di Jonathan Glazer.
con: Christian Friedel, Sandra Hüller, Johann Kathaus, Luis Noah Witte, Nele Ahrensmeier, Lilli Falk, Maz Beck.
Drammatico/Storico
Usa, Regno Unito, Polonia 2023
Jonthan Glazer è letteralmente un "cineasta tutto fumo e niente arrosto". Se si guarda alla sua tutto sommato scarna carriera di regista cinematografico, emerge un quadro chiaro, ossia quello di un cineasta innamorato di uno stile ampolloso e ricercato, ma messo sempre al servizio di storie debolissime. E di fatto, i suoi film più famosi lo sono per la loro inconsistenza: "Birth- Io sono Sean", un thriller psicologico con ventate di soprannaturale giocato su primi piani che rendono il tutto immediatamente noioso e alla fine persino ridicolo, grazie ad un colpo di scena tra i più cretini mai visti; oltre che "Under the Skin", sci-fi erotico che è praticamente un remake non dichiarato di "Specie Mortale", solo virato all'arthouse compiaciuto.
"La Zona d'Interesse" gli fornisce quantomeno un soggetto con il quale sfogare la sua voglia di ricercatezza, ossia il dramma della Shoah, che con la sua gravità di certo può giustificare una messa in scena anticonvenzionale.
Perché oramai un argomento del genere non può più trovare una messa in scena classica senza risultare già visto. I vertici toccati da "Schndler's List", "Il Pianista" e "Arrivederci, Ragazzi" sono impossibili da eguagliare e sarebbe anche inutile provarci, quindi tanto vale cercare di raccontare la storia dell'Olocausto attraverso la lente della stilizzazione estrema. E Glazer, in fin dei conti, non fa nulla più di quanto non avesse già fatto Làslzò Nemes con "Il Figlio di Saul" già nel 2015 e, anzi, fa anche qualcosa in meno, lasciando l'orrore perennemente fuori scena, persino oltre quei margini che invece Nemes rispettava come limite di inclusione e non di esclusione.
In tal senso, il finale è il vero centro del film, con la macchina da presa che entra finalmente nei confini di una Auschwitz ora trasformata nel museo della memoria, dove gli echi del genocidio hanno preso una forma concreta e tangibile, oltre che prettamente visiva.
Nell'ora e mezza precedente, l'orrore è sempre rimasto oltre la cortina del muro di cemento che divide la residenza della famiglia Höss, permeando solo grazie ai suoni dei colpi di fucile e delle grida (altra similitudine con "Il Figlio di Saul" è il sound design ricercatissimo, persino più dell'aspetto visivo) o al massimo nelle forme della cenere che si attacca ai corpi del direttore e dei suoi figli.
La visione dell'orrore è costantemente negata poiché è l'orrore stesso ad essere negato. Più che un film sulla banalità del male (come viene sostenuto), "La Zona d'Interesse" è un film sulla normalizzazione del concetto di orrore, su come un pugno di esseri umani decida di ignorarlo per vivere una vita agiata; ogni risvolto metaforico ultraneo rispetto alla Shoah viene evitato e Glazer si concentra totalmente sul dramma storico, quando ben avrebbe potuto divenire anche la metafora di concetti e situazioni contemporanee; a lui interessa solo narrare la storia di Rudolf Höss e su come (non) sia riuscito a normalizzare l'omicidio di massa.
Da questo punto di vista, il film è tutto sommato riuscito e la messa in scena trova davvero una sua ragion d'essere; la normalità della famiglia viene portata in scena con un punto di vista oggettivo ed esterno, con la macchina da presa piazzata agli angoli delle stanze come in un reality show o anche a tagliare lo spazio esterno per creare una dicotomia visiva tangibile tra gli Höss e quegli Ebrei che raramente si affacciano oltre il cancello del lager. La sensazione di un male non riconosciuto e di una normalità insistita è sempre tangibile, ma questo, purtroppo, non attesta la completa riuscita della visione di Glazer.
Perché pur lavorando di sottrazione assoluta, la regia talvolta decide volontariamente di scadere nel pacchiano, come quella virata al rosso alla fine del primo atto o l'uso dell'immagine in negativo per ritrarre le fughe notturne della bambina; quest'ultima trovata, a detta dello stesso regista, adoperata per sottolineare come il suo gesto altruistico rischiari un periodo storico cupo (!!!); soluzioni che tolgono quell'aura di freddezza che invece è necessaria ad un racconto del genere, contraddicendo l'austerità sfoggiata nel resto del film e finendo per rendere tutta la narrazione goffa.
Il vero limite è però un altro e ben più consistente, ossia l'estrema semplicità dell'assunto dietro la visione di Glazer; tanto che persino 104 minuti sono troppi per un film del genere, al punto che già a metà il tutto risulta ridondante: al di là della premessa, la tesi non trova sviluppo effettivo, restando sempre e solo un abbozzo nel quale persino l'arco del personaggio di Rudolf Höss risulta incapace di giustificare la forma del lungometraggio. Cosa che ne "Il Figlio di Saul" non avveniva grazie alla capacità della sceneggiatura di imbastire un viaggio interiore del protagonista credibile e pregnante prima ancora che completo.
Per quanto comprensibile e condivisibile su tutti i piani, "La Zona d'Interesse" resta così un'opera riuscita solo in parte e che non riesce a sfruttare appieno il potenziale dato da storia e messa in scena.
Per lo meno, Glazer può ora vantarsi di aver fatto un film che ha ragione di esistere.
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