lunedì 22 aprile 2024

Civil War

 di Alex Garland.

con: Kirsten Dunst, Wagner Moura, Caileey Spaeny, Stephen McKinley Henderson, Jesse Plemons, Nick Hofferman, Jefferson White, Nelson Lee, Evan Lai.

Fantastico/Drammatico

Usa, Regno Unito 2024
















---CONTIENE SPOILER---

6 Gennaio 2021: la destra extraparlamentare americana compie un assalto a Capitol Hill, Washington D.C. in supporto all'ex presidente Donald Trump, sconcertato per la mancata rielezione. Per la prima volta dai tempi della Guerra di Secessione, una frangia della popolazione americana si ribella violentemente contro il governo democraticamente eletto e cerca di rovesciarlo. Per la popolazione è uno shock: scene di protesta del genere sembravano essere appannaggio di stati esteri, non della prima e più vecchia democrazia moderna.
Un episodio che altro non è stato se non il culmine di quella "guerra culturale" che da una decina d'anni impazza non tanto per le strade e le piazze, quanto sui social e su Internet in generale, combattuta a suon di tweet e reel su TikTok, dove ciascuno risponde in modo sempre più violento e radicale alle prese di posizione socio-ideologiche di turno. Il tutto esasperato dalla figura politica di Donald Trump, vero e proprio burattinaio che ha manipolato ad hoc la frangia più intollerante del suo elettorato per contestare ed eventualmente detronizzare il neo-eletto presidente Joe Biden.
E' l'inizio di una nuova forma di coscienza, in realtà per l'intero Occidente: i dissapori tornano a manifestarsi in modo violento dopo quasi cinquant'anni dalla fine delle proteste controculturali.
Alex Garland, dal canto suo, è un inglese che in Usa ha trovato il successo e che grazie al beneplacito di Hollywood è riuscito ad imporsi come un autore a livello mondiale. Un autore al quale gli stilemi del cinema woke e le derive più estreme della relativa filosofia sono sempre andate a genio, tanto che giusto qualche tempo aveva firmato l'intransigente "Men". La visione di Capitol Hill è uno shock anche per lui e inizia a riflettere sugli effetti che un episodio del genere può comportare.
"Civil War" è il risultato di tale riflessione, una piccola distopia fantapolitica, forse profetica, che immagina un'escalation verso una guerra interna al territorio americano. Non certo il primo film ad immaginare una nuova guerra civile americana, visto che arriva quasi trent'anni dopo "La Seconda Guerra Civile Americana" di Joe Dante; ma laddove questi immaginava un episodio del genere nelle forme della commedia nera, in tempi decisamente più civili, Garland opta per un dramma di guerra realistico e crea una pellicola interessante, anche se ingiustificatamente monca.



"Civil War" è soprattutto un film dalle due anime complementari. Da un lato c'è la visione fantapolitica e distopica, dall'altra c'è la disanima del ruolo dei reporter di guerra e della moralità sottesa (o meno) alle loro azioni.
Quest'ultima traccia è in realtà predominante e rappresenta anche l'aspetto più riuscito del film, il quale è tutto basato su di una premessa presto detta: durante gli ultimi giorni della guerra civile che ha dilaniato l'America, la fotoreporter veterana Lee (Kirsten Dunst), assieme al collega giornalista Joel (Wagner Moura) e all'anziano reporter Sammy (Stephen McKinley Handerson) parte da New York verso la blindatissima Washington D.C. per cercare di intervistare il Presidente (Nick Hofferman). A loro si unisce, all'ultimo, la fotografa novizia Jessie (Cailee Spaeny), in cerca di gloria personale e professionale.



Quale deve essere il limite del fotografo in una zona di guerra? E, di fatto, questo limite esiste davvero? Esiste, poi, una sua possibile complicità negli eventi?
Domande scottanti che esistono fin da quando esiste lo strumento fotografico stesso. Se il compito di un giornalista è narrare gli eventi, allora non devono esserci limiti, non si può distogliere lo sguardo verso l'orrore della guerra con la scusa di un ritrovato senso morale. Ma, al contempo, è impossibile non trasformare le immagini di vera morte in un esercizio voyeuristico, riprendere un corpo martoriato al fine di instillare una data sensazione allo spettatore, fosse anche il semplicemente sgomento. E, di conseguenza, è impossibile non trasformare quella morte in un trofeo personale attraverso il quale ottenere una forma di riconoscimento di prestigio.
Garland pone tali quesiti allo spettatore per il tramite dei propri personaggi, di quelle due donne agli antipodi; Lee è l'esperta, una donna che ha girato il globo documentato ogni tipo di nefandezza e che ora si ritrova in un fronte interno che la dilania nel profondo: lo stress della morte e del pericolo costante si fa insopportabile poiché non ci si può mai davvero abituare alla violenza. Jessie, d'altro canto, non ha il pelo sullo stomaco e deve imparare a mediare la propria coscienza con la realtà, ad usare il filtro della macchina fotografica per schermarsi da ciò che la circonda.
Due facce della stessa medaglia, due donne che sono un'unica persona ripresa in due fasi diverse della sua esistenza. E che nel finale divengono un tutt'uno, con un sacrificio della più matura che esce così dal suo ruolo passivo per divenire non più mero occhio degli eventi, non più organo sensoriale dotato di coscienza, mentre la più giovane eredita tale ruolo, diventa un nuovo testimone silenzioso. E Garland ha l'intelligenza di non cercare risposte a quesiti dalla pesantezza schiacciante, lasciando che sia sempre lo spettatore a decidere quanto ci sia di effettivamente immorale nelle azioni di un gruppo di testimoni dell'orrore, proprio come un giornalista dovrebbe fare.




