venerdì 29 marzo 2024

Jesus Christ Superstar

di Norman Jewison.

con: Ted Neeley, Carl Anderson, Yvonne Elliman, Barry Dennen, Bob Bingham, Larry Marshall, Josh Mostel, Kurt Yahjian, Philip Toubus.

Musical/Religioso

Usa, Regno Unito 1973


















Le controversie venutesi a creare a seguito del successo di "Jesus Christ Superstar" (sia il musical, che l'album e soprattutto il film) appaiano oggi come vetuste, reliquie di un'era passata; senza contare come ogni volta che qualcuno cerca di dare una lettura originale alla figura di Cristo, le polemiche non mancano mai, persino quando (come in questo caso) la lettura appare conforme alle Sacre Scritture.
Rivisto oggi, "Jesus Christ Superstar" appare sicuramente come un film figlio dei suoi tempi, con la ripresa dei crismi della controcultura hippie per dipingere una gioventù allo sbando eppure in cerca di valori ai quali appigliarsi. Eppure, sia la musica, sia le visione che dà della figura di Gesù sono ancora moderne, perfettamente godibili e finanche accurate.




Sebbene sovente ascritto alla carriera di Andrew Lloyd Webber (e visto come il suo primo vero successo), "Jesus Christ Superstar" è in realtà figlio del paroliere Tim Rice. 
In cerca di successo dopo aver esordito come cantante in un album presto rivelatosi un flop, Rice entra in contatto ancora giovanissimo con un Webber persino più giovane di lui e, dopo aver ottenuto un certo riscontro con una serie di canzoncine a tema religioso per bambini, gli parla di una sua idea avuta già da ragazzino, ossia narrare la storia di Gesù dal punto di vista di Giuda Iscariota. Webber è inizialmente riluttante, ma poco a poco si convince del possibile riscontro che una tale storia, se declinata nella forma del musical, potrebbe ottenere.
I due trovano così un contatto con la EMI, la quale però propone loro di creare non tanto una pièce teatrale in musica, quanto un album vero e proprio, partendo tra l'altro con un singolo. Il primo pezzo che vede le stampe è appunto la canzone che darà il titolo all'opera, la quale riscuote un buon successo, doppiato poi dall'uscita del singolo di "I don't know how to love him", la canzone/confessione di Maria Maddalena già qui cantata dalla bravissima Yvone Elliman, che scala facilmente sia la top americana che quella inglese. L'album viene quindi messo in produzione alla fine del 1967 ed esce nel 1968, in contemporanea a "Tommy" degli Who, tanto che potrebbe soffiargli il primato di prima Rock Opera mai fatta.




La produzione del musical trova così strada facile. Già nel maggio 1971 iniziano le esibizioni sotto forma di concerto in giro per gli Usa, sempre con Yvonne Elliamn nei panni della Maddalena e già con il mitico Carl Anderson in quelli di Giuda. Il 12 ottobre avviene la prima a Broadway, riscuotendo un successo incredibile.
La visione di Gesù portata in scena da Rice viene subito criticata da molti fondamentalisti cristiani. In "Jesus Christ Superstar" la natura divina del Cristo non viene data per scontata, ma anzi messa persino in dubbio da Giuda, punto di vista principale della vicenda. Polemica che ovviamente si dimostra flebile quando ci si accorge che Giuda è un miscredente e che finisce per condannarlo a morte proprio per la sua mancanza di fede.
Pur tuttavia, la visione di Rice, da un punto di vista teologico e umanistico, appare incredibilmente accurata e condivisibile. Il Gesù qui ritratto (come accadrà ne "L'Ultima Tentazione di Cristo" di Scorsese) non è tanto il Dio o il profeta, quanto l'uomo, con i suoi dubbi, le sue debolezze e le sue paure. Un ritratto terreno che finisce per renderne la figura ancora più eccezionale, proprio perché accetta il suo sacrificio come un essere umano e non come una divinità venuta in Terra.




