The Fog
di John Carpenter.
con: Adrianne Barbeau, Janet Leigh, Hal Holbrook, Tom Atkins, Jamie Lee Curtis, John Houseman, Nancy Loomis, Charles Cyphers, James Canning, George "Buck" Flowers.
Horror Gotico
Usa 1980
Il successo internazionale di "Halloween- La Notte delle Streghe" permise a Carpenter di ottenere un contratto multi-film con la piccola casa di produzione Avco Embassy; contratto grazie al quale riuscì a creare due tra le sue opere più riuscite: "1997: Fuga da New York" e, un anno prima, l'horror gotico "Fog".
"Fog" è, tra tutti gli horror diretti dal maestro americano, una vera e propria eccezione tra le eccezioni: è l'unico in cui si rifà ad un immaginario horror del tutto classico, che affonda le radici tanto nel gotico americano quanto nella tradizione britannica della Hammer Films. Una pellicola che, per lui, è tra le sue meno riuscite, il che però non significa che non sia un perfetto esponente del filone al quale si rifà.
Carpenter apre il film con una citazione di Edgar Allan Poe: "Tutto quel che vediamo, che sembriamo, non è che un sogno dentro un sogno". Una frase enigmatica e sibillina: c'è qualcosa oltre ciò che vediamo, qualcosa di celato e pericoloso. Da qui la nebbia come perfetto schermo, oscurità bianca che nasconde orrori indicibili. Orrore che, come da tradizione nel cinema horror americano dell'epoca, affonda le sue radici nella società.
Il capitano Blake e gli spettri che strisciano non visti nella nebbia sono una colpa rimossa, uno stigma della piccola comunità di Antonio Bay che, centro anni dopo i fatti che li hanno visti protagonisti, torna per riprendersi ciò che è suo.
Alla base dell'orrore, la storia che John Houseman racconta nei minuti iniziali e che, insieme alla frase di Poe, setta perfettamente il tono della pellicola. Nel 1880 in capitano Blake tradì e uccise un gruppo di lebbrosi, per rubarne gli averi. Una maledizione lo colpì e finché quell'oro non fosse tornato al suo posto, Blake e i suoi uomini non avrebbero potuto riposare in pace. Oro che, tuttavia, servì alla fondazione di Antonio Bay, una cittadina fondata letteralmente sul tradimento e l'omicidio. Il parallelo più semplice è quello con il genocidio dei Nativi Americani, ma l'intera storia americana, si sa, è fondata sul tradimento e sul sangue. Carpenter intesse così una perfetta metafora su di un passato vergognoso che, pur rimosso, ritorna per vendicarsi e, prima ancora, far realizzare ai vivi come la loro ricchezza sia maledetta, frutto del peccato, di come la società sia stata edificata sui corpi dei deboli, schiacciati dallo strapotere di chi era in una posizione di vantaggio.
La metafora corre perfettamente sotto pelle alla narrazione, che resta incentrata sull'atmosfera sinistra. Carpenter utilizza come sempre la tensione come metodo principale per tenere incollato alla sedia lo spettatore, ma riesce anche a inframezzarla con riusciti jump-scare.
Al di là dell'atmsofera, il racconto viene scomposto e cucito addosso ad un ensamble di personaggi. E' la comunità ad essere protagonista, con i pilastri della stessa, il prete e il sindaco, a divenire motori principali dell'azione. Assieme a loro troviamo anche una dj, la "voce del popolo", un medico e una autostoppista, unico "elemento esterno" alla comunità che, suo malgrado, si trova coinvolta in una storia che in teoria non la riguarda. E per dar vita a questo gruppo di sopravvissuti, Carpenter raduna un cast di tutto rispetto: sua moglie, la bellissima Adrianne Barbeau presta corpo e voce alla dj Stevie, Hal Holbrook è padre Malone, Tom Atkins è il medico Nick Castle, Jamie Lee Curtis torna a collaborare nei panni dell'autostoppista e sua madre, la mitica Janet Leigh di "Psycho", appare nei panni dell'organizzatrice di eventi Kathy.
Carpenter riesce a condurre il tutto in maniera magistrale, a spaventare e coinvolgere perfettamente in neanche 90 minuti di pellicola e, come sempre, l'uso del formato anamorfico non solo maschera perfettamente il basso budget, ma lo aiuta a creare immagini piccole ma incredibilmente espressive e spettacolari..
Il suo astio nei confronti di questa sua opera è presto svelato: il primo montaggio, a quanto pare, era alquanto debole, non riusciva a comunicare a dovere il senso di terrore che aveva immaginato. Risultato migliorato a seguito dei reshoot, nei quali ha aggiunto anche la disturbante sequenza dello smascheramento dello spettro, il cui make-up è stato eseguito da un giovanissimo Rob Bottin.
Il suo scontento non inganni: "Fog", a conti fatti, non è certo un film minore e, anzi, è l'ennesima prova del suo talento.
Io l'ho visto "solo" due volte ed entrambe l'ho amato.
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