martedì 1 febbraio 2022

Resident Evil: Welcome to Racoon City

di Johannes Roberts.

con: Kaya Scodelario, Robbie Amell, Hannah John-Kamen, Tom Hopper, Neal McDonough, Donal Logue, Avan Jogia, Lily Gao, Marina Mazepa, Holly de Barros.

Horror

Usa, Germania, Francia 2021

















In un ipotetico paragone, la saga cinematografica di "Resident Evil" potrebbe davvero contendere a quella di "Transformers" il primato di peggiore serie di film mai apparsa su schermo. La genesi della stessa è cosa arcinota: cassato lo script vergato niente meno che da George A.Romero in persona, accusato di prendersi troppe libertà con la "storia" del primo videogame (Chris non è un poliziotto e ha una tresca con Jill, Albert Wesker è il capo della Umbrella ed è un villain stile cattivodei film di 007), i produttori Davis e Panzer (gli stessi di "Highlander") affidano il progetto della trasposizione a quel Paul W.S. Anderson che, all'epoca reduce da "Mortal Kombat" e "Event Horizon", aveva tutte le carte in regola per creare una pellicola quantomeno divertente. E invece Anderson elimina praticamente ogni riferimento al gioco nello script, ingaggia Milla Jovovich per avere una scusa per poi impalmarla e le affida il ruolo di una sorta di Neo picchia-zombi, in un film che è trash nel senso peggiore del termine.
I fans sono delusi? Peggio per loro: il franchise parte e a ogni nuovo film gli incassi crescono... mentre la qualità cala in proporzione. Ogni nuovo capitolo è più stupido del precedente, con ogni singola storia  parte in medias res e finisce in un cliffhanger, con un terzo capitolo ambientato in un mondo post-apocalittico ed i successivi in un mondo nuovamente normale ed una confusione generale sul ruolo dei buoni e dei cattivi. Ovviamente tutto condito con sequenze d'azione stilisticamente ferme a "Matrix" o a "300", con un'endemica mancanza di personalità e stile, oltre che di intelligenza.






Il che è anche triste se si pensa che la saga videoludica di "Resident Evil" aveva ben altra caratura... nel bene e nel male. Tolte le vaghe ispirazioni romeriane, il punto forte, nei primi capitoli, era l'atmosfera claustrofobica, il terrore vivo di non poter sopravvivere in un ambiente ostile, perennemente a corto di farmaci e munizioni, mentre il cervello restava costantemente impegnato nella risoluzione di enigmi talvolta davvero ben congegnati, con una spruzzata di splatter su tutto per rendere il mix appetibile anche ai giocatori meno esigenti. Sotto il gameplay interessante e le atmosfere ricercate, batteva però forte il cuore da B-Movie, con storie improbabili, che sembravano uscite dai peggiori straight-to-video anni '80; le quali, affiancate ad una recitazione dilettantesca dei doppiatori, donavano ai primi due capitoli un alone da instant-cult. Da cui un successo davvero meritato.
"Welcome to Racoon City" nasce praticamente dalle ceneri della saga di Anderson: spremuto sino al midollo il personaggio di Alice e le sue improbabili avventure, i produttori hanno deciso di resettare il tutto affidando il progetto a quel Johannes Roberts che, amante convinto della serie e specialista in B-Movies, sembrava di nuovo una scelta azzeccata. Peccato che il budget miserevole alcune discutibili scelte di scrittura affossino in parte un'operazione altrimenti interessante.


Roberts riprende le trame dei primi due giochi e le fonde in un'unica storia: Racoon City è una cittadina in mano alla megacorporation farmaceutica Umbrella, la quale la sta abbandonando per espandersi all'estero, trasformandola nell'ennesima città-fantasma del mid-west americano. Tuttavia c'è un segreto che ancora si nasconde sotto la cittadina stessa: in un laboratorio segreto, un virus in grado di resuscitare i morti e trasformare i vivi in zombi e creature mutanti è stato accidentalmente liberato. La giovane Claire Redfield (Kaya Scodelario) torna così al suo luogo natale per indagare sull'accaduto, con l'aiuto del fratello Chris (Robbie Amell), poliziotto locale e membro dell'unità speciale S.T.A.R.S. Ma l'infezione è già fuori controllo.