Giuda è invece un semplice uomo. La possessione demoniaca che secondo parte dei Vangeli lo ha portato al tradimento qui non esiste. E' un semplice essere umano corroso dal dubbio, nonché un amico deluso per quello che il messaggio di salvezza ha finito essere: non una chiamata alle armi, non un incitamento alla sovversione dell'ordine imposto dai Romani, ma un messaggio d'amore e fraternità universale. Oltre tutto, un messaggio che, ai suoi occhi, è stato oscurato dalla figura del profeta, il quale ha finito per divenire la "superstar" del titolo, vanificando ogni forma di possibile emancipazione data da esso.
Ma Giuda è anche lo strumento usato da Dio per compiere il sacrificio (e anche qui tornano i parallelismi con il film di Scorsese), la condizione necessaria affinché l'Agnello di Dio possa purgare il mondo dal peccato. L'Iscariota, al pari di Cristo, diventa così un personaggio tremendamente umano ed è questa una delle prime versioni nelle quali il suo ruolo nella storia di Gesù viene vista come essenziale, tesi che poi troverà fortuna anche grazie al fantomatico ritrovamento dei famosi Vangeli di Giuda.
Una lettura del genere si apre a tutte le accuse di blasfemia possibili, le quali ovviamente non sono mancate; e che oggi appaiano come sciocche, visto che una visione "laica" della storia di Gesù, forse anche grazie al successo dell'opera e del film, non è poi così anti-ortodossa come si potrebbe pensare.




Grazie al suo mix di ottima musica e coraggio intellettuale, il musical di Rice e Webber diventa un tornado che scuote tutto il mondo. Un adattamento filmico era quindi un passo quasi dovuto e che finisce per vedere la luce grazie alla sinergia di due figure essenziali nella Hollywood degli anni '70; da una parte Robert Stigwood, che già aveva organizzato il tour della pièce in mezza America e che viene chiamato a produrre l'adattamento cinematografico. Dall'altra quel Norman Jewison il cui contributo al cinema americano viene sovente ignorato, ma che nei primi anni '70 era uno dei migliori artigiani in circolazione.
Jewison era infatti reduce da una stringa di successi sia di critica che di pubblico, iniziata nel 1967 con l'epocale "La calda notte dell'Ispettore Tibbs", proseguita un anno dopo con "Il Caso Thomas Crown" e coronata nel 1971 con l'adattamento di un altro musical di successo, ossia "Il Violinista sul Tetto". Il suo interesse verso la creatura di Rice pare fosse dovuto alla sua capacità di portare il messaggio evangelico in modo inedito e moderno, un vero e proprio vangelo per i giovani che parlava la lingua dei giovani, quella del rock e del pop, per questo in grado di avvicinarli ad una religione la quale veniva percepita già allora come retaggio di una generazione antiquata e usata solo per opprimere le masse.
Nelle sue mani, "Jesus Christ Superstar" assume così un significato e una profondità ulteriori.




Su grande schermo, l'intera storia viene riadattata e diventa quella di un gruppo di giovani attori e musicisti che si reca in Israele, nei veri luoghi ove Gesù ha trascorso la sua ultima settimana di vita (tutto il film venne girato in loco, cosa assai rara viste anche le condizioni belliche che già all'epoca infuriavano in Terra Santa) e che mettono in scena il musical impersonandone i personaggi.
La storia diventa quella di una generazione che tanta di approcciarsi agli insegnamenti di Cristo, di capirne il significato e l'effettivo lasciato. Ogni personaggio ha quindi una doppia valenza che concede loro una profondità ancora maggiore.
Il personaggio di Ted Neely (che sostituisce niente meno che Ian Gillan, interprete di Gesù nell'album originale e nelle prime rappresentazioni teatrali) è colui che viene chiamato ad immedesimarsi nei panni di Gesù, con la sua vestizione a simboleggiarne la trasfigurazione in un uomo che si confronta con il divino, restando pur sempre umano. Il suo cammino lo porta all'illuminazione: divenendo egli stesso portavoce degli insegnamenti del Cristo, ne comprende appieno il significato e ascende ad una forma divina; ascensione che passa necessariamente con l'accettazione della morte, del sacrificio, dell'abnegazione individuale per il pieno accoglimento di una forma d'amore universale; da cui la scena della beatificazione che coincide con la condanna a morte.




