Prince of Darkness
di John Carpenter.
con: Donald Pleasence, Victor Wong, Jameson Parker, Lisa Blount, Dennis Dun, Susan Blanchard, Anne Howard, Ann Yen, Peter Jason, Alice Cooper.
Horror
Usa 1987
Riconciliatosi con la critica grazie al successo di "Starman" e reduce dal flop di "Grosso Guaio a Chinatown" (che pur diverrà uno tra i suoi cult più amati), Carpenter si ritrova, nella seconda metà degli anni '80, a tornare a produzioni più ridotte. Il che non intacca minimamente la sua vena creativa che, anzi, trova un perfetto sfogo nel primo film di questa nuova fase della sua carriera, "Il Signore del Male".
Pellicola che nasce da un'amara constatazione: il cinema horror ha perso la sua originalità. Tra sequel infiniti e infinitamente uguali di serie quali "Nightmare", "Venerdì 13" e "Halloween", il genere stagna in una ripetitività micidiale. Nasce così, nell'autore, l'urgenza di creare un racconto orrorifico fuori dagli schemi, in grado di portare una boccata d'aria fresca nel genere.
L'ispirazione arriva dall'intersse verso la fisica teorica, dalle scoperte fatte nel campo dei quanti e dei tachioni, di come queste particelle subatomiche ineriscano sulla realtà. Carpenter scrive (con lo pseudonimo di Martin Quatermass, omaggio all'omonimo personaggio icona della fantascienza cinematografica e televisiva degli anni '50) una sceneggiatura che fonde scienza e sovrannaturale, dove fede e logica si ritrovano inermi dinanzi al Male supremo. E il risultato è un film sinistro e avvincente.
Le tematiche della religione e della fisica sono cucite sui due personaggi del prete (Pleasence) e del professor Birack (Wong, chiamato così in omaggio alla situazione matematica in cui due operazioni sono invertibili, rimando al concetto di materia e anti-materia alla base della mitologia del film). Due personaggi che indagano la realtà ognuno a modo loro e ognuno nel giusto. La mitologia alla base del film si rifà in modo indiretto ai racconti di Lovecraft, con entità demoniache transdimensionali pronte ad invadere la nostra realtà, ma mischia tale ispirazione con la fede Cristiana.
Esiste una realtà "sovrannaturale", esistono un Dio e un diavolo. Essi risiedono in due dimensioni opposte, la luce, ossia la materia, e l'ombra, l'antimateria. Il cilindro contenente il liquido contiene l'essenza dell'anti-cristo, del figlio del "dio del male" che, al pari della sua controparte benigna, prepara il ritorno del padre.
Intuizione semplicemente geniale: un manicheismo che trova nella fisica quantistica una forma di verosomiglianza, che rilegge il Cristianesimo delle origini in modo spaventoso, per questo irresistibile.
La chiesa di San Godard diviene così il terreno di scontro tra Bene e Male, una "terra di nessuno" erede fantastico della stazione di polizia di "Distretto 13- Le Brigate della Morte". Ma la dinamica dell'assedio viene ripensata: non sono tanto i demoni che si radunano all'esterno dell'edificio a rappresentare la minaccia (guidati da Alice Cooper, amico del produttore del film e fan di Carpenter il quale, paradossalmente, anni dopo diverrà un cristiano rinato), ma il male in esso custodito, il liquido demonico che trasforma i giovani studenti in inarrestabili accoliti assetati di sangue. Come ne "La Cosa", il vero male è, in un modo o nell'altro, insito nell'essenza dell'uomo e pronto ad uscirne per portare morte e distruzione indiscriminata.
Carpenter si affida all'atmosfera, ricreandola soprattutto grazie all'ottimo score musicale. La sua regia si fa qui più classica, basata sul montaggio delle singole inquadrature, riducendo i movimenti di macchina all'essenziale. Ne consegue un tangibile senso di claustrofobia, soprattutto nella parte di film ambientata tra le mura della chiesa.
Le scenografie sono volutamente scarne, spoglie e addobbate con simboli sacri per comunicare un senso di disagio e di urgenza, riuscendo a trasmettere la forza apocalittica della storia in modo diretto.
Il racconto viene poi strutturato come una serie di crescendo, dove il ritmo viene dettato grazie all'uso del montaggimagnificamente condotti e centellinati.
Il tocco di classe arriva poi nell'epilogo, dove con un'inquadratura semplicissima Carpenter riesce a chiudere il film con una nota spiazzante, volutamente irrisolta, in grado di lasciare davvero i brividi addosso allo spettatore.
Carpenter riesce così a creare un vero e proprio classico, perfetto nell'esecuzione e coraggioso nei contenuti, con poco, perfetto esempio di come il vero talento non necessiti di grandi budget o effetti speciali roboanti. Lezione che ripeterà, un anno dopo, con il capolavoro "Essi Vivono".
Oddio forse è minore nella trilogia solo in termini di budget. E cmq ha messo anche a me il terrore degli specchi!
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