con: Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Margherita Buy, Adriano Giannini, Nanni Moretti, Elena Lietti, Denise Tantucci, Stefano Dionisi, Anna Bonaiuto, Paolo Graziosi, Tommaso Ragno.
Italia, Francia 2021
---CONTIENE SPOILER---
Nanni Moretti è sempre stato narcisista. E la superbia è solo un altro nome del narcisismo. L'arroganza, poi, è connaturata ad entrambe. E ci vogliono davvero dosi massicce di narcisismo, superbia e arroganza allo stato puro per indignarsi dinanzi al mancato riconoscimento del valore di un film come "Tre Piani"; un film al quale può essere davvero riconosciuto solo di essere banale, scialbo nella messa in scena e, quel che è peggio, decisamente noioso, una specie di feuilletion mascherato da analisi psicologica di un'umanità il cui senso di famiglia viene distrutto e ricreato, ma che si ferma sempre, clamorosamente, sulla superficie di fatti e personaggi. Come tanto, troppo pessimo cinema italiano moderno insegna.
Basandosi sull'omonimo romanzo di Eshkol Nevo, Moretti trasporta l'azione da Tel Aviv a Roma, ma l'uso delle location non riesce a restituire l'anima dei luoghi, tanto che si potrebbe tranquillamente pensare ad una qualsiasi città italiana. In una palazzina bene, tre famiglie lottano per la coesione: Lucio (Riccardo Scamarcio) cade nell'ossessione di un possibile abuso ai danni della figlioletta da parte di un anziano vicino; i coniugi Dora (Margherita Buy) e Vittorio (Nanni Moretti), entrambi magistrati, sono alle prese con un orrendo omicidio stradale commesso dal giovane figlio; infine Monica (Alba Rohrawacher) si districa tra una figlia neonata e l'assenza del marito.
Tre storie diverse, accomunate dal crollo psicologico dei personaggi e dalla conseguente crisi famigliare. Quella di Lucio è una storia di castigo divino, un karma che lo ripaga della paranoia con la persecuzione: da potenziale vittima degli abusi diventa carnefice quando causa indirettamente la morte del presunto colpevole e, quel che è peggio, finisce egli stesso con il commettere il medesimo crimine andando a letto con la di lui nipote, la minorenne Charlotte. Dora e Vittorio sono due genitori divisi tra il senso di giustizia e un amore impossibile per un figlio che ha sofferto per la loro educazione rigorosa, mentre la storia di Monica è uno spaccato sulle conseguenze della solitudine.
Materiale a dir poco scottante, che forniva all'autore argomenti interessanti su cui riflettere. E che questi getta magistralmente alle ortiche grazie ad un'esecuzione ai limiti del dilettantesco.
La costruzione delle scene appiattisce tutto il narrato. L'esempio più illuminante è dato dalla scena in cui Charlotte seduce Lucio, piatta al punto da dare l'impressione che questi decida di andare a letto con una minorenne solo perché ne ha la possibilità.
Per un buon 90%, come da tradizione nel cinema di Moretti, tutto viene cucito sui dialoghi, lasciando pochissimo spazio alle sole immagini. E quando queste arrivano sotto la forma di simbolismi, non è che le cose migliorino: un corvone imperiale che fa le boccacce alla macchina da presa che non si capisce cosa debba rappresentare (la paura della morte? L'incdere della malattia?) e una mazurka itinerante che fa da catarsi ridicola a tutto il percorso dei personaggi, il che è tutto dire.