La narrazione fantapolitica, d'altro canto, mostra tutti i limiti di scrittura, di inventiva e persino di caratura morale che il cinema di Garland ha sempre avuto. Questo perché, in primo luogo, è la stessa premessa alla guerra a non trovare mai nessuna spiegazione, neanche in modo indiretto.
Il mondo di "Civil War" non è il nostro mondo e contrariamente a quanto si potrebbe pensare entrando in sala, la guerra non è scoppiata a causa del semplice inasprirsi delle opposizioni tra destra e sinistra estreme. 
Si parla delle responsabilità del Presidente, un uomo definito "la belva", ma tali responsabilità non vengono mai chiarite, solo accennate quando si dice che abbia avuto tre mandati e sciolto l'FBI; i motivi di questi due eventi, in teoria catastrofici, non vengono mai chiariti. Di conseguenza, la secessione non trova vera giustificazione agli occhi dello spettatore e le tre fazioni in lotta risultano persino nebulose. Laddove è facile capire gli interessi delle truppe governative, decisamente ambigui sono quelli della WF, la confederazione nata dall'unione tra Texas e California, mentre del tutto evanescente è il ruolo dei miliziani Steelers di Pittsburgh, che di fatto appaiono solo in una sequenza, nella quale, tra l'atro, non è dato capire se siano in lotta contro la WF o contro il governo.




L'idea di creare un fronte unito tra due Stati agli antipodi come California e Texas è spiazzante e, non ricevendo contestualizzazione alcuna, finisce per confondere. Garland, intervistato in proposito, ha affermato come tale scelta narrativa sia volta a testimoniare la necessità di superare le differenze ideologiche quando ci si oppone ad un leader corrotto, ma, per l'appunto, non chiarifica mai cosa il suo leader abbia fatto di talmente bestiale da far cessare la rivalità tra uno Stato in cui l'ideologia dominate è ai limiti dell'anarchia e uno dove, invece, l'ideologia dominante è quasi di stampo fascista.
Ne consegue la totale impossibilità di discernere gli eventi, di capire a cosa si sta davvero assistendo e perché. Il ruolo dello spettatore, di conseguenza, diviene simile a quello del giornalista di guerra, il quale non deve avere ideologie o bandiere ma solo registrare gli eventi. Con la differenza che assistendo ad uno spettacolo di fiction, si arriva allo spaesamento totale e si finisce davvero per non capire l'effettiva drammaticità di quanto a cui si assiste.



Drammaticità che risulta anche stranamente pacata. Non siamo certo di fronte alla brutalità di tanto cinema di guerra, moderno o meno moderno che sia. Eppure, le atrocità che Garland mostra riescono in parte a risaltare perché, con una scelta davvero spiazzante, decide di affidarle non tanto alle truppe governative, quanto alle WF. 
Si resta così sconcertati nel vedere soldati in uniforme dai capelli colorati e le unghia laccate perpetrare quelle nefandezze solitamente associate ad una forma di mascolinità "tossica", come tanto di moda va da dire negli ultimi anni. Il perché, poi, di tale scelta è nuovamente misterioso. Forse Garland è cosciente di come la violenza sia pur sempre violenza, a prescindere da chi la perpetri e del perché. O forse vuole proprio rimarcare che i modi e gli strumenti usati da quella sinistra mossa dai migliori intenti possa tranquillamente sfociare nell'orrore, non è dato sapere di preciso.
La mancanza di giustificazioni al conflitto porta anche a tale ambiguità, forse voluta, forse no, la cui unica certezza in merito è l'incertezza dominante nella mente dell'autore, che evidentemente vuole porsi al di sopra di tutto e di tutti, nonostante negli anni passati si sia sempre apertamente schierato con l'estrema sinistra americana e i suoi eccessi. Tanto che alla fine sembra quasi che non voglia dare input sulla base del conflitto per evitare di offendere qualcuno, piuttosto che per pura pigrizia.




"Civil War" resta così un saggio riuscito solo in parte e solo nella sua parte di più facile accettazione. Gli elementi più scomodi vengono tirati in ballo, ma mai approfonditi, mai chiarificati, mai trattati con la serietà necessaria per risultare davvero convincenti.
Alla fine, restano solo, per l'appunto, le immagini, quella visione della presa di D.C. che riesce davvero a colpire nel profondo anche se non si è americani. E che si spera, non si riveli come profetica.

Nessun commento:

Posta un commento