista sono riuscitissime le scene in cui compaiono i motociclisti infernali, sorta di cenobiti su due ruote la cui natura effettivamente sovrannaturale viene lasciata in sospeso persino quando chiarificata del tutto.
Ansia che resta alta anche quando decide di inserire delle derive fantasy assortite, come i sogni in animazione che ricordano le tavole dei fumetti di "Heavy Metal" o quell'ascia che non sfigurerebbe sulla copertina di un album epic metal d'epoca; o, quando, decide di esagerare con un duello tra motoseghe che forse Tobe Hopper sognava durante le notti di lavorazione di "Non Aprite quella Porta 2".
"Mandy" funziona così nel suo voler essere un viaggio ipnotico nel subcosciente del cinema di genere americano e non, un trip avvolgente e incantevole che rapisce per tutta la sua durata lasciando, alla fine, piacevolmente ammaliati e la cui totale vacuità contenutistica non è per forza di cose un difetto.
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