Percorso che, manco a dirlo, è prevedibile e scandagliato in modo superficiale. Si parte dal disfacimento del nucleo famigliare della coppia di giudici, il quale si basa sul doppio binario di un figlio scapestrato e della sua cattiveria come reazione alla loro soffocante educazione. Lasciando tutto ancorato ai dialoghi, a confronti dialogici costruiti su battute insipide e stereotipate, il dramma non colpisce mai come dovrebbe, non si avverte mai davvero la sofferenza di un figlio che vorrebbe essere amato ma che dai genitori riceve solo rimproveri, così come quella di due figure genitoriali convinte di aver educato al meglio il proprio figlio ma che sono chiamate a confrontarsi con il suo comportamento. Quel che è peggio è che quel poco di empatia che si potrebbe riservare per questo sfortunato terzetto di personaggi viene azzerato dalla recitazione di Nanni Moretti, per la quale l'unico aggettivo possibile è "cagnesca": ogni sua battuta è recitata in modo spento e robotico, senza che alcuna emozione traspaia dalle stesse, come un ragazzino chiamato a prendere parte suo malgrado alla recita scolastica. L'unica eccezione è data dalla sentita scena della segreteria telefonica, ma è il classico caso di "troppo poco e troppo tardi", che non redime una performance imbarazzante, alla faccia dei suoi quaranta e passa anni di attore e regista.
Quello di Lucio, d'altro canto, dovrebbe essere una sorta di "Delitto e Castigo" ambiguo, ma l'esecuzione è talmente debole da non far provare alcuna vera emozione, né quando questi scade nella paranoia, nè quando commette il peccato che persegue e il lieto fine davvero non aiuta alla riuscita della storia. Unica nota positiva: di tutto il cast, Scamarcio è l'unico a salvarsi, anzi per la prima volta sfoggia una tecnica recitativa impressionante, risultando sempre credibile, sempre perfettamente calato in un ruolo non facile e che riesce a fare davvero suo, unico pregio di un disastro colossale.
Disastro che arriva puntualmente nella storia di Monica, ennesima donna emotiva e isterica che il cinema nostrano si diverte a dipingere in modo sempre, categoricamente e incontrovertibilmente approssimativo. Una donna che di punto in bianco comincia a cadere verso il fondo della pazzia, coartata dalla solitudine e dalla paura di una malattia genetica che le ha già tolto la madre; ma il suo percorso è fatto come sempre di dialoghi piatti e interazioni fantasmatiche trite, che non fanno altro che statuire l'ovvio; non c'è mai la ricerca di una forma espressiva, narrativa o di messa in scena, originale o anche solo azzeccata, tutto è frustrato da una mancanza di verve a tratti davvero inquietante, che raggiunge l'apice a causa della solita, sciatta recitazione della Rohrwacher, che come sempre passa da un'espressione vacua e tediosa ai suoi soliti sorrisini che, appiccicati sul viso di un personaggio che dovrebbe soffrire di depressione, risultano anche più fuori luogo del solito.
E come sempre, come era lecito aspettarsi da lui, a Moretti non interessa un fico secco della messa in scena, costruisce ogni singola scena nel modo più convenzionale possibile e ammanta il tutto in una fotografia televisiva, fatta di luci sparate a mille nel caso in cui anche l'ultimo oggetto di scena sullo sfondo non fosse visibile agli spettatori in ultima fila. Se le immagini dei suoi film sono quasi sempre state poco ricercate o poco incisive, qui sono tutte orgogliosamente brutte, come pensate per la peggiore fiction di Rai Uno e invece appiccicate a forza sul grande schermo. Di nuovo, vien da chiedersi cosa (non) abbia imparato il buon Nanni in oltre quarant'anni di acclamata carriera da regista.
"Tre Piani" è un film genuinamente brutto, scialbo, a tratti talmente disdicevole da divenire patetico. Un'operaccia piatta, sbrigativa, recitata male (per fortuna non da tutti) e portata in scena peggio. Per Moretti, è purtroppo il caso di dirlo, forse è arrivato il momento di ripensare davvero al suo modo di concepire la Settima Arte, se preferisce davvero questo suo lavoro a tanto altro cinema d'autore che si è visto nel 2021.
Devo dire che ne ho letto freddamente un po' ovunque, ma così male no. Così la curiosità cresce :)
RispondiEliminaSe se curioso, guarda pure, ma a tuo rischio ;)
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