venerdì 19 gennaio 2024

The Palace

di Roman Polanski.

con: Oliver Masucci, Fanny Ardant, John Cleese, Mickey Rourke, Bronwyn James, Joaquim De Almeida, Luca Barbareschi, Milan Perscel, Fortunato Cerlino, Sydne Rome.

Grottesco

Italia, Svizzera, Polonia, Francia 2023













E' stato facilissimo massacrare "The Palace", visto come mostra il fianco a praticamente tutte le critiche possibili. E l'ultima fatica di Roman Polanski (che, arrivando subito dopo il bellissimo "L'Ufficiale e la Spia",  lasciava presagire un buon esito anche questa volta) di certo non si può definire riuscita, vista la sua effettiva incapacità di colpire. Eppure la ferocia con la quale è stata demolita risulta spesso esagerata, se non talvolta infondata, poiché alcuni dei difetti che le vengono riconosciuti sono in realtà dei pregi.




Tutto nel film è finto. E' finto lo sfondo innevato che incornicia l'hotel del titolo, sono finte le scenografie degli interni, è fintissimo quel pinguino che ogni tanto appare in scena tanto per, rigorosamente staccato dal resto dei personaggi e incollato malamente sugli sfondi; allo stesso modo in cui finti sono i personaggi, riccastri di carta pesta, vecchie bacucche dai volti mostruosi che sfoggiano come se fossero belli, un chirurgo plastico chiamato a fare le veci del medico vero e proprio con moglie rimbambita al seguito, un ex pornodivo dalla faccia spaccata, una nobildonna incartapecorita che si preoccupa del suo cane-ratto come di un figlio, un truffatore da strapazzo pronto a fare il colpo del millennio et similia. Quella di Polanski è una satira che mette alla berlina un pugno di personaggi da cinepanettone, presentandogli come dei mostri orrendi piuttosto che come dei simpaticoni, quindi la ripresa della medesima estetica rende il racconto compatto e coerente. 
Una ripresa che trova il suo apice nel casting del produttore Luca Barbareschi, qui nei panni di un pornodivo che arriva in scena con un trucco e parrucco che sembra creato ad hoc per farlo somigliare a Christian De Sica, come una sorta di parodia umana che si muove liberamente in immagini che potrebbero quasi essere quelle di un "Vacanze di Natale" qualsiasi. 
Il racconto è così quello di un'alta borghesia cafona e viziata che mima il cinema amato e perorata da quella stessa classe, che ne imita l'estetica e lo stile e che sarebbe anche riuscito se questa satira fosse davvero classificabile come tale.




Dello stuolo di personaggi orrendi e grotteschi, Polanski non sa davvero cosa farsene. Lo script (che porta addirittura anche la firma di Jerzy Skolimowski, che non collaborava con il regista dai tempi del folgorante esordio "Il Coltello nell'Acqua") li introduce in modo efficace, riuscendo a sottolinearne la natura ripugnante, ma quando si tratta di portare davvero in scena la loro mostruosità si rivela misteriosamente parco, vergognandosi di andare oltre quella soglia di provocazione minima necessaria affinché il tutto risulti graffiante o anche solo davvero parodistico.




Tutte le scene volgari arrivano in modo automatico, come il vomito della moglie del dignitario o il suo finire di faccia nel piatto. Questo quando arrivano, perché alle volte la volgarità resta tra le righe, disinnescando ogni possibile velleità provocatoria, rendendo il registro usato stranamente vetusto, come se fosse il figlio di tempi dove le maglie della censura erano più strette, cosa inedita per Polanski. Quando poi la provocazione arriva davvero, è sterile, come quell'ultima inquadratura, che avrebbe lasciato freddi già all'interno di una satira riuscita, figuriamoci nel contesto di una priva di mordente; o come la scena del coito con il cadavere, ripresa quasi totalmente da "Visitor Q", ma che qui non ha un effetto neanche lontanamente paragonabile.




Quando poi Polanski e soci cercano di rifarsi alla modernità o alla cinefilia, le cose non migliorano più di tanto; davvero stanca la "non citazione" di "Chinatown", così come la comparsata di Sydne Rome, il cui volto massacrato dal lifting a buon mercato viene usato per spiattellare la bruttezza dell'ossessione della giovinezza, ma la cui presenza riporta inevitabilmente alla mente "Che?", altra incursione dell'autore nel grottesco decisamente più memorabile. Più simpatica è invece la performance di Mickey Rourke, al solito encomiabile, che trasforma il suo personaggio in un emulo di Donald Trump, regalando persino una sparuta risata genuina nella scena in cui si intrufola nella stanza di un altro.
E' come se regista e sceneggiatori abbiano dato per scontato che il pubblico possa odiare queste figurine tanto reali quanto fiacche per il solo loro apparire su schermo, cosa che non avveniva nel coevo "Triangle of Sadness", dove la caratterizzazione non cedeva mai il passo alla pura rappresentazione. Alla fine, sembra che le scene e battute migliori siano rimaste tra le pagine della sceneggiatura o addirittura nella mente degli autori.




"The Palace" è così una satira stanca e vacua, ma che trova almeno una ragion d'essere in una messa in scena del tutto coerente con i propri intenti iniziali. Non un film brutto, solo magistralmente malriuscito.

Nessun commento:

Posta un commento