mercoledì 1 febbraio 2017

La La Land

di Damien Chazelle.

con: Emma Stone, Ryan Gosling, J.K. SImmons, Amièe Conn, Terry Walters, Thom Shelton, Cinda Adams.

Usa 2016


















Si può pensare ciò che si vuole di Damien Chazelle e del successo inaspettato avuto l'anno passato con il suo "Whiplash": che sia un autore sopravvalutato, che il successo del suo exploit sia dovuto più alla passione (sua e del cast) che al talento effettivo o che si tratti davvero di un nuovo enfant prodige di Hollywood, fuoriuscito da quella fucina di talenti, veri o anche solo presunti, che è la scena indie americana. Fatto sta che il successo ancora più clamoroso di "La La Land" è stato ancora più spiazzante: strage ai Golden Globes (meritati sopratutto quelli al cast), Coppa Volpi a sorpresa ad Emma Stone (strameritata) e ben 14 nomination agli Oscar, che pongono questa produzione tutto sommato piccola (appena 30 milioni di budget) al pari di un classico quale "Eva contro Eva" (1950) e del kolossal moderno per antonomasia, quel "Titanic" (1997) che fin troppi record ha infranto.
Spiazzante perché "La La Land" è a ben vedere un film anomalo sotto tutti i punti di vista: non un musical vero e proprio, né un semplice omaggio agli anni d'oro del musical hollywwodiano, è più che altro un leggero e tutto sommato innocuo connubio tra la dramedy indie classica e la rievocazione nostalgica di quel modo leggero di intendere il cinema che Hollywood ha, a torto o a ragione, dimenticato.




Connubio che prende le mosse dai due protagonisti e delle loro passioni, distanti eppure complementari; da una parte Mia, che ha il volto dalla bellezza particolare eppure magnetica di Emma Stone, ragazza del Nevada che sogna di diventare un attrice, persa in un mondo colorato e vivido che sembra uscito da un film di Vincente Minnelli; dall'altro Sebastian, che ha il volto altrettanto magnetico di Ryan Gosling, jazzista hardcore che sogna di acquistare un vecchio locale di L.A. per farlo tornare ad essere un santuario del Jazz classico, rimando sia al precedente film di Chazelle che ad un altro classico che omaggiava il classico, quel "New York, New York" (1977) di Scorsese dove il Jimmy Doyle di De Niro era un sassofonista in erba in un contesto musicale. Due sognatori incalliti, persi nelle loro visioni, la cui attrazione passa per il tramite degli stessi: il suono del piano di Seb attira Mia, una festa di giovani aspiranti attori li fa incontrare. Una storia d'amore, la loro, che comincia con il piede sbagliato, ma che carbura subito grazie alla forza delle loro aspirazioni.




Sullo sfondo lei, La La Land, ossia L.A. Hollywoodland, in parte ricreata in studio, in parte ripresa dal vivo, le cui strade sconnesse vengono immerse in luci calde, colori primari con rossi accesi e blu intensi ai livelli del Technicolor, in immagini in glorioso Cinemascope. Ma Chazelle non cerca la rievocazione estetica d'antan totale e coerente (nel bene e nel male) come invece accadeva in "The Artist" (2011); per lui la fusione dei registri è cifra stilistica essenziale; ecco dunque ritornare il musical in esterni, come ai tempi di "West Side Story" (1960) e "Sweet Charity" (1969), dove i ballerini si muovono sullo sfondo di vere strade e vicoli talvolta logori, aggiornati ad uno stile più moderno per il tramite degli ormai usurati finti piani-sequenza, onnipresenti in quasi tutte le sequenze canore al punto di giungere ad una sovraesposizione che toglie al virtuosismo ogni motivo d'essere.




L'impianto della storia, così come i richiami a quella cultura Jazz che sembra stare tanto a cuore al regista, vengono invece dritti dal mondo indie; l'idealizzazione del romanticismo propria del classicismo hollywwodiano cede il passo alla disillusione, quasi alleniana, data dall'instabilità nella relazione; alla sequenza più onirica e visionaria del film (ambientata all'osservatorio astronomico, omaggio ad un altro classico dell'Epoca d'Oro, quel "Gioventù Bruciata" che molti cineasti moderni farebbero meglio a riscoprire per davvero) segue l'inevitabile declino, condotto non senza rimpianti, eppure con la coscienza di come il compromesso sia l'unica soluzione per perseguire i propri scopi in un mondo reale. La forza dei sogni, l'inno ai sognatori e alla loro forza si colora di quella disillusione, quella coscienza della necessità della perdita che la sensibilità moderna spesso ha incluso anche nelle favole più dolci.




Ma il musical per Chazelle sembra non dover mai diventare vero mezzo espressivo; le canzoni non divengono quasi mai il tramite con il quale far evolvere il racconto; sono usate più che altro per enfatizzare stati d'animo. L'unica eccezione è quell'ultima sequenza, sorprendente ed emozionante, che chiude il film con una nota amara, che finisce lo stesso per sottolineare ciò che è già stato narrato. Musica e coreografie divengono irrimediabilmente un orpello alla narrazione vera e propria, in un mix tra prosa e poesia che riesce ad incantare solo grazie ai due attori.
Perché non esistono parole per descrivere l'affiatamento di Gosling e della Stone, la perfezione dei loro movimenti, del trasporto con il quale tratteggiano due personaggi tutto sommato piatti e perfettamente ascrivibili ai cliché più comuni. E' solo grazie a loro se la love-story funziona, se riesce a non tediare nonostante l'estrema prevedibilità dell'assunto e di ogni singolo risvolto.




Chazelle, d'altro canto, finisce per cadere nella trappola più ovvia: non riesce mai davvero ad emozionare con le sue visioni musicali; colpa non solo di coreografie ed immagini talmente ancorate alla tradizione da divenire spesso mere citazioni anche quando fanno ricorso alle tecniche più moderne, ma anche di canzoni che non sempre riescono a stupire o emozionare davvero.
Il mix tra la grandezza del musical classico e il minimalismo del cinema indipendente è perfettamente riuscito: gli elementi di entrambi i filoni ci sono e si amalgamano bene, ma la somma crea un totale poco trascinante, anzi a tratti decisamente freddo. Questo nonostante il sincero senso di nostalgia e di rimpianto che affligge i personaggi nel finale: la prevedibilità della storia e la piattezza della scrittura finiscono per affossare in parte anche l'emozione più genuina e a tenere in piedi lo spettacolo resta solo il mestiere. Non poco, ma neanche molto, tanto che, al netto, di tutti quei premi, nomination e riconoscimenti vari, gli unici davvero meritati riguardano unicamente i due strepitosi, incredibili e bellissimi protagonisti.






Nessun commento:

Posta un commento