L'idea di unire le due tracce narrative tutto sommato paga. Dopotutto, un unico film totalmente ambientato nella magione Spencer, come il primo gioco, avrebbe avuto fiato cortissimo. L'unione permette di creare una trama che è un gigantesco countdown verso la distruzione, con il mistero del virus che si disvela, al solito, poco alla volta. E se Anderson buttava tutto in caciara, Roberts utilizza un tono serissimo, da horror anni '80 alla John Carpenter, sebbene la tematica dello sfruttamento delle piccole cittadine da parte delle grosse aziende resti sempre sullo sfondo.


La ricerca della tensione è costante: circoscritta l'azione a sparute scene, soprattutto nel finale, questo "Welcome to Racoon City" è un horror a tutto tondo, dove la suspanse la fa da padrone, sebbene non sempre ben costruita. Il che lo rende, automaticamente, più genuino e riuscito dei vecchi capitoli, che cercavano di ibridare brividi e adrenalina senza mai riuscirci.
Se ad Anderson non interessava praticamente nulla della mitologia dei giochi, Roberts si dimostra fan attentissimo nella ricostruzione di un mondo che è in tutto e per tutto una perfetta trasposizione di quello ideato dagli sceneggiatori della Capcom; tornano i personaggi storici della saga, benché i loro ruoli siano stati modificati per esigenze di scrittura: Claire è sempre una motociclista tosta, ora divenuta ossessionata dal suo passato e dai complotti orditi dalla Umbrella (non per niente, il tutto è ambientato negli anni'90, tempo-natale delle teorie complottistiche ancora oggi più gettonate); Chris è sempre un poliziotto tutto d'un pezzo, benché ora reso insicuro dal debito verso l'azienda. Il loro passato di orfani cresciuti da Birkin all'interno di un orfanotrofio-centro di ricerca li avvicina in modo personale alle vicende, dando un tocco di umanità in più ai loro intenti. E, finalmente, in un ruolo di primo piano ecco giungere Jill Valentine e Leon Kennedy (ispanicizzati per ovvie ragioni di marketing), il capo della polizia corrotto Irons e persino quella Lisa Trevor che da aggiunta teoricamente decorativa trova un suo ruolo specifico negli eventi. Albert Wesker, d'altro canto, è qui in fase "embrionale", il che giustifica anche il casting  di un attore come Tom Hopper, sprovvisto della mascolinità assassina necessaria per il ruolo. Del tutto ingiustificata è però l'assenza di Barry, forse per non rendere il cast del tutto ingestibile.


L'amore per i giochi si concretizza anche in una serie infinita di rimandi, dalle scenografie riprese pari pari dai fondali pre-renderizzati d'epoca alla ricostruzione di sequenze iconiche, come l'apparizione del primo zombi nel primo gioco, che qui torna in live-action, passando per i dialoghi, con un gustoso riferimento all'ilare "Jill sandwich". Unico neo: quando, nel finale, si usa una citazione che solo chi ha giocato i giochi può comprendere, la narrazione viene ovviamente affossata.


Purtroppo il basso budget non permette all'autore di sbizzarrirsi, frustrandone gli intenti. La CGI usata per dar vita ad alcuni mostri, su tutti il cane zombi, è scadente e manda a farsi friggere ogni sospensione dell'incredulità. Così come l'impossibilità di usare molte comparse per dar vita all'invasione zombi: su schermo, anche nelle scene di massa, appare sempre e solo una manciata di non-morti, con la coseguenza che non si ha mai la sensazione di un apocalisse impellente.
L'operazione di resurrezione della saga al cinema riesce così a metà: da una parte, Roberts crea una trasposizione fedele e divertente, dall'altra non riesce mai ad essere davvero memorabile. Il che è un peccato, visto l'impegno profuso a piene mani. Ma, almeno stavolta, i fan più hardcore apprezzeranno e lo spettatore disinteressato per lo meno non si sentirà in costante imbarazzo.

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