Gli altri personaggi, a partire da Giuda, restano invece dubbiosi sul messaggio evangelico, da cui il finale con il cast che risale sul pulmino dando un ultimo sguardo ad una croce ora vuota; e di tutti, è proprio quello di Carl Anderson che sembra avere qualche dubbio in più, che lo porta a riflettere maggiormente su quanto appena fatto.
Il dubbio è il "peccato" che danna Giuda e con lui chi non crede. Un dubbio che lo porta a questionare persino se sia valsa la pena morire per gli altri, nel celeberrimo numero che dà titolo al film. Un dubbio che in realtà non risparmia neanche Gesù, sia inteso come personaggio che come attore che ne veste i panni, con Jewison che lo sottolinea abilmente con quel fermo-immagine durante la scena dell'ingresso a Gerusalemme, quel "Gesù, moriresti per noi?" intonato dalle gente che lo sconvolge. E che passa anche per il personaggio della Maddalena, unica donna seguace di Gesù in questo adattamento dei Vangeli, che si chiede come amarlo, come ricevere il suo messaggio, come metterlo in pratica, come approcciarvisi.
I dubbi del Gesù-uomo, della Maddalena e di Giuda divengono così i dubbi di una generazione così come dell'intera razza umana, che resta perplessa dinanzi al sacrificio dell'uomo così come del Figlio di Dio e soprattutto dinanzi al messaggio eucaristico in tutto il suo effettivo significato.
La polemica che sovente è stata sollevata contro l'adattamento cinematografico è insista nella mancata resurrezione: Gesù ascende durante la morte e non c'è traccia del sepolcro vuoto e delle Pie Donne. Una polemica come al solito vacua: quelle ultime immagini con gli attori che lasciano la location, dove tra di loro non c'è Ted Neeley, e quella croce vuota con un pastore che conduce un gregge ai suoi piedi (in realtà un passante capitato lì per caso e lasciato nel montaggio finale a causa della straordinaria sincronicità) testimoniano da sole sia la resurrezione di Gesù che l'ascesa all'illuminazione dell'attore che ha vestito i panni, non necessitando di immagini ulteriori e integrative.




La messa in scena di Jewison è tanto sfolgorante quanto calcolata. La costruzione delle immagini è talvolta plastica, con la creazione di piccoli quadri in movimento dei quali la rievocazione dell'Ultima Cena di Da Vinci è solo la più ovvia. 
I simboli che utilizza sono magnifici. Il Sinedrio viene ritratto come un concilio posto su di un'impalcatura pronta a cedere, a significarne il potere scosso dal messaggio evangelico; mentre Pilato è sempre posto in cima ad una roccia, a sottolineare, al contrario, la fortitudine imperitura del potere politico di Roma.
L'immagine più forte è però quella dei veicoli da guerra che inseguono Giuda, personificazione del senso di colpa che lo perseguita imperterrito.
Fantastica anche la rappresentazione di Erode. Nelle prime versioni teatrali, aveva la forma di una vera e propria drag-queen a sottolinearne la decadenza morale, un'immagine giudicata da Jewison come troppo scioccante per il pubblico, ma anche offensiva per la comunità omosessuale. Nella sua visione, diventa un vero e proprio bamboccione viziato, un ragazzetto affascinato solo dal carattere sovrannaturale di Gesù, che lo condanna a morte quando questi si rifiuta di darne sfoggio. La rappresentazione queer persiste anche su schermo, ma è limitata ai cortigiani, così il loro carattere omosessuale diventa non tanto sinonimo di decadenza, quanto di materialismo.




Impossibile non lodare il magnifico cast. Su tutti è ovviamente Carl Anderson a svettare, con la sua voce poderosa e la sua forte espressività. Il fatto che ad interpretare Giuda ci fosse un attore di colore sembrava dovesse dare una connotazione razzista al film (e al musical, prima), ma lo stesso Anderson ha affermato come tale intenzione non è mai esistita, come lui abbia avuto il ruolo solamente a causa del suo talento. Statuizione fin troppo facile da credere.
Non meno bravo è Ted Neeley, un Gesù che sebbene caratterizzato in modo poco ortodosso, ha i lineamenti dell'idealizzazione classica occidentale; e la cui voce dal timbro rock risuona anch'essa fragorosa.




Quanto al lascito del film: a discapito delle polemiche insorte nella comunità cristiana di tutto il mondo, pare che fu Papa Paolo VI a lodare il film per la sua capacità di avvicinare i giovani al Vangelo, fatto smentito dai portavoce del Vaticano, ma facilissimo da credere. Ad oggi, la Conferenza Episcopale Italiana ne ha rivalutato totalmente l'importanza, includendolo tra le visioni consigliate durante la Pasqua.
Carl Anderson e Ted Neely avrebbero impersonato i loro personaggi anche nelle successive versioni teatrali. Anderson avvierà anche una florida carriera musicale, fino al 2004, quando si è spento prematuramente. Neeley continuerà la carriera di attore, ma contemporaneamente vestirà i panni di Gesù sul palco per circa cinquant'anni.
Mentre "Jesus Christ Superstar", rivisto oggi, è ancora bello e affascinante.

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