con: Alberto Sordi, Claire Bloom, Vito De Taranto, Ya Doucheskaya, Guido Spadea, Eva Magni, Piero Mazzarella, Lilla Ferrante, Anna Carena, Ezio Sancrotti, Gustavo D'Arpe.
Commedia nera
Italia 1963
La percezione che si ha, soprattutto oggi, di Elio Petri come di un cineasta ribelle e anticonformista porta a dimenticare come anche lui, per forza di cose, fosse inserito all'interno del sistema produttivo cinematografico italiano. Un sistema all'epoca fortemente sviluppato e che puntava sovente a pellicole (quantomeno entrate in produzione come) puri esercizi commerciali, dove il regista aveva un ruolo di mestierante.
E' il caso de "Il Maestro di Vigevano", sua opera firmata nel 1963 prodotta dal (futuro) tycoon Dino De Laurentiis, tratta da un omonimo romanzo che aveva venduto molto bene e con in prima fila la star Alberto Sordi.
Petri dirige così un film su commissione che, tuttavia, del film su commissione non ha davvero nulla, se non il fatto che per lo script si sia affidato totalmente al mai troppo lodato duo Age & Scarpelli.
Nella Vigevano dei primi anni '60, il maestro elementare Antonio Mombelli (Sordi) conduce una vita agra, riuscendo a stento ad arrivare a fine mese. Vessato da un preside tirannico (Vito De Taranto) e da una moglie volitiva (Claire Bloom), cerca di cambiare vita avviando un'attività da piccolo artigiano, ma non tutto va come previsto.
Uno spaccato della vita ai tempi del "boom economico", "Il Maestro di Vigevano" posa lo sguardo non su chi si è arricchito, ma su coloro la cui vita non è migliorata a seguito della ripresa economica, anzi ha finito persino per peggiorare. Il ritratto è quello impietoso tipico della satira di costume dell'epoca (Sordi, giusto un paio di anni prima, era stato protagonista di un altro esponente del filone, il bel "Una Vita Difficile" di Risi), che Petri farcisce con il suo gusto per l'iperbole ed il surreale: le visioni di Mombelli e quel sogno delirante avvicinano il film a tanta sua produzione successiva, garantendogli una forma di originalità quanto meno nella messa in scena.
Lo spaccato è quello dell'altra faccia del boom, si diceva, di coloro che sono rimasti ai margini. Mombelli ne è in tal senso l'archetipo: un uomo che ha intrapreso la carriera di maestro una ventina di anni prima ed è già alla soglia della pensione, si ritrova a fare i conti con un mestiere che gli dà a stento da vivere in una provinciucola dove tutti si sono arricchiti grazie all'avvento del lavoro in fabbrica.
In primis, nel ritrarre il lavoro del docente come afflitto dalle angherie di ignoranti prepotenti (in tal caso il preside) e caratterizzato da un trattamento economico da fame, Petri ha creato un'opera in senso lato eterna, visto che tali problematiche si sono trascinate fino ad oggi, periodo storico nel quale i dirigenti scolastici sono spesso degli ignoranti che abusano la propria posizione a sfregio e gli insegnanti, la cui preparazione richiesta è talvolta pari se non superiore a quella di un docente universitario, sopportano le angherie di bifolchi che arrivano anche a picchiargli (oggi i genitori degli alunni), oltre che ad essere costretti a esami di ogni di tipo per avere un posto fisso mal retribuito, nella vana speranza di un futuro miglioramento economico.
Mombelli è così la maschera di un italiano che pur intelligente e acculturato, finisce schiacciato da tutti in una società dove l'unico valore riconosciuto è la ricchezza, dove l'unico atteggiamento socialmente percepito è lo sfoggio della propria superiorità economica. E dove gli unici che arrivano sono (allora come oggi) solo quelli che viaggiano ai limiti dell'illegalità.
Non per nulla, per lui il successo arriva solo quando inizia a usare pellame di contrabbando per la sua fabbrica e se ne va altrettanto velocemente a causa della sua stessa ingenuità. Petri alterna così uno sguardo sincero ad uno accusatore, lo guarda con empatia quando si ritrova alle strette e con biasimo quando inizia a far fortuna tramite la truffa. Il suo personaggio resta però sempre quello dell' "ultimo" anche quando si arricchisce per poco tempo, una vittima in un mondo dove esistono solo la sottomissione e l'umiliazione per chi cerca di rigare dritto.
Schiacciato com'è da una serie di figure autoritarie grottesche e deprecabili, Mombelli è una sorta di proto-Fantozzi che finisce per dare corpo a tutte le storture di una società gretta e ipocrita, nella quale i mostri hanno volti fin troppo umani: il rampante imprenditore Bugatti, tanto ricco quanto deprecabile, il preside che cela la propria ignoranza con atteggiamenti da comandante in capo da operetta, oltre che la bella moglie Ada, la cui voracità finisce per togliergli quel poco di stabilità che avrebbe potuto avere. Peggio di Mombelli c'è solo il collega Nanini, supplente che non riesce a trovare stabilità (altra tematica oggi ancora più drammatica rispetto a sessant'anni fa), la cui disgraziata esistenza lo porta a desiderare un impossibile ritorno alla natura.
E come per tutti gli ultimi, a Mombelli non resta che piegare il capo, sottomettersi all'autorità pur mal riconosciuta e mai digerita, al fine di mantenere quel poco di affermazione economica riuscita trovare in tanti anni.
Se lo sguardo di Petri è sagace e acuto, oltre che privo di compromessi, il ritratto è di fatto invecchiato, anche se, fortunatamente, solo in minima parte. A rivedere oggi quelle scene in cui Sordi fa di un dramma il fatto che la moglie e persino il figlio debbano lavorare non si può che sorridere amaramente; così come nel vedere la casa di Mombelli, che pur decadente è grande forse dieci volte quanto quella che un lavoratore "tartassato" odierno possa mai permettersi, prova di come la società italiana moderna si sia involuta in modo catastrofico.
Per il resto, "Il Maestro di Vigevano" è ancora oggi una visione intelligente e drammaticamente attuale di una società nella quale nulla davvero cambia per gli onesti.
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