lunedì 31 gennaio 2022

Femme Publique

La Femme Publique

di Andrzej Zulawski.

con: Valérie Kaprisky, Lambert Wilson, Francis Huster, Patrick Bauchau, Giséle Pascal, Roger Dumas, Diane Delor, Jean-Paul Farrè.

Drammatico/Erotico

Francia 1984











Al suo terzo film francese, Andrzej Zulawski firma una delle sue opere più incolori. E su questo non c'è dubbio. Ma come ogni opera d'autore, "Femme Publique" è pregno di un fascino pulsante, oltre che di una maestria tecnico-stilistica che oggi, in un panorama filmico in cui il cinema d'autore è insabbiato nelle coordinate stantie della camera a mano e del montaggio lento, risulta ancora più dirompente. Tanto che, pur al netto dei suoi innegabili difetti, resta lo stesso una visione interessante.


Francia. Ethel (Valérie Kaprisky) è una modella di nudo aspirante attrice che riesce ad ottenere un ruolo di spicco nell'ultimo film dell'acclamato giovane regista Lucas Kessling (Francis Huster). Intrecciata una turbolenta storia d'amore con il volitivo autore, la vita della ragazza precipita in un baratro dopo la morte di Elena (Diane Delor), anch'ella giovane attrice, di origine cecoslovacca, ed ex amante di Kessling. Conosciuto il di lei ex marito Milan (Lambert Wilson), Ethel diviene un surrogato della donna scomparsa, perdendo sé stessa.


Torna ancora una volta il tema del doppio, nuovamente intrecciato ad una storia d'amore. Tant'è che "Femme Publique" sembra quasi nascere da una costola di "Possession": anche Ethel è un doppio perso in una (doppia) relazione fatta di sopraffazione possessiva.
Sia Lucas che Milan sono due figure maschili infernali. Il primo sfrutto i corpi delle sue attrici per farne feticci, sessuali e non, oggetti da mostrare manipolandoli a piacimento sul set come nella vita e del tutto assorbito nel suo ruolo di intellettuale ribelle, schiavo di emozioni e sensazioni e per questo del tutto irrazionale. Una figura nella quale Zulawski fa confluire anche il peggio di sé stesso, con la sua ossessione per una recitazione estrema e la conseguente necessità di spingere i suoi interpreti al limite.



Milan è un uomo perso nella contemplazione del passato, di un amore perduto che lo ha distrutto, come il Jacques de "L'Importante è Amare", che trova in Ethel una continuazione di quella donna ora scomparsa per sempre. Un uomo stretto tra le macchinazioni politiche (diventa l'assassino di un vescovo lituano scomodo alle autorità della Sfera Orientale) e la pazzia d'amore, che porta la donna giù in una relazione distruttiva.


Ed è Ethel, ovviamente, centro e motore di tutto. Un personaggio ambiguo, anche se solo in parte, che vive grazie al viso angelico e al corpo perfetto di Valérie Kaprisky, quasi sempre scoperto. Da questo stratagemma erotico, Zulawski intesse una critica al lavoro dell'attore e al rapporto tra questi e il regista. L'attore è un corpo da sfruttare, adoperato per dare forma alle ossessioni erotiche del regista e del pubblico, appartenente ad un professionista che lo "vende" a queste due figure. Il regista lo acquista, lo fa suo, lo sfrutta sino allo sfinimento, in un rapporto del tutto uguale a quello della prostituzione, come esplicitato nell'ultima scena tra Ethel e il vecchio fotografo; non per nulla, "Femme Publique" ricorda "Fille Publique", espressione francese per indicare le prostitute.


In quanto attrice, Ethel è anche doppio, corpo "vuoto" da riempire con la personalità del personaggio di turno. Da qui la linea di discrimine fluida tra il suo rapporto con Lucas e quello dei loro personaggi nel film che stanno girando, che si confonde sovente sino a coincidere nel tragico finale. E, soprattutto, il ruolo di rimpiazzo come partner di Milan, puro riflesso di una donna che fu, nella quale si cala totalmente, pur restando fisicamente ancorata alla sua identità originaria.


L'occhio di Zulawski si perde nella contemplazione, oltre che dei corpi dei personaggi, delle strade di un Parigi moderna, fatta di palazzi storici e luci al neon, reclame pubblicitarie e arte di strada e, in generale, sullo sfondo accade sempre qualcosa, sino a sfiorare la duplicazione dei punti di interesse nell'inquadratura. Come in "Possession", anche qui la città diviene parte integrante del racconto e mai come ora la macchina da presa riesce a fondere lo sfondo con i corpi per creare immagini dalla compattezza stupefacente.


E' ironico che il difetto principale del film venga esplicitato nei dialoghi. In una delle prime scene, Lucas impartisce a Ethel una lezione importante sulla recitazione, su come spesso gli attori recitino solo le singole scene senza pensare al personaggio nella sua interezza, frammentandolo in una miriade di "sotto-personaggi" diversi. L'intero film è così, frammentato in una serie di scene e situazioni espressive, ma che stentano a confluire in un'unica, solida, narrazione. Se la narrazione è solida, il racconto lo è molto meno, presentando situazioni sfilacciate che si uniscono tra loro solo sul lungo termine, generando talvolta confusione.


Tuttavia, sarebbe ingiusto negare il fascino di un film magnetico, splendidamente fotografato e impreziosito da belle performance da parte del cast. Prova del talento del suo autore.

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