con: Margaret Qualley, Geraldine Wiswanathan, Pedro Pascal, Colman Domingo, Beanie Fedelstein, Joey Slotnick, C.J. Wilson, Bill Camp, Connie Jackson, Annie Gonzalez, Matt Damon.
Commedia/Azione
Usa, Regno Unito 2024
---CONTIENE SPOILER---
La separazione tra i fratelli Coen è tutto sommato durata davvero poco, giusto una manciata di anni duranti i quali Joel ha diretto il bel "Macbeth", mentre Ethan ha diretto il suo primo lungometraggio in solitaria, il documentario su Jerry Lee Lewis "Trouble in Mind"; e alla vigilia del loro ritorno assieme, ecco uscire "Drive-Away Dolls", primo lungo di fiction di Ethan, vero e proprio coacervo di (quasi) tutte le ossessioni del duo calato in un road-movie queer.
1999. Jamie (Margaret Qualley) e Marian (Geraldine Wiswanathan) sono due amiche che decidono di lasciare Philadelphia per trasferirsi a Tallahassee, in Florida, dalla zia di quest'ultima. Per il viaggio prendono in affitto una vecchia dodge... nel cui bagagliaio c'è una valigia misteriosa, inseguita da due strani tipi poco raccomandabili (C.J. Wilson e Joey Slotnick).
Una trama scontata e già vista, si può ben dire. Il mcguffin della valigetta è il leitmotiv di quel cinema di genere americano degli anni '90 che Ethan Coen qui vuole abbracciare in tutta la sua interezza e con tutti i suoi luoghi comuni. Proprio lui che con "Fargo" e "Il Grande Lebowski" in quel periodo ha creato due delle commedie nere-noir più apprezzate di sempre, ora torna "sul luogo del delitto" per coniare un omaggio vivido.
Tutto in "Drive-Away Dolls" è un omaggio al passato. Oltre alla valigetta ci sono i due scagnozzi scalcinati e un po' scemi, un senatore biondo che nasconde un segreto di natura sessuale e un mistero che una volta disvelato fa calare il ridicolo su tutto l'assunto. Tutto ciò che ci si aspetta da un film dei fratelli Coen e tutte le tematiche che solitamente tornano nei loro film.
Anche "Drive-Away Dolls" è in parte un film sui malcostumi americani, ripresi con una lente grottesca che ne amplifica le storture sino al paradosso. Il più demenziale è ovviamente la rivelazione sul contenuto del mcguffin: una serie di dildo ottenuti dai peni di persone poi divenute importanti, tra i quali un senatore repubblicano in odore di candidatura alle presidenziali, ossia un segreto strampalato pronto a sgretolare quella patina di finta onestà di ricopre le istituzioni e i potenti.
Ed è, al contempo, un film su di un pugno di personaggi idioti, dove tutti, più o meno, lo sono. I due killer sono solo l'esempio più fulgido, così come quel senatore che si è letteralmente "inculato da solo". Ma non meno stupide sono le due protagoniste, due ragazze lesbiche prigioniere del loro carattere monodimensionale.
La più frustrata è ovviamente Marian, ragazzetta fin troppo seria, schiava del suo carattere da para-intellettuale che le impedisce di vivere in modo libero la propria sessualità, da cui una insoddisfazione che sfoga in modo antipatico con il prossimo. Ma non meno caratterialmente corrotta è Jamie, la "ragazzaccia" texana sottomessa dalla propria incontenibile libido, incapace di vivere una relazione seria proprio perché in preda ad una forma di ninfomania implacabile (da cui l'astio della ex Sukie, che la picchia a inizio film); è praticamente lo stereotipo di un latin-lover calato nel corpo esile e sensuale di Margaret Qualley, satira di quella sessualità estrema che porta a estreme conseguenze.
Due ragazze che si completano a vicenda, due opposti che ovviamente finiscono per attrarsi, per completarsi in una unione tanto strampalata quanto perfetta. Che permette a Coen di creare anche un perfetto commento sulla comunità LGBT+.
Il 1999 di "Drive-Away Dolls" è in tutto e per tutto il presente, dove l'omosessualità viene accettata e vista come una devianza solo dai personaggi negativi. Cosa che non deve stupire, visto che in realtà l'ambientazione storica è dovuta al semplice fatto che lo script fu iniziato dall'autore assieme alla moglie Tricia Cooke oltre vent'anni fa.
Coen si diverte a dare spazio a personaggi queer caratterizzandoli in modo del tutto naturale, come se fossero personaggi qualunque e non necessariamente esistenti meramente a causa alla loro sessualità, che ne costituisce solo una parte della caratterizzazione, tanto che tutta la storia avrebbe funzionato lo stesso se una delle due protagoniste fosse stata maschio. In un'epoca dove si insegue la sacralità del personaggio omosessuale, un veterano del cinema americano compie l'operazione più progressista possibile creando due personaggi del tutto "normali" in una storia dove la loro sessualità non è neanche il vero motore degli eventi, pur celebrando in modo vivido i costumi della comunità omosessuale, che, di conseguenza, trovano una rappresentazione più veritiera che in tanto cinema woke da strapazzo.
La penna di Ethan Coen è così ancora appuntita e prova ne sono anche i dialoghi freschi e frizzanti. Ma "Drive-Away Dolls" ha il limite inrinseco che ogni operazione del genere porta con sé, ossia la superficialità.
Nessuna delle tematiche affrontate trova quel giusto approfondimento o anche solo quel mordente che le opere dei Coen solitamente hanno, se non quella della relazione delle due ragazze e il loro arco caratteriale. Tutto il resto è veloce e repentino, complice anche la brevissima durata, e alla fine nulla finisce per risaltare davvero in un calderone di idee e situazioni che con il giusto spazio avrebbero davvero potuto dar vita ad un film decisamente memorabile.
Il che si somma alla ovvia mancanza di originalità, un difetto intrinseco alla sua natura di film-omaggio: oltre al passato di Ethan Coen si respira un'aria da cinema della New Wave, con la voglia di mettere al centro due ragazze che più che da "Thelma & Luoise" sembrano uscite da una produzione di Roger Corman tanto è la loro spigliatezza. La riproposizione di cliché e luoghi comuni in modo amoroso porta con sé la volontà di non dire nulla di nuovo e l'esordio in solitaria di Ethan Coen alla fine è quello che è, ossia un puro atto d'amore che vuole unicamente celebrare, non innovare. Tanto che l'unica nota di vera originalità viene data dalla scelta di ambientare praticamente tutto il film in interni, pur essendo un buddy-movie on the road. Il che, assieme ad un uso giocoso e divertente delle transizioni, dimostra come anche Ethan abbia un certo occhio per la messa in scena, non limitandosi a rifare quanto fatto dal fratello in passato.
Ma io di solito apprezzo i Coen anche quando vogliono solo celebrare il passato e non innovare... Non escludo che mi possa piacere questo. Grazie per l'ottima recensione!
RispondiEliminaGrazie a te ;)
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