venerdì 18 febbraio 2022

Tommy

di Ken Russell.

con: Roger Daltrey, Ann-Margret, Oliver Reed, John Entwistle, Keith Moon, Elton John, Robert Powell, Jack Nicholson, Eric Clapton, Tina Turner, Paul Nicholas, Pete Townshend.

Rock Opera

Regno Unito 1975
















Quando si pensa ai videoclip la mente è portata a cocnepire un'estetica "brutta", fatta di montaggio veloce e inquadrature a caso, con una costruzione delle scene ricreata tutta in post-produzione sulla base di riprese caotiche e atte a ricercare un ritmo veloce nel modo più semplicistico possibile. Colpa di chi ha tradotto nel peggior modo possibile il linguaggio musicale in quello filmico, di quella generazione di filmmaker che ha malamente ricreato sul Grande Schermo una costruzione delle scene totalmente basata sul montaggio (Michael Bay in primis), senza badare alla sostanza delle immagini. 
Tuttavia, creare un videoclip musicale è anch'essa un'arte: bisogna saper dare alla musica una forma visiva e costruire una narrazione, salda o blanda che sia, in armonia totale con le note. Non stupisce, quindi, che a fronte di tanti pessimi registi formatisi con i video musicali, ce ne siano altrettanti di ottimo talento (basti pensare già solo a David Fincher e Richard Stanley); né deve stupire più di tanto come l'arte della messa in scena musicale abbia trovato proprio al cinema la sua genesi con quel "Tommy" che ha visto la collaborazione degli Who con Ken Russell e che ha portato ad uno dei "musical" più belli di sempre.




Pubblicato nel 1969, "Tommy" degli Who è praticamente etichettabile come la prima "rock opera", ossia un concept album concepito per narrare un'unica storia tramite le canzoni. Creazione che rielabora l'esperienza del chitarrista del gruppo, Pete Townshend, che si ispira alla sua vita per il personaggio e il suo percorso: Tommy Walker è il figlio di un aviatore disperso in guerra. Nato orfano, viene cresciuto dalla madre e dal secondo marito, ma l'assistere ad un episodio di violenza ne distrugge la psiche, rendendolo cieco, sordo e muto. Chiuso in sé stesso, il giovane cresce tra le cure della madre e del patrigno, ma non riesce a scansare del tutto le insidie della tossicodipendenza, la violenza del bullismo e persino l'abuso sessuale. Riesce però a trovare una valvola di sfogo grazie al flipper, del quale diventa un "mago", giungendo alla ricchezza e celebrità. Ma quando non è alle prese con il gioco, Tommy fissa la sua immagine allo specchio in una scura contemplazione; preoccupata, la madre, in uno scatto d'ira, distrugge lo specchio, il che inaspettatamente libera il ragazzo dalla prigionia interiore. Tommy diventa così un miracolo vivente, un "messia" che istituisce una propria religione, la quale però crolla su sé stessa, portandolo ad una forma di realizzazione e pace interiore.


L'anno di produzione del film è essenziale: 1975, ossia lo stesso in cui esce "Bohemian Rapsody" dei Queen, quello che è comunemente definito come il primo videoclip della storia (anche se sperimentazioni precedenti, soprattutto in Italia, non sono mancate). Sempre nel '75 arriva al cinema la versione filmica di "The Rocky Horror Picture Show", quello che è praticamente il primo musical post-moderno. E giusto un anno prima, Brian De Palma aveva portato al cinema un'altra rock opera, quel "Il Fantasma del Palcoscenico" che anticipata l'estetica del "Rocky Horror" ed era contemporaneamente un concept album filmico vero e proprio.
Russell, dal canto suo, aveva già in curriculum dei "musical" d'autore, ma è grazie al produttore Robert Stigwood, all'epoca reduce dal successo di "Jesus Christ Superstar", che si avvicina alla musica degli Who. E il resto, è il caso di dirlo, è Storia.


Nell'ibridare immagini e musica, Russell non rallenta mai il racconto. Non ci sono pause in "Tommy", l'azione si modera solo ai titoli di coda. Il ritmo, sebbene basato sulle singole canzoni, è comunque sempre alto e la narrazione, di conseguenza, è incalzante. La totale assenza dei dialoghi, inoltre, porta il lavoro di Russell al di là del semplice musical, tanto che il termine "opera rock" può davvero essere adoperato per individuare questo stile inedito, lontano dai canoni del film musicale "classico", diverso persino da quanto visto nei coevi "Rocky Horror" e "Il Fantasma del Palcoscenico". 
"Tommy" si configura così come qualcosa di diverso, di estremamente originale persino se rivisto oggi, una pellicola che usa le immagini e la musica per comunicare in modo diretto con lo spettatore; un'opera "sensoriale", che chiede a chi la osserva di lasciarsi trascinare per i suoi 111 minuti nel mondo del suo protagonista per assaporarne emozioni e sensazioni.


