venerdì 5 aprile 2024

Vite Vendute

Le Salaire de la Peur

di Julien Leclercq.

con: Franck Gastambide, Alban Lenoir, Sofiane Zermani, Ana Girdardot, Bakary Diombera, Astrid Whettnall, Alka Matewa.

Francia 2024














---CONTIENE SPOILER---

Riportare su schermo (anche solo su quello piccolo, come in questo caso) il romanzo "Il Salario della Paura" di Georges Arnaud vuol dire inevitabilmente confrontarsi con due giganti del cinema, ossia il Clouzot di "Vite Vendute" e il Friedkin di "Il Salario della Paura", i quali, ciascuno modo loro, hanno saputo trarre dalle pagine dell'autore due capolavori in grado ancora oggi di ammaliare e sconvolgere.
Questa produzione targata Netflix, di nazionalità francese e diretta dallo specialista del direct-to-streaming  Julien Leclercq, non ha paura di un tale confronto, tanto che porta il nome di Clouzot già nei titoli di testa, dove viene citato come fonte di ispirazione assieme ad Arnoud, cosa che neanche Friedkin si permetteva di fare. E senza avere il cinismo umanitario del primo o quello nichilista del secondo, questo nuovo "Vite Vendute" si rivela sin da subito come un adattamento blando e infantile.




I primi cinque minuti sono quanto mai rivelatori: una sequenza d'azione diretta senza nerbo o tensione seguita da una scena di sesso tra due dei protagonisti. Un biglietto da visita onesto: questo non è un dramma a tinte forti, ma un filmetto d'azione che ha la sola pretesa di intrattenere prendendo dal romanzo solo i lineamenti della storia e nulla più. 
Torna così l'ambientazione esotica, ora un non specificato paese del nord Africa ex colonia francese, e torna la premessa di un pozzo petrolifero da sigillare con una partita di nitroglicerina da trasportare in loco percorrendo diverse centinaia di kilometri su camion. Per i resto, "Vite Vendute" non ha nulla de "Le Salaire de la Peur" e dei suoi celeberrimi adattamenti.




I personaggi sono inediti e sono tutti rigorosamente tagliati con l'accetta. Fred (Franck Gastambide) è il mercenario ed ex guardia del corpo buono, suo fratello Alex (Alban Lenoir) è un ex addetto alle demolizioni anche lui buono, che finisce in galera al posto del fratello perché sfortunato oltre che buono; Fred si prende così cura della famiglia di Alex e aiuta i volontari del World Wide Health, tra i quali l'interesse amoroso Clara (Ana Girdardot), la super buona. Mentre i cattivi sono il mercenario Gauthier (Sofiane Zermani) e il capo della sicurezza del pozzo (Astrid Whettnall), che nel finale minaccia di uccidere la famiglia di Alex perché si, altrimenti non sarebbe cattiva.
Un pugno di personaggi la cui moralità è talmente netta da farli somigliare a dei cartoni animati, calati in un racconto dove non c'è spazio per l'ambiguità, non c'è posto per una storia adulta, solo il classico canovaccio di buoni contro cattivi nel quale il paradosso ordito da Arnoud viene svuotato di ogni significato e valenza simbolica. Al punto che nessuno dei buoni muore durante la travesta e il sacrificio finale di Fred risulta scontato fino al ridicolo. Se si esclude ovviamente l'unico personaggio di colore, freddato da un colpo d'arma nei primi minuti del viaggio, in ossequio ad un luogo comune che si pensava oramai superato.



Vien da ridere se si pensa che Friedkin non viene citato, quando l'idea di dare un passato ai personaggi era praticamente sua e di Walon Green. Qui i due protagonisti vengono introdotti con un doppio flashback che ne descrive per filo e per segno il perché e il per come siano finiti nel deserto. Solo che loro non sono delle anime perdute in cerca di riscatto, né dei dannati all'inseguimento di una vana salvezza, quanto dei tipi che pur in teoria dotati di una moralità grigia di fatto hanno fatto ben poco di male. 
Quanto poi al personaggio di Clara, la sua inclusione è dovuta forse alla volontà di mettere una donna in mezzo ad una vicenda di soli uomini. Una donna che una "vita venduta" non ce l'ha e il cui ruolo è semplicemente quello di indignarsi dinanzi alla violenza, in un paese in mano agli speculatori neoliberali e ai guerriglieri tribali. Ossia, un ruolo ai limiti dell'inesistente, che finisce anch'esso per risultare ridicolo.




A Leclercq non interessa raccontare gli aspetti più torbidi della società o dell'animo umano, quanto imbastire un gioco nel quale far muovere camion e auto e condire il tutto con esplosioni gratuite. Il tutto senza mai vera tensione, senza mai pathos, diretto con un pilota automatico da cruise control che anestetizza ogni emozione prima ancora che ogni pensiero. E montato malissimo, tanto che a tratti le singole inquadrature non combaciano, in scene d'azione talmente brutte e stanche da far tornare alla mente gli orrori che si vedevano nei primi anni 2000.
Anche a causa della dinamica tra i due protagonisti, sembra di rivedere la tematica famigliare della serie di "Fast & Furious", con Franck Gastambide che sembra davvero un Vin Diesel del discount. Ma i film di Diesel nella loro idiozia finivano almeno per risultare simpatici e adrenalinici, oltre che meglio diretti, mentre qui c'è solo una sensazione di noia data dalla blandezza della costruzione delle scene e di uno script che non vuole davvero dare nulla allo spettatore. Oltre che di una pigrizia generale davvero avvilente, magnificamente sottolineata dall'uso della CGI per dar forma agli effetti del calore del pozzo, prova di come a Leclercq pesasse persino mettere una tinozza di acqua calda ai margini dell'inquadratura.




Fa persino ridere il fatto che alla fine questo adattamento "action" risulti persino più lento dell'originale di Clouzot, oltre che più sciatto, vuoto e noioso, non riuscendo nemmeno a concedere quel poco divertimento che una produzione odierna potrebbe e anzi dovrebbe dare. Configurandosi come il più indegno degli adattamenti di un romanzo che meriterebbe ben altra considerazione, data la sua drammatica attualità.

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