con: Gabriel Byrne, Natasha Richardson, Julian Sands, Myriam Cyr, Timothy Spall, Alec Mango, Dexter Fletcher, Andreas Wisniwski.
Biografico/Horror
Regno Unito 1986
Nella la tarda primavera del 1816, Mary Wollstonecraft Shelley, assieme al suo compagno, l'acclamato poeta Percy Bisshe, e alla sorellastra Claire Clairmont, fa visita a Lord Byron, amante di quest'ultima e recluso in esilio a Villa Diodati, nella campagna svizzera. Durante una notte insonne, Mary concepisce quell'idea che sarà sviluppata nel celebre "Frankenstein; o il Moderno Prometeo", mentre Byron, rifacendosi al folklore balcanico e mitteleuropeo, da vita al primo vampiro della letteratura moderna. E sebbene la letteratura gotica vera e propria esistesse già da mezzo secolo (l'apripista fu "Il Castello di Otranto" di Horace Walpole, pubblicato nel 1764), è da qui che l'horror gotico comincia ad avere vera fortuna, con la nascita delle sue due maschere più rappresentative.
Nel 1986 Ken Russell viene chiamato per portare in scena uno script di Stephen Volk ispirato a quegli eventi. Nasce così "Gothic", omaggio ai racconti del terrore classici che rielabora la nascita delle icone collegandole direttamente alle vicende personali degli autori, ma che nonostante le intenzioni non riesce mai davvero ad essere visionario, disturbante o sinistro.
Lord Byron ha il volto di un carismatico Gabriel Byrne, Mary Shelley quello della bellissima Natasha Richardson, Percy Shelley quello di un Julian Sands forse mai così espressivo; a completare l'ensamble troviamo un giovane Timothy Spall nel ruolo di John Polidori, biografo di Byron, e la conturbante Myriam Cyr in quelli di Claire Clairmont. Un cast azzeccato, magnificamente in parte e superbamente condotto, che però rappresenta alla fin fine l'unico aspetto riuscito di tutto il film.
Lo spunto di partenza è intrigante, ossia rileggere il parto creativo come esternazione delle paure, consce e inconsce, degli autori, come forma di esorcismo di quel male interiore che all'epoca li attanagliava.
Il mostro di Frankenstein della Shelley è un cadavere riportato in vita con l'intento di abbattere il limite ultimo imposto all'uomo, rielaborazione del lutto di quel figlio strappatole dal grembo la cui dipartita non è mai stata somatizzata. Il fulmine diviene così strumento di distruzione e rigenerazione (e qui Russell si rifà più che altro al mito cinematografico del personaggio), mentre il desiderio di riabbracciare il defunto il motore creativo principale.
Allo stesso modo, il vampiro è la personificazione di quella fascinazione che Byron ha per la morte e della sua paura inconscia delle sanguisughe, di un parassita che drena la vita altrui poco alla volta, sino a svuotare la vittima di ogni energia vitale, come la menomazione fisica che lo affligge.
Al loro pari, anche Claire, Percy Shelley e Polidori affrontano le loro paure in una notte di terrore, a causa degli effetti collaterali del laudano. La prima si confronta con un trauma inconscio, ossia la morte sfiorata in tenerissima età, il secondo è perseguitato dalle sue stesse ossessioni psicosomatiche, mentre il terzo viene stritolato tra la sua formazione religiosa e il desiderio omosessuale verso l'anfitrione.
Il terrore diventa così personificazione di paure rimosse e desideri sopiti (tra i quali anche l'incesto di Byron con la defunta sorella). Un personificazione evanescente, mai mostrata o percepita sensorialmente, solo avvertita come una presenza astratta che striscia nell'oscurità pronta a far detonare la psiche del gruppo, al pari del Maligno de "I Diavoli".
La paura prende così unicamente le forme di visione ossessive nei quali i personaggi si perdono, incubi ad occhi aperti più reali del reale. Ed è qui che Russell inciampa e il film si arena nella mediocrità.
Le immagini, pur evocative e enfatizzate da una bella fotografia, non graffiano mai davvero, non riescono mai ad essere disturbanti o spaventose. Allo stesso modo, le tematiche più spinose e scandalose, come l'incesto e il libertinaggio, non riescono mai davvero a scandalizzare come dovrebbero, finendo per risultare grossolane nella trattazione. "Gothic" non spaventa, non scandalizza e non incanta, finendo per essere solo un piccolo e simpatico esercizio di stile, che però talvolta scivola nel kitsch più odioso.
Non si possono trattenere le risa davanti alla visione dell' "automa umano", soprattutto quando lancia sguardi strambi ai presenti, forse per comunicare una sensazione spaventevole che invece si fa ridicola. E non si possono incrociare gli occhi quando partono le musiche al synth, tipicamente 80's, che dovrebbero fare da contrappunto all'estetica storica, ma che risultano solo fuori luogo, aumentando il tasso del ridicolo involontario. Sono lontani i fasti del postmodernismo espressivo de "I Diavoli", qui il connubio tra modernità e classicismo risulta dissonante e sgarbato.
Russell purtroppo questa volta risulta incapace di graffiare o affascinare. "Gothic" è uno dei suoi lavori meno riusciti, ma gli appassionati di letteratura gotica potrebbero comunque trovarlo interessante, anche al netto del kitsch.
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