Ma a caratterizzare la progenie di Russell e degli Who in modo diretto è anche l'ambientazione; lontana sia dalla swinging London che già a fine anni '60 andava scomparendo, sia dagli ambienti più intellettuali, "Tommy" si muove in ambienti proletari, nei bar dove il flipper è l'unico vero richiamo, nei campi estivi tipico ritrovo della gioventù delle classi meno abbienti e, manco a dirlo, negli strip club, in quei sordidi ritrovi infestati di sesso a pagamento e droga. Il tutto, ovviamente, filtrato dall'occhio di una regia visionaria.


Il mondo di "Tommy" diviene così contemporaneamente realistico e fantastico, una percezione alterata di una realtà del tutto simile a quella del protagonista. Le immagini si fanno così grandiose e cacofoniche, alternando una plasticità essenziale ad un montaggio frenetico: siano esse parte di un flusso (in)interrotto o fotogrammi perfettamente ricercati, quelle create da Russell sono sempre figure spettacolari, magnificamente incastonate con le note originali. E che immagini: basti pensare alla splendida sequenza di Acid Queen, incarnazione della tossicodipendenza, che prende le forme di una vergine di ferro moderna che tortura in protagonista mentre Tina Turner si scatena in una danza irrefrenabile. O le oscure immagini del bullismo del cugino Kevin e degli abusi dello zio Ernie, che trasformano la visione in una sorta di "Arancia Meccanica" (ancora più) musicale, una dark comedy nerissima e irresistibile. O, ancora, la feroce sequenza in cui la madre di Tommy viene "annientata" dai demoni del consumismo, con schiuma, fagioli e cioccolata che inondano un intero set.


Nelle mani di Russell, la storia originale di Pete Townshend non solo acquista ulteriori significati, ma ritrova anche una coerenza che nella forma prettamente musicale in parte mancava, per stessa ammissione del suo autore. Russell usa i personaggi dell'opera per riflettere sulle false religione, sulla forza manipolativa del sensazionalismo e dei "divi" come profeti incapaci di portare vero cambiamento. Da qui la sequenza, sublime, della "chiesa di Marilyn", falsa diva il cui sacerdote Eric Clapton non riesce a dare sollievo ai malati. O lo stesso finale, con Tommy divenuto un falso profeta, idolo di una religione che dovrebbe emancipare gli ultimi riproponendo la traumatica esperienza del loro messia, ma che si rivela esperienza vacua, buona solo ad idolatrare la vittima di una disgrazia.
Da qui l'affondo verso la società consumistica, dalla mercificazione del divismo che porta ad un consumismo distruttivo, da cui la sequenza dello spot che "vomita" merce su Ann-Margret, con la quale l'autore si diverte ad esorcizzare la vergogna per i suoi esordi pubblicitari.


A conferire ulteriore carisma ad una pellicola già memorabile, ci pensa in cast. Su tutti è Ann-Margret a brillare in una performance trascinante, che la vede anche all'apice della bellezza bucare ogni singola scena; interpretazione per la quale ottenne persino una nomination agli Oscar, ai quali, però, fu battuta da Louise Fletcher per "Qualcuno volò sul nido del cuculo", anch'ella memorabile, ma non ai livelli della Margret. Elthon John appare per pochi minuti nei panni del "Pinball Wizard" e diventa subito un'icona pop, così come Eric Clapton nei panni del predicatore della chiesa di Marilyn. Tina Turner è semplicemente spumeggiante, mentre Roger Daltrey, pur trentenne all'epoca delle riprese, è forse l'unico interprete possibile per il ruolo di Tommy, cucito sulle sue movenze e sulla sua espressione vuota e sognante. Dulcis in fundo: Oliver Reed, benché incapace di cantare nella realtà, è anch'egli un pezzo essenziale del film e concede l'interpretazione più divertita della sua carriera.



Affascinante e trabordante, "Tommy" è un'esperienza cinematgrofica ancora sbalorditiva, un viaggio ai limiti del lisergico in un mondo al di là dei sensi che stimola gli stessi sensi in modo incredibile, oggi forse ancora più spettacolare che alla sua uscita in sala.

Nessun commento:

Posta un commento